Capitolo 17 - Olga

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"Alexandra, svegliati."

La voce di Dolores mi entra nella testa e sento la sua mano che mi scrolla una spalla. Faccio finta di nulla, così forse se ne andrà.

"Alexandra."

Il mio piano a quanto pare non sta funzionando. Grugnisco.

"Dolores, è sabato mattina."

"Lo se, tesoro. Pero esta alguien che te vuole ver."

Mi agito. Non sarà mica...

"Non è Lord Ethan, tesoro." E la sento ridere di gusto.

Mi giro e piagnucolo un "non prendermi in giro".

Però ora sono curiosa, chi sarà mai di sabato mattina? Guardo Dolores interrogativa.

"Te espera tra media ora alle scuderie per fare colazione" e i suoi occhi sorridono gioiosi.

Un momento... solo una persona potrebbe aspettarmi davanti alle scuderie per la colazione.

Grido di gioia e dimentico il sonno. Mi alzo in fretta e furia, vado in bagno a lavarmi i denti e poi mi fiondo verso l'armadio. Ed eccola lì. Mi stava aspettando. La mia tuta da cavallerizza mi osserva e io osservo lei. Sono passati quattro anni dall'ultima volta che l'ho indossata e solo ora mi rendo conto di quanto mi sia mancata.

La prendo e la indosso. Dio, come mi sento a mio agio in questi pantaloni da fantino. Indosso anche gli stivali e mi sento a casa.

Corro verso l'uscita e vado verso le scuderie felice come non mai. Vedo la sua figura minuta seduta sotto un porticato e il cuore mi balza in gola. I pantaloni da fantino, gli stivali, la camicia immacolata, l'immancabile fazzoletto a coprirle i capelli. La raggiungo e mi fermo davanti a lei.

"Nonna."

"Quante volte ti ho detto che non mi piace questo appellativo? Mi fa sentire vecchia."

Alza lo sguardo e ci osserviamo, ognuna studiando i cambiamenti nel viso dell'altra. Occhi negli occhi. Dello stesso taglio. Dello stesso grigio. Un ricciolo brizzolato le esce dal fazzoletto. Lo stesso ricciolo che è sfuggito alla mia coda.

Dopo qualche istante si alza e mi viene incontro sorridendomi. Mi prende le mani e le stringe forte. "Il mio maschiaccio è cresciuto."

Scoppio a ridere a questo appellativo. Mi diceva sempre che ero un maschiaccio perché preferivo passare i pomeriggi a portare fieno ai cavalli piuttosto che a pettinare inutili bambole.

"A quanto pare."

"Sei splendida, ragazza mia. Ma ora siediti, mangiamo. Poi parleremo."

"Prima le signore anziane, Olga."

Mi guadagno un'occhiataccia e poi si siede. Sorrido. La mia adorata nonnina mi ha sempre imposto di chiamarla con il suo nome di battesimo, perché "nonna" le fa venire in mente una vecchietta che sta seduta a fare l'uncinetto e a bere tè. E, effettivamente, mia nonna non ce la vedo a fare una cosa del genere. È troppo attiva, troppo sportiva, troppo tutto.

"Allora, bambina... come stai?" e mi fissa mentre si spalma del burro sul pane tostato.

Domanda di riserva?

"Bene, come dovrei stare?"

"Non mentirmi."

Odio mia nonna. Mi conosce troppo bene, anche se non ci vediamo poi così spesso. In questi ultimi quattro anni ci siamo viste e sentite veramente poco. E mi sento un po' in colpa.

"Come vuoi che stia? Tuo marito mi ha proprio tirato un bello scherzetto."

Il nonno lo ricordo vagamente. È morto anni fa a causa di un infarto. Lo hanno ritrovato nel suo studio accasciato sulla scrivania. Mi ricordo solamente che era molto burbero, ma mi rimpinzava lo stesso di caramelle.

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