Capitolo Tredici

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Capitolo tredici

Riassunto del capitolo precedente:

Dopo un'ottima cena in un accogliente ristorante italiano, Jane viene a sapere che Terence partirà con suo padre e i suoi fratelli per Toronto. Decisa a non farsi scappare l'occasione di vederlo un'altra volta prima del viaggio, prende la decisione di invitarlo a pranzo, la domenica a casa sua. Sarà proprio in questa occasione che, dopo un succulento banchetto, Terence proporrà a Jane il "do ut des", giochino basato su domande e risposte, ideato per farsi conoscere meglio dalla ragazza. Jane, allora, prenderà la palla al balzo, domandandogli come sia diventato cieco.

*fine riassunto*

L'anima di una persona è nascosta nel suo sguardo, per questo abbiamo paura di farci guardare negli occhi. (J. Morrison)


Non passò neanche un secondo, che già mi pentii della mia domanda. Ma cosa cavolo avevo chiesto a Terence? Chiedere ad un cieco, già di suo restìo ad aprirsi e a parlare di sé, come fosse diventato un non vedente? Non dovevo aver collegato il cervello prima di aver fatto questa domanda... stupida me!

-Scusami,- mi affrettai ad aggiungere.- non credo sia una domanda che ho il diritto di chiederti...- lasciai la frase in sospeso.

Terence sospirò.

-Non c'è bisogno di scusarti! In fondo, il "do ut des" è un gioco che ti ho proposto io e non ti ho invitato a non farmi domande sulla mia cecità. Ammetto che per un attimo avevo pensato di chiederti di non domandarmi nulla sull'argomento, ma in fondo Jane, prima o poi te lo avrei detto io stesso. Premetto che il perché sia diventato cieco è un qualcosa di strettamente legato alla mia famiglia, per cui ti ometterò molti dettagli.

-Certo. - sussurrai.

-Bene... devi sapere Jane che, qualche anno fa...- si fermò un secondo.- sono stato un pugile.

Rimasi in silenzio, intontita per la sua risposta.

-Eri cosa? Un pugile?- chiesi esterrefatta.

Cavoli! Questa non me la sarei mai aspettata. Con il suo fisico e i suoi modi di fare, non l'avrei mai e poi mai pensato.

-Sì ero pugile. Non era una cosa seria, nel senso che non ero conosciuto, non facevo incontri legalizzati né frequentavo alcuna palestra. Ho imparato a boxare a causa di,- fece una pausa.- alcune persone sbagliate. Ero diventato abbastanza bravo nel farlo, così iniziai a fare degli incontri. Mi aiutavano, erano la mia valvola di sfogo, erano il mio modo di evadere da una realtà che mi faceva soffrire.- sospirò.- Un giorno, però, ebbi un incontro con un avversario molto più alto di me, e soprattutto dalla massa muscolare maggiore della mia. Una sorta di Mohammed Ali, se tu sai chi sia.

-Sì, so che è stato un pugile bravissimo.- dissi.

-Esatto, ma era soprattutto un pugile molto alto e molto muscoloso! Come ti ho detto, non erano incontri legalizzati quindi non c'era alcuna regola da rispettare e io non mi tirai indietro quando si trattò di boxare con questo pugile. Il match ci fu, solo che... ricevetti un destro dritto sulla testa.- sospirò di nuovo. Doveva essere molto difficile per lui rimembrare certi dolorosi ricordi.- Poi non ricordo niente... mi hanno raccontato che caddi al tappeto, e finii in coma. Mi svegliai solo due mesi dopo... cieco. A quante pare il suo pugno creò un ematoma al mio cervello che andò ad intaccare il nervo ottico. Fui operato d'urgenza, ed è grazie all'intervento se sono ancora vivo, ma... - lasciò la frase in sospeso.

-E non c'è nemmeno una minima possibilità che tu torni a vedere?- domandai, speranzosa.

-Beh... in modo naturale no. Ci vorrebbe un miracolo o tuttalpiù... dovrei avere nuovamente un incidente pari a quello che mi ha creato il danno.

Ad Occhi ChiusiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora