Seconda Parte: No, non lui.

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Innanzitutto vorrei scusarmi per l'enorme ritardo dell'aggiornamento, ma ho avuto il pc fuori uso per tutto questo tempo e avevo la parte nuova salvata lì... mi piaceva come l'avevo scritta e non ho voluto modificarla da cellulare!! Inizia una nuova parte per la nostra Alexandra, che come immaginerete è ormai cresciuta... spero vi piaccia!!! un bacio!!!

P.s.: vi prometto che non vi terrò più sulle spine in questo modo!!!



Capitolo 1 - Ritorno a casa

"Signorina... Signorina stiamo per atterrare, deve allacciarsi la cintura di sicurezza."

La voce dell'hostess si intrufola nel mio cervello e annuisco. Con un grugnito molto poco femminile mi raddrizzo e faccio come dice.

Guardo verso il finestrino con gli occhi ancora appannati dal sonno e riesco a distinguere bene le luci di Heathrow. Sono in volo dalla bellezza di nove ore e sono tutta scombussolata. Dopotutto la traversata da Vancouver non è proprio il massimo. Mi stiracchio incurante del mio amico Jace che dorme accanto a me.

Gli do una botta sul braccio e grugnisce.

"Jace, devi metterti la cintura. Jace!" Gli do un altro pugno. Stavolta apre un occhio. Bene, stiamo migliorando.

"Lex, che vuoi?"

"Stiamo atterrando devi metterti la cintura."

"Ce l'ho già la cintura, stupida rompipalle."

Faccio finta di indignarmi, quando, in realtà, sto morendo dalle risate.

"Jason Flatcher, scusami se mi preoccupo per te." E incrocio le braccia al petto, guardando fuori dal finestrino.

"Va bene, scusa Lex." E si rimette a dormire.

"Jace non ti conviene, fra meno di mezzora saremo fuori dall'aeroporto." Gli faccio notare alzando gli occhi al cielo.

"Odio quando hai ragione. D'accordo, sono sveglio contenta?"

Gli faccio un sorriso smagliante e lui scuote la testa accennando un sorriso. Sa che adoro ottenere ciò che voglio. Mi giro verso il finestrino e il mio sguardo si incupisce. In lontananza vedo le luci di Londra. La mia amata Londra. Sono quattro anni che non ci metto più piede. Da quando ho ricevuto la lettera che mi diceva di essere stata accettata all'Università di Washington sono partita e non sono più tornata. Mi sono laureata a pieni voti in Letteratura Inglese e ora sto tornando a casa perché i miei doveri di Lady me lo impongono. O meglio, perché mia madre me l'ha imposto. Mia madre. Non la vedo dalla bellezza di quattro anni. Ovviamente non era d'accordo con la mia partenza, perché secondo lei avrei dovuto frequentare un'università prestigiosa come Oxford o Cambridge. Sto cercando di pensare a come l'affronterò, quando l'aereo inizia la sua discesa. Jace si accorge che qualcosa non va e sa benissimo di cosa si tratta. Mi stringe forte la mano e mi rivolge uno sguardo comprensivo. Ricambio la stretta e sorrido, ringraziando chiunque ci sia lassù per avermelo fatto incontrare quel giorno di pioggia all'ingresso della WSU. È il migliore amico che una persona incasinata come me possa mai avere. Conosce tutta la mia storia, le battaglie con mia madre, la malattia di mio padre... già, mio padre. Quando frequentavo ancora il liceo, ha scoperto di avere una rara forma di leucemia e da allora va peggiorando. In questi quattro anni ci siamo sentiti per telefono e su Skype. Mi pregava di tornare a casa, ma ormai avevo assaporato la libertà dall'etichetta e dal mio status sociale. Al campus ero solamente Lex, quella che alle feste si scatenava sui tavoli ubriaca fradicia e che durante la settimana si faceva il culo per studiare e lavorare. Sì, lavorare. Non volevo i soldi di mia madre, me li dava solo per pietà e perché era costretta da mio padre. Lavoravo in una piccola libreria appena fuori dal campus e poco dopo sono riuscita a prendere in affitto un appartamento con Jace. Abbiamo convissuto per quattro anni e ne abbiamo viste di cotte e di crude, tra lui che mi raccoglieva alle feste riportandomi a casa in braccio e io che gli passavo tutti i miei appunti perché non veniva mai a lezione. Lo guardo con un'espressione carica d'affetto e gli dico "ti voglio bene, Jace".

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