Nebbia e fumo

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Tutto era avvolto in una nebbia quel giorno. Non era una nebbia reale, ma John la percepiva come se avesse potuto toccarla. Tutto il suo corpo era avvolto in quella nebbia e a malapena riusciva a sentire le proprie estremità. La sua mente al contrario annegava nel piacere; aveva sempre sperato che il piacere avrebbe potuto invaderlo come fuoco liquido e cancellare ogni altra emozione che stava occupando il suo cuore. Invece la tristezza e la disperazione erano ancora ben ancorate al suo interno come una sferetta di ghiaccio impenetrabile, che poteva essere solo lambita dal fuoco della lussuria, ma non di certo scalfita.

Il suo corpo era al punto di rottura, ma l'uomo sembrava non percepirlo: la sua mente era avvolta in quella nebbia scura, mentre gli arti si muovevano a ritmo del piacere che gli fluiva dentro. La pelle calda e morbida della ragazza sulla quale era sdraiato gli ricordava vagamente quella di André, che lui soleva toccare così spesso che ora quasi gli mancava quella sensazione sotto le sue dita. A quel pensiero il suo pene si fece ancora più duro di prima e la ragazza se ne accorse e lanciò un gridolino di piacere, portando un braccio intorno al collo di John e un altro su uno dei suoi seni. John smise di prestare attenzione alla ragazza perché l'uomo che lo stava penetrando da dietro era arrivato al suo limite e gli aveva afferrato i fianchi, spingendolo sempre più verso la sua verga pulsante che da un momento all'altro avrebbe rilasciato il suo fuoco dentro di lui; il biondo spinse il suo corpo contro quello dell'altro, modellando i suoi muscoli per trarne il massimo piacere, fino a farsi invadere da quello che aveva sempre sperato. Quando ne fu travolto rimase quasi senza fiato, sentendo che anche lui ormai stava per arrivare alla fine, e diede qualche colpo poderoso alla ragazza che ormai urlava di piacere sotto di lui. John alzò la testa e appoggiò il sedere sulle caviglie con il busto eretto; il corpo della ragazza era in parte abbandonato sopra di lui e lei chiuse le gambe intorno alla sua vita, in modo che John potesse penetrarla in profondità e con forza senza dover aiutarsi con le mani. Quello che l'uomo vide poi di fronte a lui fu un enorme pene eretto: lo prese in mano senza esitazione e con movimenti esperti lo leccò e lo mise in bocca assaporandone ogni centimetro. Non ci mise molto a far venire quell'uomo e quasi simultaneamente venne anche lui, per poi accasciarsi di fianco alla ragazza che, ormai sfinita, si era addormentata quasi subito. John era sfinito, distrutto,ogni centimetro del suo corpo era devastato da quello che stava facendo e, in quell'istante tra il piacere misto al dolore e il non sentire più nulla, nel cuore di John la sfera di ghiaccio faceva male, malissimo e gli ricordava una felicità che aveva ormai perduto per sempre. Le cicatrici che si era fatto quella notte di disperazione e solitudine tempo prima, tornarono a bruciare come se si fosse ferito proprio pochi istanti prima. Una piccola lacrima gli scese dalla guancia, come un testimone muto della strage che si stava svolgendo dentro John, una battaglia che infuriava continuamente. L'uomo, ancora disteso sul pavimento, mentre nella stanza tutto si acquietava, fece una cosa che si era ripromesso di non fare, perché aveva fatto troppo a lungo: spense i propri sentimenti. E' un bottone fragile nella mente dell'uomo, uno di quelli che una volta toccati ti riprometti di non toccare mai più, ma poi il desiderio si fa troppo forte e tu ti senti così debole da non farcela a mantenere la tua piccola promessa e li tocchi di nuovo. John era stanco di tutto quello e semplicemente non voleva provare più nulla: non voleva sentire il rimorso per aver fatto soffrire John, non voleva provare il disgusto per se stesso, la vergogna, la paura... Forse fu proprio la paura a farlo decidere, perché John non si sentiva più uomo e voleva solamente cancellare tutto quello che era; nella sua mente continuava a risuonare quella frase che tanto aveva temuto e voleva metterla a tacere per sempre.

L'uomo si alzò con calma dal pavimento, trascinandosi dietro il mantello di corvo che aveva abbandonato a terra. Dietro di lui si formò una piccola striscia di piume nere cadute dal mantello, ma John non se ne accorse e uscì dalla stanza senza neanche chiudere la porta e si diresse verso la sua. Entrò e il buio lo avvolse ancora, stringendolo nelle sue grinfie; l'uomo andò in bagno e fece scorrere l'acqua calda nella doccia, dopo di che vi si tuffò come se per lungo tempo non avesse respirato in un apnea d'aria. All'interno della doccia, John esaminò il suo corpo, guardandosi con calma, senza alcun giudizio e tentando di non pensare a nulla, solo guardandosi e riscoprendosi centimetro per centimetro: le cicatrici sulle gambe che si era fatto da piccolo cadendo dalla bici e poi, più grande, dallo skate e dal motorino; le dita dei piedi, che avevano sempre fatto ridere la sua amica Kate perché riusciva a muoverle indipendentemente una dall'altra; i capelli, che ormai erano cresciuti tanto, memoria delle sue avventure lì, segno del suo cambiamento; riusciva ancora a sentire in rilevo il piccolo tatuaggio che aveva dietro all'orecchio. Quel piccolo triangolino nero gli ricordava ancora il tempo nel quale aveva più sogni che soldi in tasca, e quello doveva essere un patto con sé stesso di rimanere sempre fedele a quella visione del mondo che lo aveva fatto innamorare della vita tanto tempo prima, un patto ormai disatteso moltissime volte e anche dimenticato. L'uomo fermò lo scroscio d'acqua solo dopo un lungo momento di assoluto abbandono alla sensazione dell'acqua che scorreva sulla sua pelle. Si asciugò con calma e strofinò i capelli fino a farli diventare completamente asciutti, si rimise addosso il mantello e solo allora notò di nuovo la piccola tazza di ceramica sul suo comodino e si ricordò di Alba e del suo sorriso. Bevve il tè che ormai era diventato freddo e il sapore, del quale non si era mai abituato, gli riempì immediatamente la bocca mentre le sensazioni lo avvolgevano rilassandolo completamente.

Fu in quel preciso istante che lo udì: era l'urlo più agghiacciante che avesse mai udito in vita sua. Gli aveva attraversato i timpani e si era annidato dove giacevano le sue più profonde paure. John posò malamente la tazza sul comodino e si precipitò fuori dalla camera in corridoio: anche gli altri ospiti si erano affacciati fuori dalle loro camere e sul volto di ognuno si poteva leggere la paura; l'uomo si rese conto di avere la pelle d'oca e incominciò a strofinare il palmo della mano sull'avambraccio per mandarla via, ma non ve n'era modo. I suoi occhi incrociarono quelli di Alba, che si era timidamente sporta dalla sua camera in fondo al corridoio. John lesse nei suoi occhi la stessa paura che c'era negli occhi di tutti gli altri, ma anche una scintilla di conoscenza: lei sapeva quello che stava succedendo. I due si guardarono negli occhi per un secondo, ma in quel brevissimo istante le loro anime si fusero, i loro occhi lessero quello che erano veramente e si compresero.

E tutto il piano fu scosso da un secondo grido, un grido di disperazione.

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