Combattere ancora

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Le figure si formavano e si scioglievano, rendendo impossibile a John distinguere a chi appartenessero quei volti di cera. Delle voci ronzavano intorno a lui come mosche, ma gli era impossibile riconoscere che cosa dicessero; l'uomo era stordito da tutte quelle sensazioni, incapace di capire se fosse in piedi o sdraiato, se stesse dormendo o fosse sveglio, si guardò intorno alla ricerca di qualcosa che gli risultasse famigliare e a cui potesse aggrapparsi per sopravvivere all'annegamento nella sua testa. Improvvisamente di fronte a lui apparvero delle figure, dei bambini, uno di fianco all'altro in fila e con le braccia distese e abbandonate lungo i fianchi e John era piuttosto sicuro che lo stessero tutti guardando nonostante quei bambini non avessero gli occhi: le loro facce si erano sciolte in un unico strato di pelle sottile, come una bambolina di pezza a cui non sono ancora stati cuciti gli occhi, il naso e la bocca. La fila di quei bambini sembrava allungarsi all'infinito e svanire dove l'occhio più non ha coraggio di spingersi. John corse e corse lungo quel corridoio di bambini fino a trovare l'ultimo della fila: quel bambino sembrava stranamente familiare a John e più lo guardava più aveva la sensazione di averlo già visto, eppure i tratti che contornavano quel viso vuoto gli sfuggivano, fondendosi come cera colata. Nella piccola manina era stretta una grossa mela rossa, che il bambino di portò alla bocca, tentando di staccarne un grosso morso, poi, alzando la testa verso l'uomo e inclinandola di lato, gli tese la grossa mela. John, confuso, prese la mela dalla piccola mano del bambino e stava per darle un morso quando tutto sfumò nel bianco.

Il sudore gli aveva imperlato la fronte e John se ne rese conto quando si scostò i capelli dal viso. ma riconosceva bene la figura che troneggiava sopra di lui con il viso vagamente corrucciato dalla preoccupazione: Alba, il cui volto era illuminato dai raggi del mattino, rendendola ancora più bella. L'uomo rimase a fissarla come se fosse una dea alla quale doveva offrire un sacrificio, poi, stroncato da una forte emicrania, si rilassò di nuovo sul letto, stringendo gli occhi a due fessure e continuando a guardare Alba con quell'espressione di adorazione che ormai gli aveva rapito il viso. Davanti ai suoi occhi continuavano a danzare le ombre di quello strano sogno, che lo aveva fatto sentire come disperso e vuoto, un corpo senza anima, e solo.

Ballerine di ceramica rompono la loro posa eterna per muoversi a ritmo di una musica oscura che giaceva loro in fondo al loro ventre vuoto. Vuoto proprio come John, che si sentiva trasportare in quella danza malata da dei fili invisibili: il suo corpo ormai è come se non gli appartenesse più, anche la sua bocca era stata cucita da una mano onnipotente con uno spesso filo nero; l'unico rumore che poteva sentire nelle sue orecchie ronzanti era il suono della sua risata, sgorgata dal nulla che non si interrompeva mai, mentre le sue viscere vibravano di quella musica comune.

John scosse la testa per allontanare quelle immagini che ormai gli avevano invaso la mente, tappandosi con forza le orecchie: se assaporava le proprie labbra poteva ancora sentire il sapore metallico del sangue provocato da quelle ferite che però non erano incise nella pelle. Si stava perdendo dentro sé stesso e credeva che non avrebbe più trovato una via d'uscita da quello che gli stava accadendo: a malapena riusciva a percepire i suoni che gli arrivavano dal''esterno, come se si fosse isolato a forza dalla realtà, ma quello che c'era all'interno gli faceva ancora più paura, da solo con la sua anima molliccia e scura, che ribolliva come un pentolone di catrame.

"John.."

John...

"Combatti..."

Lasciati andare... il tuo corpo non ti appartiene, non ti è mai appartenuto. Sei stato NOSTRO da quando venivi chiuso in quello sgabuzzino umido dai tuoi "amici" per divertimento... Ti ricordi? Il nostro patto? Non ti saresti mai più fatto fare delle cose del genere da nessuno... Eppure... Tua moglie, la tua ex moglie, ti ha sempre trattato così... Lasciati andare...

"JOHN!"

Lunghi burattini di pezza scivolano su un pavimento di pietra nera lucidissima verso una grandissima porta con un velo, che si contorce e ribolle come se avesse vita propria: John gli si era avvicinato tanto quasi da poter toccare quel velo e rendersi conto che in realtà, visto da vicino, quello non era un velo, quanto più una fitta nebbia dal colore indefinito, quando una voce strappò il tessuto di quel sogno. Era la voce di Alba.

L'uomo aprì di nuovo gli occhi e la luce del giorno gli ferì le pupille, costringendolo a socchiudere le palpebre: si trovava ancora sdraiato sul letto nell'albergo maledetto, ma aveva Alba al suo fianco. Nonostante la debolezza che avvertiva fino nel midollo delle sue ossa, decise di doversi almeno mettere a sedere, per scrollarsi via quella sensazione di sudario che stava provando in quel letto. Solo dopo si rese conto di essere sdraiato nudo -si era reso conto per la prima volta seriamente di essere nudo- nel letto di Alba e un vago rossore per l'imbarazzo e abbassò gli occhi, ma continuava a sentirsi addosso quei grossi occhi neri come la pece che lo fissavano. John iniziava a pensare che quegli occhi contenessero il segreto dell'universo; quel pensiero strano non l'aveva lasciato da quando Alba lo aveva guardato diritto negli occhi la prima volta che lui aveva fatto piede su quel piano. La sua attenzione venne poi attirata da una piccola tazza ricolma di tè fumante: la tazzina era trasparente e gli permetteva di osservare il liquido colorato all'interno. Anche se per un'occhiata sfuggente il liquido poteva sembrare omogenea, in realtà conteneva piccoli pulviscoli che vorticavano su loro stessi. Quando bevve il contenuto un calore intenso si diffuse nelle sue membra, ristorando i muscoli dalla stanchezza e rilassandolo. Ora che quell'incubo era finito si sentì completamente svuotato, non sentiva più di avere uno scopo nella vita, ma rimanere lì con quella bellissima donna al suo fianco, sapeva che avrebbe portato solo a il desiderio mostruoso che aveva dentro di possederla. La guardò a lungo, con il cuore che batteva tanto forte da sentirlo nelle orecchie; stava per allungare una mano per accarezzare quella pelle liscia e candida come la porcellana, ma alla fine vi rinunciò e fece cadere la mano sulle soffici lenzuola. Alba fece un piccolo sorriso amaro e abbassò gli occhi e si alzò dalla poltrona che probabilmente l'aveva ospitata per la notte. John sentiva che era il momento di andarsene: si alzò lentamente dal letto e se ne andò in silenzio, lasciandosi alle spalle il proprio mantello che era ancora appeso nella camera di Alba. Nel corridoio il suo cuore prese a battere velocemente di nuovo, come un tamburo nel profondo della sua carne, e l'uomo si appoggiò al muro della camera di Alba, sicuro che lei non potesse vederlo per via del colore nero del vetro spesso che componeva le pareti; quel nero un poco gli scivolò dentro, una piccola consapevolezza del suo essere, che ormai si credeva corrotto sino al midollo.

Arrivato alla sua stanza si sdraiò immediatamente sul letto, lasciando i suoi macabri pensieri scivolare nel suo subconscio, lasciandogli solo una lieve sensazione sfrigolante sotto la pelle della nuca e lì si addormentò.

Quella notte, una figura entrò nella sua stanza e depositò sul comò un pacco che sembrava leggero come un foglio di carta. Quella esile, ma forte figura si lasciò cadere dietro una lunga piuma nera e prima di uscire dalla stanza, lanciò una occhiata dolente all'uomo avvolto tra le lenzuola. Il mantello era tornato al suo proprietario.


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