- Chapter 16 -

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- Avery, devi raccontarci tutto ciò che è successo –

Il poliziotto che parlava si trovava in piedi e camminava avanti e indietro per quella piccola stanza spoglia e male illuminata, aspettando che la ragazza parlasse; mentre un suo collega era seduto di fronte a quest'ultima, dall'altra parte di un misero tavolo, a scrivere un verbale su un computer portatile.

- N-non ricordo nulla... - la ragazza abbassò lo sguardo mordendosi il labbro inferiore, sperando che le credessero.

Il primo poliziotto si fermò e sbatté il palmo della mano sul banco in ferro, producendo un rumore fastidioso che si propagò per tutta la camera.

- Senti ragazzina – sospirò cercando di rimanere calmo, ma stava iniziando a perdere la pazienza – questo non è un gioco, è la vita reale. E una persona è morta. Quindi dicci tutto ciò che sai o la cosa andrà avanti per molto. Potremmo anche arrestarti per complicità –

- Io non so nulla, sul serio! – la mora tremava, come la sua voce, mentre parlava.

Non aveva intenzione di rivelare ciò che era successo, soprattutto dove si trovassero i ragazzi. Pensava soprattutto a Toby, che probabilmente la stava cercando. Ormai erano passati diversi giorni da quando era tornata a casa e sia Jenna, che i suoi genitori che i poliziotti continuavano a chiederle spiegazioni.

Ormai aveva ripetuto la stessa storia decine di volte: era perseguitata da Slenderman e probabilmente era con Lui prima che riuscisse a scappare, perché non ricordava nulla.

Ma se in un primo momento le credettero, con il passare del tempo avevano iniziato a capire che stava mentendo, o per lo meno che c'era dell'altro sotto.

Si ricordò della conversazione di qualche giorno prima con il ragazzo, al telefono, e di come la chiamata fu interrotta bruscamente dopo un tonfo. Aveva paura che gli fosse potuto accadere qualcosa e aveva intenzione di provare a richiamarlo, nonostante le volte precedenti che ci aveva provato non avesse risposto nessuno.

Il poliziotto sospirò nuovamente e appoggiò anche l'altra mano sul tavolo, guardando la superficie fredda su cui erano appoggiati i suoi palmi, prima di scrutare nuovamente il viso sconvolto della ragazza.

- Per oggi finiamo qui – dichiarò uscendo dalla stanza, seguito dal collega qualche minuto dopo.

Avery sospirò sollevata, prima di uscire anche lei da quella stanza e dirigersi fuori dall'edificio, dove l'aspettavano la madre e il padre.

- Av – la madre le corse incontro con sguardo preoccupato e l'abbracciò.

- Sto bene mamma, voglio tornare a casa –

- Hai ricordato altro? –

- No, non credo che succederà presto. Lui è molto forte... - rispose apaticamente, si sciolse dall'abbraccio e si chiuse in macchina, sedendosi sui sedili posteriori dell'abitacolo, aspettando che il padre mettesse in modo e la riportasse al suo appartamento.

Una volta rientrata a casa, l'amica iniziò a farle le stesse domande; così si chiuse in camera sua sbuffando e si infilò gli auricolari per ascoltare musica.

Passò diverse ore a rimuginare su tutta quella situazione e intanto divenne sera. Spense la musica e si precipitò al telefono fisso per chiamare il suo cellulare sperando che Toby fosse ancora a casa e che stavolta rispondesse.

Uno squillo.

Due squilli.

Tre squilli.

Stockholm Syndrome - Ticci TobyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora