Capitolo tre

13K 530 57
                                    

-Janeee!- tuonò dal suo ufficio quel sadico di George.

Certo che quell'uomo era proprio stressato. Ma la cosa che mi dava più fastidio era che sempre a me rompeva le scatole, ero sempre io il suo bersaglio.

I miei colleghi mi guardarono ridendo. Ormai era diventata comica la situazione. Quel buzzurro gridava e io andava in ufficio, poi puntualmente finivamo per litigare, perché io avevo un carattere che non mi permetteva di rimanere in silenzio quando qualcosa la ritenevo stupida e George era il mio capo ed esigeva che le cose fossero fatte come voleva lui. In ogni caso, chiamava saltuariamente sempre me...d'altronde ero una brava giornalista, mi impegnavo al massimo, ero responsabile e dedicavo gran parte della mia vita al lavoro. Ad affiancarmi nelle mia routine stressante e ad occupare il mio stesso ufficio c'erano poi: Barbara Richardson meglio conosciuta come Barbie, Steve Jhones, Frederich Bennet meglio conosciuto come Freddie, mio ex fidanzato...sì quello gay, e Vincent Price, omonimo di un famoso attore americano.

Misi in stand by il mio pc, diedi un'occhiata sconsolata ai miei compagni di sventura e mi recai nella tana del lupo.

Bussai e un antipatico quanto nasale "Avanti", mi invitò ad entrare.

-Buongiorno George.- dissi rivolgendomi verso quel bisbetico, che più che darmi attenzione, aveva la testa completamente tuffata in una articolo di giornale, il classico sigaro in bocca e il lercio cappellino da tennista in testa.

-Siediti Jane.

Feci quello che mi aveva detto.

Dopodiché abbasso il giornale e mi guardò con i suoi brutti occhietti verde limone andato a male.

-Ora tu Jane, cara dolce Jane,- e quando affiancava al mio nome quei gentili attributi, c'era davvero da preoccuparsi- mi spieghi perché cavolo Yohji Yamamoto, ha concesso delle foto sulla sua ultima collezione primavera estate duemila quindici ad Elle a noi no.

Cosa diamine potevo saperne io? Yohji Yamamoto? E chi cavolo lo conosceva?

-Ehm...capo, in tutta sincerità, non lo so...non sono io che mi occupo delle fotografie e di convincere gli stilisti a cedere le loro foto. Io mi occupo di scrivere gli articoli.- cercai di calcare il più possibile sulla parola scrivere.- e poi non mi pare lei mi abbia detto di contattarlo.

Non mi ero laureata alla facoltà di scrittura creativa con tanto di corsi in giornalismo, per fare fotografie. Amavo la fotografia, ma ero una giornalista non una fotografa.

-Jane non prendermi in giro, sei una giornalista di moda, ti occupi della più importante rivista di fashion in tutta la Scozia, e mi vieni a dire che il tuo unico compito è quello di scrivere due colonnine di carta?

Ma allora questo era proprio andato! Due colonnine di carta? Cioè per lui occuparsi dei titoli di copertina, scrivere intere pagine su stilisti e capi d'abbigliamento, ascoltare e trascrivere interviste erano due misere colonnine? Ma come faceva la moglie a sopportarlo?!

-Capo mi sta offendendo così...

-Sì sì come vuoi, ora basta, metti a freno la tua lingua biforcuta e ascolta...- lingua biforcuta a me??- Ho saputo che a marzo, in Francia, un'organizzazione si è prefissata come scopo quello di unire l'universo della moda con quello degli handicap, lottando contro la discriminazione rappresentata dalla mancanza di praticità nei capi all'ultima moda. Una signora sulla sedia a rotelle, per esempio, conduce lo stesso una vita, sebbene la sua disabilità. Va al lavoro, a far la spesa, a scuola per prendere i figli e fa tante altre cose, ma...come affronta il mondo della moda? Sai bene che i capi all'ultimo grido possono essere scomodi e poco pratici, perlopiù rivolti a delle persone con fisicità più da modelle che da altro, dunque voglio che tu ti dedichi anima e corpo ad un nuovo progetto. Un progetto in cui, tramite testimonianze, foto, e altro mostri alla gente come la moda possa avere come target anche persone con handicap fisici.

Ad Occhi ChiusiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora