On my way back

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Counting down these seconds

Jumping off these fences

Find another place to start again.

JUDITH

La mattina del giorno dopo significò semplicemente due cose per me: rivedere Hayley e starmene per quattro giorni ben lontana dal Boleyn. Mi alzai con rinnovato entusiasmo e, nel vestirmi, sorrisi più volte alla donna nello specchio, che mi sorrideva di rimando. Ero cambiata molto dall'ultima volta che mi ero vista con Hay: avevo i capelli molto più lunghi e biondi; mi ero alzata -fin troppo- raggiungendo i 178 cm e avevo una figura più asciutta. Avevo anche imparato a vestirmi decisamente meglio e a dar valore a ciò che mi piaceva di più di me stessa: gli occhi. Non so perché, forse perché erano tali e quali a quelli di mio padre, ma li consideravo da sempre il mio punto forte.

Fu così che, quando uscii di casa dopo una lauta colazione -da sola- e recuperai le chiavi della moto, mi sentii una ragazza nuova, spinta da nuove speranze e nuove gioie e tutte, in un modo o nell'altro, includevano Hay e il college ed escludevano del tutto gli individui del Boleyn. In due sere avevo già imparato ad odiare il mio lavoro."Ben fatto, Woods!! Potresti rientrare nel Guinness dei Primati per la tua soprannaturale capacità di rivoltare le situazioni a tuo sfavore" pensai, ma scossi subito la testa, intenzionata a non farmi rovinare la giornata da determinati pensieri. Diedi gas, allacciandomi il casco ed abbassandomi la visiera e svicolai per le strade di Londra alla volta dell'università.

L'università di Londra era dieci volte più moderna di quella di York e mille volte più popolata. Ragazzi di ogni forma e colore si aggiravano per il campus con le loro sacche e zaini; alcuni enunciavano leggi, altri formulavano decreti; mille lingue entravano da un orecchio ed uscivano dall'altro, quando una voce melodiosa mi fece voltare. Non seppi dire come la riconobbi, ma il mio nome pronunciato da quella voce mi riportò indietro nel tempo. Sorrisi prima di voltarmi, assaporando il momento stesso in cui avrei rivisto la mia migliore amica dell'infanzia. Ruotai lentamente i piedi e voltai la testa: quegli occhi e quel sorriso li avrei riconosciuti in una calca di gente infinita. Erano gli stessi di quella bambina rompipalle, petulante e birichina a cui io ero tanto affezionata. Ma ora quel viso aveva assunto fisionomie più decise e adulte, lasciandole però quell'aspetto da eterna bambina dispettosa e spavalda. D'istinto, l'abbracciai forte, senza dire una parola.

-Non dobbiamo più lasciar passare tanto tempo- sbottò lei con la guancia premuta sulla mia spalla e io annuii, senza dire nulla. Era leggermente più bassa di me, quindi tenevo il mento appoggiato accanto al suo collo, godendomi quel l'attimo perso nel tempo. Quando ci allontanammo, entrambe ci guardammo dritte negli occhi: era proprio lei. La mia Hayley.

Lei mi sorrise e mi prese sotto braccio - Andiamo a prenderci un caffè veloce- mi invitò, allegra - Tanto abbiamo tempo-.Mi bastarono poche ore con quella peste per ricordarmi del motivo per il quale eravamo diventate amiche. Lei era uno spirito libero, spregiudicata, incontenibile. Era un fuoco vivo e brillante, un fuoco che mi riscaldava e mi accendeva.

Solo lei era stata in grado di spruzzarmi addosso l'argento vivo, che, però, nel corso degli altri, si era sgretolato e arrugginito. Ora che era tornata, avevo intenzione di reimmergermi nella sua spensieratezza e ritrovare quel po' di grinta di cui avevo bisogno per entrare al pub quel fine settimana e tutti i giorni a venire.

Andai a lezione quella mattina con la consapevolezza di avere finalmente qualcuno su cui affidarmi in quelle uggiose giornate di Londra e quella consapevolezza mi accompagnò anche il fine settimana e per le settimane dopo.

Raccontai ad Hayley del Boleyn e dei suoi individui, senza accennare -tuttavia- a quello che era successo quella maledetta sera, per mantenere un po' di privacy nei confronti di quel pezzo di cristallo, che mi sembrava essere Abbie.

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