Percy: dalla Casa del Lupo al Campo Giove pt.4

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La prima cosa che Percy pensò fu: ok, stavolta sono morto per davvero. Quella cosa verde e viscida era spuntata fuori dal nulla, cogliendolo parecchio alla sprovvista. Lupa gli aveva insegnato a non abbassare mai la guardia: allora perchè lo aveva fatto?

Serrò gli occhi mentre si sentiva trascinare sempre più in profondità. Non avrebbe potuto trattenere il fiato ancora a lungo, doveva assolutamente fare qualcosa, se non voleva che il suo viaggio terminasse nel peggiore dei modi. Si sentì invadere da una piacevole sensazione, com'era accaduto alla fontana, e ritrovò l'energia per combattere. Cercò a tastoni la tasca dei jeans e raccattò la penna, per poi stapparla. Si decise ad aprire gli occhi.

Lo Stretto di Carquinez non era molto pulito. Spazzatura di ogni genere, da semplici lattine a interi sacchi, galleggiava in giro, e non era facile vedere cosa succedeva intorno a lui come se l'acqua fosse stata limpida. Il semidio non riuscì a intravedere il mostro che lo aveva afferrato per intero, ma quello che colse gli fu più che sufficiente: un'enorme creatura verde e squamosa, con un numero indefinito di tentacoli che a prima vista sembravano abbastanza robusti da poter spezzare in due un camion con un unico e secco movimento. Non potevano essere più di una dozzina... Non che Percy li avesse davvero contati, dato che gli sembrava una perdita di tempo. E, ovviamente, anche perché era troppo pigro per fare più attività mentale del necessario, motivo per cui cercò anche di evitare di domandarsi come accidenti faceva a non morire di freddo, là sotto.

Senza pensarci su due volte, serrò la presa su vortice e tranciò il tentacolo che era avvolto intorno alla sua caviglia. Non appena si sentì libero dal peso che lo stava trascinando a fondo, cominciò a nuotare alla svelta verso la superficie. Non aveva mai trattenuto il fiato così a lungo. Beh, per modo di dire, visto che non ricordava nulla. Era stufo di ripensarci. Il punto era che stava per scoppiare, aveva bisogno d'aria. Non si spiegò come mai riuscisse a muoversi in modo tanto fluido e veloce, sott'acqua, quasi come se si trovasse sulla terraferma. Ma ci riusciva e, di nuovo, aveva di meglio da fare che cercare la risposta a un'inutile domanda. Il peso della spada di bronzo lo rallentava, e per un secondo Percy pensò di ritrasformarla in penna per evitare che gli fosse d'intralcio. Ma se il mostro lo avesse attaccato ancora, avrebbe avuto bisogno di averla a portata di mano. Tra l'altro non mancava molto. Spinse via una bottiglia di vetro che gli era finita addosso. La luce del sole era vicina, ormai, e tingeva la superficie di bellissime e particolari sfumature, nonostante la sporcizia dell'acqua. La mano libera raggiunse quel punto e lo oltrepassò, esponendosi alla brezza primaverile. Prima, però, che il resto del corpo la raggiungesse, il semidio si sentì tirare di nuovo a fondo, perdendo quell'unica occasione di riprendere fiato.

Un altro tentacolo lo aveva raggiunto, e gli si era allacciato intorno alla vita. Lo strattone che gli aveva dato era stato tanto potente e improvviso che vortice cadde irrimediabilmente dalla mano di Percy, e iniziò a scendere lentamente sempre più in profondità accompagnata da una scarpa mezza bucata e una lattina di coca. Il semidio si rimproverò mentalmente della propria stupidità, seppur non capendo appieno dove fosse stato l'errore. Provò a divincolarsi, e il mostro strinse la presa. All'inizio, il fatto che le braccia erano rimaste libere dal tentacolo gli era sembrata una buona cosa. Si accorse, invece, che gli sarebbe stato impossibile raggiungere la tasca dove la spada sarebbe ricomparsa a breve, ben nascosta sotto l'arto verde del mostro, soprattutto ora che stringeva così forte che il semidio aveva l'impressione di sentire le proprie ossa rompersi una a una. Doveva essere diventato blu per lo sforzo di trattenere il fiato, e anche se era il suo colore preferito, Percy pensò che non fosse una buona cosa. Eppure non era stanco. L'acqua salata continuava a dargli energia che sarebbe stato un peccato sprecare. Se solo avesse saputo come impiegarla...

Questa volta il mostro aveva evidentemente deciso di metterci un po' più di impegno, e cercò di allontanarlo dalla superficie con maggiore velocità. Il semidio, non riuscendo più a trattenersi, sospirò, lasciando uscire sottoforma di bollicine l'unico accenno ad aria che gli fosse rimasto nei polmoni. Ok. Era morto sul serio, a quel punto. Annaspò in cerca di ossigeno, e si stupì di trovarlo subito. Stava respirando. Come...? Si guardò intorno, in cerca di una spiegazione. Niente, solo spazzatura, sporcizia, qualche pesce all'apparenza non molto sano. Non era in superficie. Ma stava respirando davvero. Dove trovava l'aria per...? Si irrigidì quando realizzò: quella che respirava era acqua. Era stato sicuro di averne viste di ogni tipo, dall'inizio del suo viaggio, ma quella batteva perfino Stanlio e i suoi stuzzichini in quanto a stranezza. Si lasciò andare in una lunga risata, che riusciva a sentire chiaramente.

Eroi dell'Olimpo: ciò che zio Rick ci ha omessoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora