Le stelle, anche attraverso il vetro erano più belle di quanto avesse mai notato: brillavano nel cielo come mille fuochi che accendevano la speranza anche nel cuore più freddo e curavano anche la persona più distrutta; il solo loro sguardo benevolo sull'umanità sembrava dare un senso a tutto il dolore e alla fatica che comportava essere vivi su quella terra di vagabondaggio perpetuo. Solo guardarle potrebbe portare un uomo in alto, al livello degli dei, e quando la mente e il cuore sono con una stella non si muore, per sempre. John era steso sul pavimento e contemplava quella bellezza, dovendosi ricordare a volte di respirare. Poi, voltò il capo di lato, per ammirare i suoi compagni di viaggio, e sospirò. Ripensò alla sua vita prima di quell'esperienza, alla monotonia che scoloriva ogni giorno nelle tinte più fosche del grigio e a quanto si fosse sentito morto dentro a vivere quella vita. La sua mente ricorse anche a tutto il dolore e a tutto lo shock che aveva provato in quell'Hotel, a come avesse imparato quanto il cuore dell'uomo potesse inabissarsi nell'oblio, ma anche a quanto può essere splendente un'anima umana. In quella stanza circolare, che tempo prima aveva segnato il suo ingresso in quel luogo, John capì che la sofferenza, il dolore e la fatica avevano dato senso a tutto quello che aveva fino a quel momento vissuto; ora si sentiva davvero vivo e importante, anche se nessuno avrebbe mai conosciuto o ricordato il suo nome nella storia, quello che aveva vissuto, quello che aveva provato davano importanza ad ogni suo respiro, perché ce l'aveva fatta davvero. Al di fuori di quella stanza vi erano ancora urla e dolore e il resto degli inquilini in quel piano avevano ormai consumato il cuore della Regina, ma non sazi, si erano avventati su quelli che prima erano i loro amanti, i compagni di letto, coeredi del proprio piacere e la gelosia con cui lo facevano, la rabbia e l'invidia con cui si avventavano sul cuore del vicino, rivelava la loro profonda tristezza e quanto in realtà ognuno si era sentito profondamente solo anche in compagnia di altri. Il sangue inzuppava la moquette, schizzava i muri di vetro e imbrattava i volti, ma nessuno si fermava in quella danza tribale della morte. I suoni, però, erano a malapena udibili oltre la porta di legno massiccio che proteggeva John, Alba e André dal resto del mondo.
"Grazie" disse a un certo punto André, guardando in un punto indefinito del cielo che li sovrastava. John guardò il suo viso, aspettandosi che il ragazzo si girasse e lo guardasse negli occhi, ma non successe; lo sguardo dell'uomo rimase però fisso su quel viso perfetto incorniciato da boccoli rossicci: non aveva null'altro da dire se non...
"Grazie" disse anche lui in un filo di voce. E capì. Era un grazie generico, al mondo, a se stessi, agli altri, solo perché quel momento così perfetto lo meritava. Poco dopo, rotto di nuovo il silenzio, anche Alba liberò il suo ringraziamento verso la vita e l'universo.
Tutti e tre, distesi sul pavimento di una stanza circolare, con l'inferno al di là di una porta, si sentivano come in paradiso. In quel momento nulla più importava se non loro. John arrossì un poco, ricordando tutto quello che lo aveva legato a quelle persone e si riscoprì di nuovo bambino e adolescente a provare vergogna e imbarazzo. Una dolce risata divertita spezzò il filo del suo pensiero e si girò verso la fonte di quella risata: André lo stava guardando con un sorriso amorevole sulle labbra.
"Tu chi sei, John Smith?" disse divertito, guardando John arrossire.
L'uomo arrossì ancora di più e con un piccolo sorriso guardò altrove. Ora credeva di sapere chi era davvero.
"e infine uscimmo a riveder le stelle"-Dante Alighieri, Inferno, canto XXXIV
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Sin Hotel
FantasyQual è il nostro limite? In che modo si sfugge al peccato? Esso si infila tra gli abiti come un amante segreto e poi ti pugnala appena non stai guardando.