Weight of us

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Running over the same old ground.

What have we found?

The same old fears.

Wish you were here.

ALEX

Uscii dal box della doccia e mi avvolsi nell'asciugamano mentre gettavo uno sguardo fuori dalla finestra del bagno. Le gocce cadevano e si schiantavano contro l'asfalto. Mi ricordavano le partite di calcio. Le gioccioline si gettavano contro la strada pur sapendo che si sarebbero fatte male, ma allo stesso tempo, in alcuni punti infossati, le gocce sopravvivevano e formavano tutte assieme una pozzanghera. Nessuna goccia sapeva dove sarebbe caduta, ma ci provava lo stesso, sperando sempre di formare una pozzanghera. Noi eravamo così, lottavamo, pur sapendo che ci saremmo fatti male, sperando sempre di raggiungere o difendere la curva.

Sospirai cupo e raccolsi la mia maglia per infilarla insieme al resto dei vestiti. Ero particolarmente pensieroso quel giorno e sapevo bene il perché.

Abygail.

Era tutto il giorno che la pensavo e non riuscivo a smettere. Uscii dal bagno per raggiungere la mia stanza e li me ne rimasi per più di un'ora, andando avanti e indietro, mettendomi a pulire perfino, ma non riuscivo a rilassarmi.Erano le cinque quando uscii di casa, degnando appena mio fratello di un saluto. Ero totalmente perso nei miei pensieri. Presi finalmente la strada verso casa della mora, titubante. Perché avevo aspettato tanto a andare da lei? Perché sentivo di non volerci andare?

L'avevo ammirata di soppiatto per anni, sotto ogni aspetto, sempre senza farmi notare per non sembrare debole di fronte ai miei amici e per timore del signor Lewis che voleva tenere tutti noi scapestrati alla larga dalla sua pupilla.

Ormai non c'era più suo padre a fermarmi. Ma non c'era più neanche il mio.

Tornare da Abby significava riaprire una parte della mia vita che tentavo in tutti i modi di dimenticare.

Io e Pitt non parlavamo mai di papà. Non andavamo mai a trovare nostra madre. Avevamo rinchiuso i nostri genitori in un angolo recondito della nostra mente e lì li lasciavamo cercando di preservarci dal dolore, ma non sarebbe stato così con Abbie. Lei avrebbe voluto parlarne e perdersi nei ricordi, perché era fatta così, ma io non ero pronto e, probabilmente, non lo sarei stato mai.

Se non fossi andato l'avrei abbandonata di nuovo, ma se fossi andato che cosa le avrei portato? Un ammasso di guai, forse peggiori di quelli che aveva già.

Mi bloccai. Ero a pochi passi dall'edificio blu e già iniziavo a ricordare. Mi rivedevo dieci anni prima correre per quella stessa strada con una Abbie impaziente che mi aspettava al cancello con un libro sotto braccio e un'espressione infastidita.

Aveva sempre avuto più libri che calzini, e i suoi genitori gliene regalavano in ogni occasione. Natali, compleanni, onomastici perfino. Anche mio padre gliene portava, era l'unica altra bambina a cui faceva i regali dopo me e mio fratello.

Deglutii, ricacciando in dietro il magone che già mi attanagliava. Non potevo farcela.

Il telefono mi vibró nella tasca e lo presi trovando un messaggio di Megan che mi diceva di sentire la mia mancanza.

Alzai lo sguardo dallo schermo alla casa e improvvisamente quella vista mi diventó intollerabile. Volevo solo andare via.

Girai i tacchi e mi allontanai da lì con passo veloce, sempre più veloce, finché non mi ritrovai a correre all'impazzata. Mi bloccai non so quanto tempo dopo, davanti a un palazzone fatiscente e sgraziato. Ripresi fiato e suono al terzo campanello partendo dal basso.

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