John era disteso sul letto della sua stanza e non riusciva a prendere sonno: nella sua mente vagavano ancora le parole che la donna con il kimono gli aveva detto. Il suo nome suonava come una maledizione, ogni giorno nascente avrebbe portato con sé il suo nome, Alba, e questo gli avrebbe ricordato il suo peccato. Improvvisamente si sentì soffocare, sprofondato nella tristezza che lo avvolgeva come un manto scuro. Aprì l'enorme finestrone che stava nascosto dietro il suo letto e si affacciò, afferrando a due mani il bordo di metallo e annusando a pieni polmoni l'aria fresca e frizzante di una notte senza stelle. Las Vegas riluceva di splendore proprio, come l'ultima sponda di vita umana, gioiosa e irrefrenabile, che combatte le pene di un inferno che è il mondo in una lotta antica e millenaria tra bene e male. Tra i suoi vicoli stretti e vivaci, giravano giovani spavaldi, leggermente ubriachi, che intonavano canti sconci e ridevano. Donne e uomini si abbracciavano e si baciavano di nascosto dietro agli angoli delle case e dentro quelle anche peccati peggiori e più crudeli. John abbozzò un sorriso sarcastico: essi non conoscevano il mondo nel quale lui stesso stava vivendo, non sapevano del piacere che questo mondo potesse regalare; rimanevano in attesa, di una fine, di una redenzione che mai arriverà e di un nuovo inizio. Si sentiva superiore, rivestito dal manto scuro del buio e del suo peccato, che riluceva nero come un cristallo raffinato, bello e spaventoso allo stesso tempo. Ne era ormai immerso e ne godeva. Solo dopo parecchio tempo in quella posizione di rese conto di sentire freddo e rientrò nella stanza chiudendo la finestra: aveva la pelle d'oca e tutti i peli delle braccia erano rizzati; sulle guance erano comparse delle macchie rosse e le labbra avevano assunto una colorazione decisamente più carnosa e rossa, al contrario il resto della pelle era puro marmo e lasciava benissimo intravedere le vene e i fasci muscolari che giacevano a riposo sotto il velo della sua epidermide. Si accarezzò le braccia tentando di ripensare a ciò che aveva pensato qualche momento prima, alla finestra, mentre guardava il cielo vuoto con uno sguardo malinconico, ma i suoi pensieri gli scivolavano continuamente via come della saponette invisibili, inafferrabili come l'aria, e più si sforzava per recuperarli dalla coltre nella quale si erano immersi, più questi si facevano nascosti e imprendibili. Diede uno sguardo distratto allo specchio al fianco del letto e decise che era stanco: probabilmente era notte fonda e di certo dormire non gli avrebbe guastato per nulla. Si distese sotto le coperte soffici e calde e prima che potesse rigirarsi qualche volta nel letto, si addormentò di un sonno profondo. I sogni però lo tormentarono tutta la notte, con immagini spaventose e segna significato, astratte, che lasciavano in John un senso di inquietudine senza nome. Colori, forme e suoni indistinti gli danzavano sulle palpebre degli occhi, giocando con le ciglia, facendogli il solletico e accarezzandolo dolcemente sulle guance.
Si svegliò che era sudato e agitato. Non ne conosceva il motivo, ma nessun pensiero riusciva a calmare il suo stato e a regolarizzare i battiti del suo cuore, che nel frattempo si era trasformato in un tamburo; riusciva persino a sentirne il battito nelle orecchie, tanto forte da spegnere i suoi pensieri, per concentrarsi sul quel ritmo ammaliante e spaventoso. Fece una veloce doccia calda, che gli distese i muscoli e gli scaldò il corpo ancora leggermente intirizzito per il freddo di prima. Tentò di mettersi di nuovo a dormire, ma appena chiudeva gli occhi e lasciava l'immaginazione correre libera nei campi elisi della sua mente, quelle immagini e sensazioni bizzarre si ripresentavano, lasciandogli quel senso di disagio che non riusciva a scacciare e gli impediva di dormire.
Il corridoio era immerso nel buio e l'unica fonte di luce proveniva dalla piccola torcia antipanico che aveva preso fuori dalla sua stanza: era inquietante che ogni cosa che lui trovasse o facesse, sembrava messa lì appositamente per lui, da mani invisibili di un angelo custode che lo proteggeva dall'alto; ma lui non era di certo l'eroe di una favola e questo non era il paese della meraviglie. Arrivò in fondo al corridoio, davanti alla porta pesante della sala circolare dove tutto questo viaggio era iniziato; toccò la superficie ruvida del legno e un brivido gli scorse su tutta la schiena: era un brivido di eccitazione e di piacere, l'adrenalina gli scorreva nelle vene e lui percepiva chiaramente i polpastrelli delle sue dita formicolare a contatto con quella superficie, come se in realtà fosse viva e pulsasse. Inspiegabilmente ruotò la testa verso la stanza appena prima della stanza circolare, tutta nera, ed ebbe voglia di entrarci, di vederla, di guardarla dormire, ma alla fine si decise di no e spinse con forza il pesante portone. Lo spazio era completamente diverso da come se lo ricordava: era decisamente molto più luminoso, la luce della luna infatti penetrava dal bellissimo lucernario a forma di cupola, da cui si potevano benissimo vedere le stelle; sul lato della stanza di Alba c'era un enorme specchio, che rifletteva direttamente la scena che si poteva svolgere al centro della stanza, dove il pavimento era più basso rispetto al ballatoio; al centro della stanza si potevano notare tutte le stranezze prospettiche della stanza, dove forma circolare si fondeva con forme geometriche finite per formare uno spazio che sembra infinito, illimitato e straordinariamente bello. Si perse qualche minuto a osservare quanta bellezza lo circondasse, fino a che non udì, in un punto imprecisato della stanza, dei gemiti di piacere. Si rese conto che, nella parte opposta a dove si trovava lo specchio, vi era una porta fatta di carta di riso spesso con una intelaiatura di legno di ciliegio, caratteristico dal suo colore rosso. Era strano che non se ne fosse mai accorto prima, di quella straordinaria porta. La aprì lievemente e distinse malamente delle figure muoversi nell'oscurità: non ci volle molto prima che John capisse che in quella stanza vi era la Regina dell'orgia del primo giorno e il pensiero di immaginarla lì, avvinghiata a quei corpi di uomini perfetti, lì solo per soddisfarla gli provocò un moto di disgusto ed eccitazione che si unirono a livello dello stomaco, in una sensazione sgradevole e distruttiva. Richiusa la porta con delicatezza e solo allora si accorse che apparentemente appesa al nulla vi era il bellissimo vestito che la Regina portava la prima ed unica volta che John l'avesse vista. Il tessuto leggermente argentato riluceva di una fioca luce al bagliore lunare e lo rendeva ancora più bello di quanto se lo ricordasse: il profondo scollo si riuniva poco sotto il seno in una cintura di tessuto sotto la quale poi nasceva un'ampia gonna morbida, che pareva ancora fluttuare al vento. L'uomo non si trattenne dal toccare il tessuto di quel vestito incantato che pareva il vestito di una bellissima dea greca e sentì che era leggerissimo e se ne sorprese. Immaginò che a indossarlo la donna non dovesse neanche sentirne il peso, talmente leggero che lei dovesse credere in realtà di essere nuda.
Quando richiuse il portone alle sue spalle, il suo sguardo ricadde nuovamente sulla porta della stanza tutta nera, quella di Alba. John vi si avvicinò e chiuse la mano a pugno per bussare e la avvicinò al legno della porta, ma proprio prima di far sbattere le proprie nocche contro la superficie dura di bloccò a mezz'aria e con sospiro aprì il pugno, facendo scivolare la mano aperta porta. In quel preciso istante, come per magia o per coincidenza, la porta si aprì e John si trovò davanti la bellissima donna dal kimono colorato senza kimono. Ella lo guardava senza espressione, aspettando che lui dicesse qualcosa, ma neanche una parola riuscì ad uscire dalla bocca dell'uomo, che era rimasto ammaliato dalla bellezza della donna. La sua pelle era morbida e uniforme; i suoi seni erano sodi e perfetti e i fianchi sembravano modellati direttamente dagli dei; ma il particolare che più ammaliò John fu il suo viso: era bellissimo, rilassato. Gli occhi risplendevano nonostante la luce fioca della piccola torcia antipanico e i bellissimi capelli color dell'ebano le accarezzavano sensualmente il seno e la schiena. Alba vide il suo sguardo estasiato e si vergognò, dunque corse verso una parete della sua stanza e con un unico fluido gesto indossò il suo kimono, allacciandolo poi con dei rapidi gesti delle mani, precisi e accurati. John era ancora fermo sulla soglia della stanza della donna e in quel preciso istante si accorse di cosa fosse in realtà la vera bellezza: una rosa mai colta, bella e composta proprio perché speciale, oltre a tutte le altre rose, sciupate perché ostentate troppo e consumate da una passione famelica che non si soddisfa mai abbastanza.
La donna lo invitò ad entrare e lui riuscì solo a scuotere la testa lievemente prima di fare qualche passo dentro. Sul tavolino c'erano due tazze di tè fumante e per l'uomo non c'era nulla di più consolante in quel momento; la prese a due mani e ne bevve un lungo sorso. L'amarezza si punzecchiò la gola all'inizio, ma dalla precedente tazza aveva imparato ad apprezzarne il sapore finale, quello che gli rimaneva in bocca alla fine di ogni sorso. Si guardavano a lungo senza parlare mentre bevevano il tè, poi distoglievano lo sguardo imbarazzati verso le pareti della stanza, che John notò essere semi trasparenti dall'interno, mentre all'esterno era nero come l'ossidiana. Alla fine fu proprio l'uomo a rompere il ghiaccio
"Sono stato nella camera circolare"
"Com'era?"
"Molto bella, senza tutta quella gente. Si vede il vero significato..." disse senza pensare e poi arrossì, forse si pentì di quello che aveva detto, forse no. "... Un giorno la porterò"
"Ne sarei molto contenta"
Mentre discutevano amabilmente la mano di John sfiorò quella di Alba e tra i due calò il silenzio. Alla fine la donna si staccò dal loro contatto e si ritrasse verso il letto. John non aveva il coraggio di seguirla, quindi rimaneva solo lì a guardarla senza parlare e basta. Lei si tolse in kimono e lo lasciò scivolare lungo il corpo, poi si mise sotto il letto.
"Buonanotte" disse Alba, tutta rossa in volto, girandosi dall'altra parte.
"Buonanotte" sussurrò John.
L'uomo alzò lo sguardo e vide che il sole stava spuntando timido sopra la città. Sapeva che ogni alba avrebbe portato il suo nome, e aveva ragione. Guardando il sole e la donna più bella che avesse mai visto si era ormai convinto che tutto sarebbe andato per il meglio.
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Sin Hotel
FantasyQual è il nostro limite? In che modo si sfugge al peccato? Esso si infila tra gli abiti come un amante segreto e poi ti pugnala appena non stai guardando.