Mio padre si risiede sul letto e io mi accomodo sulla poltrona nell'angolo. Faccio cenno a Jace di avvicinarsi e si appoggia sulla parete, vicino a me. Papà lo guarda e so già che vuole dire.
"No, papà. Lui resta."
Ci fissiamo per qualche secondo e poi annuisce rassegnato.
"Perché?" La mia domanda è brutale e accusatoria.
"È lunga da spiegare..."
"Ho tutto il tempo che vuoi."
"Cercherò di essere breve e chiaro. Non sono stato io ad allestire tutta questa pièce. Quando sei nata è stato tuo nonno a tirare fuori dalla cassaforte un documento vecchio come il mondo. Non potevo credere a quello che leggevo e non riuscivo a capire come potesse essere pronto già decenni prima della tua nascita. Insomma, potevi anche essere un maschio." Disse mio padre scuotendo la testa.
Stento a crederci.
"Chiesi a tuo nonno quando era stato scritto quell'accordo e lui mi rispose che lo aveva firmato con il suo amico Prichard appena fondata l'azienda. Devi sapere che Prichard gli fece da garante per la riuscita dell'azienda fornendo il denaro per i primi investimenti. Così decisero che quando l'azienda avesse riscosso successo si sarebbe fusa con quella dei Prichard attraverso il matrimonio tra il primogenito Prichard e la primogenita Stewart. Ma dal momento che i due ebbero entrambi figli maschi, estesero il contratto ai nipoti e il caso ha voluto che io avessi te e che James avesse Ethan. Ho cercato di oppormi con tutte le mie forze, ma è stato impossibile. Quando sei partita per l'America ho ringraziato Dio e anche se sono immensamente felice che tu sia tornata, al contempo vorrei che fossi rimasta lì per sempre."
Sapevo che il mio papà non avrebbe mai potuto farmi del male. Mi alzo dalla poltrona e corro ad abbracciarlo forte. Mi ripete in continuazione che gli dispiace e più lo fa più io piango. Piango sia dalla gioia che dal dolore e quando mi calmo entra l'infermiera per dirci che l'orario di visita è terminato.
La guardo quasi in cagnesco e sto per scagliarmi contro di lei quando Jace mi ferma e mi dice in un orecchio che domani è un altro giorno.
Mio padre lo guarda stupito.
"Caspita ragazzo. Devo dartene atto. Sei l'unico in grado di ammansire mia figlia."
Incrocio le braccia al petto e sbuffo mentre Jace scoppia a ridere.
"Non sono un cavallo."
"No, hai ragione. Sei più un toro inferocito delle volte."
Lo fulmino con lo sguardo e gli dico: "Aspetta che torniamo a casa. Poi avrai una dimostrazione del toro inferocito. Ciao papà, ci vediamo domani."
E mi incammino ancheggiando verso la porta.
"Ehi, aspetta scherzavo... Lexie!"
Sorrido al tono supplichevole della sua voce. Giro leggermente la testa inarcando il sopracciglio gli dico: "Non indossare niente di rosso oggi. Ti conviene. E ora muovi quel culo americano che ti porto a fare un giro per la mia città."
"Agli ordini capo!" E fa l'occhiolino a mio padre che, ridendo, ci augura buon divertimento.
Alla reception saluto la ragazza stupida di prima con un ghigno e un leggero sventolare di mano.
"Snob."
"Jace, ti abituerai a vedermi peggio di così. Fidati." E gli faccio l'occhiolino.
Jace scuote la testa e sorride perché sa che dietro i miei occhioni da cerbiatta c'è una leonessa pronta a ruggire.
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Profumo di rose
RomanceVivere nell'oro non è sempre facile e Alexandra lo sa bene. Riuscita a scappare in America da sua madre e dal suo status sociale, dopo quattro anni è costretta a ritornare a Londra a causa della malattia di suo padre che va peggiorando ogni giorno...