Capitolo 34

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Non immaginavo che la sera arrivasse in un batter d'occhio, oltre al fatto di ritrovarmi coperta di farina da capo a piedi. Guardo con occhi di sfida l'impasto giallognolo davanti a me, steso sul tavolo inerme. Da quando sono arrivata al ristorante di Steve, ho passato tutto il tempo in cucina, in poche parole l'intero pomeriggio, per provare a fare una crostata. Inizio a sentirmi impedita ai fornelli, poiché tutte le prove che ho fatto si sono bruciate o sbriciolate sotto le mie mani. Ho sempre avuto una certa difficoltà a cucinare i dolci, ma non pensavo di fare così schifo, soprattutto a una ricetta che Sam ha definito facile come bere un sorso d'acqua. Il cigolio della porta che collega la cucina alla sala dove ci sono i tavoli arriva fino alle mie orecchie, facendomi voltare verso di essa. Da dietro sbuca Sam, con il suo solito grembiule celeste e i capelli raccolti da una pinza bianca.

《 Allora, ci sei riuscita? 》 chiede piena di speranza.

L'idea di spiegarmi una ricetta nuova è stata sua, peccato che non avesse la minima idea della mia totale incompatibilità con i dolci. Un po' mi dispiace per non averla avvertita a riguardo.

《 È come ti ho detto. Non ce la farò mai. 》 rispondo rassegnata all'evidenza, guardando la massa informe semi liquida sul ripiano.

Sam emette un lungo sospiro, forse un po' delusa. Dopo una piccola manciata di secondi ritorna in sé, alzando la testa e guardandomi con uno dei suoi calorosi sorrisi.

《 Non preoccupati, Alana. La prossima volta ti assisterò di più, così ti verrà un'ottima crostata all'albicocca. 》 dice sprezzante di energia, la quale obbliga a chiedermi da dove la tira fuori dopo una giornata intera di lavoro.

《 Ha detto tuo zio che puoi tornare pure a casa ora e che lui stasera tarderà. Abbiamo molti clienti oggi. 》 finisce, con una leggera traccia esausta nella voce.

《 Se volete posso rimanere ancora. 》 mi offro per cercare almeno di alleggerire il lavoro alla donna.

《 Negato. Sono già le nove passate e non hai ancora mangiato, per di più domani mattina devi andare a scuola. 》 mi rimprovera, iniziando a spingermi verso il piccolo spogliatoio in un angolo della cucina.

Eseguo l'ordine senza ribellarmi, ammetto di essere stanca anch'io, dopotutto ieri sera non ho chiuso occhio. Scaccio i pensieri che arrivano al ricordare il motivo della notte passata in bianco, ancor prima che diventino limpidi nella mia mente. Velocemente, saluto tutti i dipendenti del ristorante compresi Sam e Steve, e infine esco dalla porta sul retro della cucina. L'aria cristallina mi avvolge, facendomi prendere profonde boccate. La sensazione di pulito che provi dentro il corpo, nel respirare l'aria aperta dopo essere stata a lungo in un posto chiuso, è così piacevole che ti senti più leggera. Tra l'altro, la temperatura non è più gelida, ma soltanto un po' fresca. Mi avvicino verso la mia auto parcheggiata poco lontano dall'uscita, mentre con una mano cerco le chiavi disperse nella borsa. Il rumore acuto di un rametto che si spezza risuona nel silenzio. In uno scatto con il cuore in gola, mi volto verso gli alberi del bosco alla mia sinistra da cui ho sentito il rumore. Tuttavia, i miei occhi non riescono a vedere nulla tra il buio della notte e la poca luce che emette la lampada attaccata al muro sopra la porta del locare di Steve, la quale è a qualche metro di distanza. Un secondo rumore più vicino e grave rispetto al precedente mi sorprende facendomi sobbalzare, come se fosse il passo di qualcuno molto robusto. Non faccio in tempo a girarmi che subito vedo un forte flash, seguito da un lancinante dolore al fianco il quale mi priva della forza di continuare a reggermi sulle gambe. Cado a peso morto sull'asfalto, gemendo dal dolore per la potente scossa che mi ha percorso tutto il corpo in pochi secondi. Scombussolata e senza sapere cosa fare, cerco di prendere respiri profondi per calmarmi e riavere la mente lucida, ma l'unica cosa a cui riesco a pensare è l'odore di carne bruciata che sento nell'aria, mandandomi nel più totale panico. Come se non bastasse, le mie orecchie non fanno altro che fischiare rumorosamente e la vista si alterna con momenti sfocati. Il dolore non mi lascia tregua, impedendomi di muovermi o anche solo emettere un fiato, riscontrando immediatamente una serie di intense fitte che mi colpiscono ovunque in tutto il corpo. Tra il rumore assordante nelle mie orecchie, riesco a sentire il suono di una voce che continua a chiamare il mio nome. Con estrema fatica apro gli occhi, sentendo le palpebre pesanti come macigni, mi sforzo per riuscire a vedere meglio attorno a me.

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