Paura

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John si svegliò la mattina seguente, con lo stomaco che ancora protestava e un cuore pesante di pietra. La camera era stata ripulita dalla tristezza e dal dolore che l'uomo aveva riversato sul pavimento il giorno prima e ora regnava solo un profumo di pino silvestre e menta. Sembrava che tutto l'accaduto pretendesse di essere dimenticato, sotto la coltre di preoccupazioni che i vivi hanno delle loro vite, lasciando indietro semplicemente quello che non c'è più. Ma John in cuor suo, sapeva perfettamente che questo non lo avrebbe dimenticato. Era la sua più grande paura. Morire ed essere dimenticato come se non fosse mai esistito, come se la sua vita non fosse valsa nulla nel grande bilancio dell'universo. Sapeva tristemente che però è la sorte che capita ad ogni uomo, per questo come accade diventa importante. Lui voleva avere solo accanto una donna che lo amasse con tutta se stessa, con la quale sarebbe dovuto invecchiare e ritrovarsi un giorno a versare lacrime di gioia per non vederla volare via per prima. Invece no. La sua vita si era incrinata molto tempo prima e era chiaro che prima o poi si sarebbe rotta definitivamente. Ora non gli rimaneva nient'altro che questo maledetto lavoro e il senso di solitudine, rancore e paura che serbava chiusi nel cuore e protetti da fili spinati. Decise dunque di passare tutta la mattinata a girovagare senza meta nella hall dell'hotel, senza mangiare né bere nulla, e dormendo quando le forze non lo reggevano in piedi. Verso il crepuscolo però la donna bellissima ricomparve nella hall, afferrando con insolita forza il braccio di John e portandolo a sé. Lo guardò negli occhi con dolcezza, come una madre guarda un figlio che tiene saldamente in braccio, e con voce gentile gli chiese:
"Cosa credi che abbia provato?"
John era spaesato, guardava in un punto indeterminato dello spazio. La testa ondeggiava a ritmo del suo battito cardiaco, voleva solo abbandonarsi al tempo che scorre inesorabile, in qualche modo avrebbe potuto curare quella malattia di vivere che aveva addosso.
"Non..Non lo so"
Non lo sapeva davvero, ma in fondo che cosa importava? Ormai quell'uomo era andato, via per sempre. Anche la più piccola occasione di mostrargli interesse era sparita con lui. Forse era proprio quello a tormentarlo in quella hall a Las Vegas.
"Nulla. Ha provato esattamente il nulla. Quello che ha sofferto sei stato tu... John"
Momenti di silenzio.
"Neanche lo conoscevi"
John guardava come fossero lucide le sue scarpe, toccandosi nervosamente il nodo della cravatta.
"John, si ricordi che il problema della morte è per chi rimane, non per chi se ne va... per loro c'è solo il vuoto assoluto"
Questa affermazione riaccese qualcosa nella mente dell'uomo. Natasha vide quella piccola scintilla di vita e decise che era abbastanza.
"Stasera finiremo il giro dell'hotel. A mezzanotte inizia il tuo turno di lavoro"
"Okay, suppongo che mi sarebbe toccato prima o poi" rispose l'uomo, poi aggiunse con una punta di amarezza "ma non le interessa proprio della morte di quell'uomo?"
La donna lo guardò con uno sguardo cattivo "Lei non ha idea di cosa importi a me. E comunque le ho già detto che la vita è anche così"
Non venne lasciato spazio alle sue parole dalla macabra comparsa dell'ascensore dorato dalla parete. In questo modo la conversazione era definitivamente conclusa. Senza parlare, donna si diresse verso l'ascensore con un passo deciso e a John rimase solo di barcollarle dietro. La doratura delle pareti lo accolse nel suo freddo grembo. L'unghia smaltata di rosso premette il penultimo pulsante, il numero 6.
"Benvenuto al piano dei golosi"
Questo piano era decisamente straordinario. Non vi erano stanze, né letti, nulla che potesse ricordare un piano di un albergo. Vi era al suolo una tenera erba verde, con ciottoli chiari e scuri sparsi sul terreno, alberi e ruscelli. Gli alberi erano carichi di cibo di ogni tipo e agli angoli di questo spazio zampillavano cascate di cioccolato, miele e vino, di cui gli ospiti potevano servirsi a piacere. John sentiva suoni di risate e questi risollevarono il suo cuore, caduto nel baratro della depressione. Al centro di quello spazio vi era una bellissima fontana di acqua limpidissima. I suoi spruzzi però creavano un effetto ottico da farla somigliare al più bell'albero che un uomo possa immaginare. L'acqua riluceva di ogni colore, creando un arcobaleno in una stanza.
"L'acqua è vita" disse la donna, sospirando.
John la guardò negli occhi e quando vide un cenno di assenso, si inoltrò nella stanza, si inginocchiò di fronte alla fontana e affondate entrambe la mani a coppa bevve con lunghi sorsi. A John sembrava di non aver mai bevuto: l'acqua gli scorreva in gola come un medicina, che sanava il suo corpo dall'interno, guarendolo dalla sua malattia di vivere.
"Vede questo albero John... La vita. Ci può essere anche la morte, la possiamo incontrare, ma la vita rimane sempre al centro di tutto"
E l'importanza della vita scorse davanti agli occhi di John come se fosse un film, ne rivide ogni singolo istante e ricordò ogni singola vita che si fosse spenta nel passato da quando il mondo è stato creato. Si rese conto che ogni vita fu importante nel bilancio dell'universo, perché se si vive davvero non si lascia mai il mondo come lo si è trovato, ma migliore.
"Il Signore Iddio fece germogliare dal suolo ogni specie di alberi piacevoli d'aspetto e buoni da mangiare, e l'albero della vita in mezzo al giardino..."
Quel posto sembrava veramente l'Eden e tutti erano felici lì. Si guardò attorno estasiato, voleva veramente essere felice anche lui come loro.
"...e l'albero della conoscenza del bene e del male."
Solo allora l'uomo si rese conto che alla sinistra di quel bellissimo albero ce ne era un altro di mele. Le mele erano di un rosso sanguigno, grosse, turgide e succose. Appena la donna vide il suo sguardo posarsi su quell'albero, vi andò incontro e ne staccò una dal ramo più basso e le diede un morso. Poi ne prese un'altra e la tese a John.
L'uomo si alzò in piedi e andò anche lui verso l'albero della conoscenza e prese in mano la mela che la donna gli stava porgendo.
"Se mangi di questo non potrai più tornare indietro" disse la donna con uno sguardo penetrante.
L'uomo guardò la mela, poi la donna e poi ancora la mela e infine vi diede un morso. Quello che provò dopo fu indescrivibile a parole umane, ma conosceva tutto, conosceva l'animo dell'uomo e vedeva la verità dietro tutte le menzogne e si rese conto di essersi spinto oltre e di non poter mai più tornare indietro. Si rese conto che nessuno degli uomini o delle donne lì dentro aveva mai guardato l'albero della vita, né quello della conoscenza, perché erano troppo occupati a guardare e mangiare gli altri, consumati dal loro desiderio. Riconosceva nelle loro risa solo la gioia dello stomaco e non quella del cuore, che neanche veniva toccato da quella meraviglia. Si sentì disgustato da tutto questo e ne ebbe abbastanza. Andò verso l'ascensore seguito silenziosamente dalla donna. La mela era ancora stretta nella sua mano. Quando la porta si richiuse di fronte a loro, solo una figura aveva notato la loro presenza e i suoi occhi li seguirono finché non sparirono dietro all'ascensore. Forse c'è ancora speranza.


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