Solitudine

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La pioggia cadeva sottile e incessante sulle strade, rendendo rilucenti i tombini sui marciapiedi e impregnando l'aria di un odore di muffa e smog. L'uomo camminava velocemente, come se fosse in ritardo, avvolto nel suo impermeabile che gli copriva il volto fino agli zigomi. In realtà non aveva idea di dove avrebbe dormito quella notte, visto che sua moglie lo aveva appena cacciato di casa e la sua valigia era ancora rimasta sfatta, buttata in un angolo della stanza. Mentre era immerso ancora nei suoi pensieri la luce abbagliante di un insegna al neon lo distrasse e lo fece inciampare e urtare una signora distinta che camminava nel verso opposto.

"Scusi, mi dispiace, mi ero distratto" disse balbettante, ma la signora aveva ripreso già il suo contegno ed era andata via.

L'uomo si girò verso l'insegna sulla quale c'era scritto a caratteri cubitali e fosforescenti "Mefisto Hotel" con due piccole fiammelle che contornavano la scritta. Non seppe bene che cosa lo spinse ad entrare nella hall, visto e considerato che doveva essere un hotel piuttosto lussuoso, ma appena fu dentro rimase stupito di quanto gli sembrasse famigliare quel luogo. Da subito si notava la grande reception in mogano e dietro numerose chiavi d'oro scintillanti che ondeggiavano lentamente a causa dello spiffero che l'uomo si era portato dietro nell'entrare; sulla sinistra si vedeva il ristorante dietro a una porta in vetro; oltre la reception si notava un lungo corridoio con delle porte. La cosa più sorprendente e agghiacciante era in qualche modo il lampadario, tutto di cristallo e composto da piccoli teschi e segni satanici: era talmente bello e sconvolgente che l'uomo rimase lì a guardarlo con gli occhi spalancati. In quella stessa posizione lo trovò la proprietaria dell'albergo, che lo salutò con un sensuale ma distaccato "Salve". L'uomo distolse lo sguardo dal lampadario per rivolgerlo alla voce che lo aveva salutato: davanti a lui c'era una bellissima donna che lo guardava sorridendo. Aveva dei lunghi e mossi capelli corvini che le incorniciavano il viso e ricadevano mollemente sulla scollatura abbondante, che la maglietta attillata metteva ben in risalto. "probabilmente quella donna non porta neanche il reggiseno" pensò l'uomo.

La donna sembrò accorgersi dei suoi pensieri languidi e si scostò lievemente i capelli.

"Salve, come si chiama?"

"Emh, John... John Smith." disse l'uomo balbettando, ancora sconvolto dalla bellezza della donna con il cuore di ghiaccio.

"Ah-ah" riprese la donna, fingendosi interessata "un nome molto comune da queste parti... Desidera pernottare per la notte?"

John non riusciva a rispondere perché aveva un nodo alla gola. Tentava di mandare giù la saliva e tentava di non sudare. Quella donna era talmente bella da togliere il fiato. Annuì con movimenti della testa rapidi e poco convinti.

"Perfetto. Il numero della sua camera è 6" prese la chiave dalla rastrelliera e si avviò con passo ondeggiante verso il corridoio semi buio oltre alla reception.

"Mi segua"

John, ancora frastornato, seguì con passo incerto la donna fino a raggiungere una pesante porta in legno con il numero 6. La donna aprì la porta e gli augurò buona notte e la sensualità della sua voce gli mosse qualcosa dentro allo stomaco. Solo dopo che la porta si fu richiusa John si ricordò che non sapeva neanche il nome di quella bellissima donna.

Quella notte John rimase a lungo sdraiato sul letto a pensare e quando prese sonno venne agitato dai sogni che gli affollavano la mente. La moglie lo cacciava di casa minacciandolo con un coltello, nel giardino sparsi i resti del loro piccolo figlio Jonathan e la sua testa staccata che lo guardava e gli chiedeva aiuto. Si svegliò in preda al panico, urlando ossessivamente e con il pigiama appiccicato al corpo. Quando riuscì a calmarsi vide che la luce del corridoio era accesa e sentì dei passi percorrerlo fino a fermarsi davanti alla sua stanza. John rimase in silenzio per qualche minuto, fino a quando i passi non si allontanarono di nuovo verso la hall. Il signor Smith si trovò di nuovo a pensare a quella bellissima donna che lo aveva accolto in questo strano hotel e si addormentò di nuovo con quel dolce pensiero. Questa volta il sogno era ben diverso: sognò la donna dal nome misterioso tutta nuda nella sua stanza che lo invitava con la sua voce sensuale a fare l'amore con lei. Sentì la sua pelle liscia a contatto con le sue mani, il sapore dolce della sua bocca, la languidezza della sua lingua sul petto e poi sull'addome. Il suo membro divenne duro e la donna lo prese e lo accarezzò. Fecero l'amore con passione per un lunghissimo tempo e scariche di piacere invasero tutto il corpo di John prima che lui si svegliasse a causa della chiamata in camera. Quando si alzò dal letto, notò che l'aveva ancora duro a causa del sogno "Cazzo" disse in un unico sospiro. Fece qualche esercizio fisico per svuotare la mente in modo che il suo pene non desse più problemi e rivestendosi andò a fare colazione.

Al ristorante, seduto a un piccolo tavolo verso la finestra esterna, John masticava sovrappensiero un boccone di brioche e dello zucchero a velo si era sparso sulle labbra e sulla punta del naso. Non si accorse della donna bruna che stava avanzando nella sua direzione e che si sedette proprio di fronte a lui. Appena la vide il suo cuore perse un colpo e la sua mente corse subito alla notte precedente, al suo sogno, e dovette distogliere lo sguardo per calmarsi e non arrossire di fronte a lei.

Mormorò un buongiorno guardando verso la strada, dove la poggia batteva ancora dalla sera precedente. La donna lo guardò con interesse mentre un sorriso sarcastico si formava sulle labbra carnose.

"Buongiorno. Sa, non mi piacciono le persone noiose, fanno perdere tutto il fascino alla vita" fece una piccola pausa in silenzio, concentrandosi sullo sguardo attonito di John "veda di non farmi annoiare"

Senza aggiungere altro si alzò e se ne andò, lasciando John con ancora la brioche in mano a mezz'aria e uno strano presentimento che alleggiava sulla sua testa. E per la prima volta si rese conto che nonostante quell'hotel fosse immenso, lui era l'unico ospite.

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