Capitolo due

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Aveva trovato tutto strano quella prima notte.
Le sagome dei mobili scuri, l'odore di cui le pareti delle stanze erano impregnate, le sensazioni che albergavano quell'appartamento erano differenti da quelli a cui era abituata. Non era stato semplice per lei chiudere gli occhi sotto quelle coperte estranee: ogni rumore esterno, anche quello più impercettibile, l'avevano portata a trasalire causandole un rapido acceleramento del battito cardiaco. La prima sera lontana da quella che fino a quel momento era stata casa sua, le aveva fatto capire quanto in realtà fosse distrutta e quanto si sentisse sola.
La prima notte senza nessuno al suo fianco, senza Tai, l'aveva sorpresa tremante, con una mano stretta tra le cosce chiare e il respiro pesante, insufficiente a ossigenarle i polmoni.
In quel letto piccolo, dal materasso usurato, non aveva avuto il coraggio di muoversi spaventata da un'entità invisibile e quando Morfeo era giunto ad accarezzarla, il fantasma di una figura distante chilometri da lei l'aveva svegliata portandola a tremare violentemente.
Tai non era lì, almeno non fisicamente.
Quella consapevolezza le aveva stretto il cuore in una morsa dolce e ferrea allo stesso tempo. Aveva sentito lo stomaco contrarsi e presto aveva perso il respiro quando si era accorta che a quel pensiero provava sia nostalgia che sollievo.
Cosa la portasse a sentire la mancanza di quell'uomo non riusciva a capirlo a pieno, ma era certa che se avesse dato ascolto ai suoi pensieri distorti, nati da un rapporto insano e violento, a quell'ora di notte sarebbe ritornata da lui.
E cosa sarebbe accaduto in seguito, Sakura forse non aveva neanche il coraggio di immaginarlo.
Con gli occhi serrati per proteggersi da quegli atroci scenari, aveva sentito nascere dentro di lei l'urgente bisogno di contatto umano, di un abbraccio o anche solo di un tocco sulla propria pelle per avere la prova di essere viva e di poter godere di un simile gesto. In quel momento la sua mente le aveva ricordato di non trovarsi sola in quella casa e la presenza di Sasuke Uchiha, a pochi metri da sé l'aveva per un attimo rincuorata. Impedendosi quasi di respirare, aveva provato a captare anche il minimo rumore oltre quei muri che li separavano, invano.
L'angoscia che l'aveva colta come conseguenza, le fece perdere un equilibrio già precario. Nonostante fosse sola da poche ore, già sentiva di averne abbastanza di sé stessa.
Mordendosi le labbra, si abbandonò al pensiero che, forse, aveva lei qualcosa che non andava.



La mattina dopo era uscita abbastanza presto.

Il sole si era intrufolato tenue alle prime luci dell'alba dalle tapparelle ingiallite della sua stanza da letto e tanto era bastato per infonderle una buona dose di coraggio. Con in volto il timido segno del cuscino, si era alzata, indugiando un attimo sul bordo del materasso prima di mettersi in piedi. Cosa avrebbe fatto da quel momento in poi non era capace di pensarlo, e con ancora gli strascichi del sonno appena concluso, si era rasserenata al pensiero che andava bene così. I fantasmi che durante la notte le avevano addirittura impedito i movimenti, erano diventati un'ombra sbiadita e quella era già una vittoria. Si sarebbe ripresa ogni aspetto della sua vita e a quella promessa si era lasciata andare a un sorriso carico di speranza.
Uscita dalla sua camera da letto si era presa qualche secondo sulla sua soglia per appurarsi di essere sola in casa. Il ragazzo con cui condivideva l'appartamento non le piaceva molto, l'aveva messa a disagio sotto troppi aspetti e i suoi modi di fare l'avevano annichilita. Si era data della sciocca, del resto lei aveva ben altro a cui pensare in quel momento. L'aver attirato le antipatie di uno sconosciuto era una cosa che non avrebbe dovuto toccarla minimamente, eppure si era chiesta – un attimo prima di farsi una doccia veloce – perché gli aveva dedicato quei pensieri.

Aveva deciso di trasportare l'ottimismo che l'aveva colta quella mattina anche fuori da quella casa ancora sconosciuta.
Camminando per le strade del centro di Konoha, si era lasciata accarezzare dalla brezza leggera che agitava le fronde degli alberi che adornavano il suo cammino, godendo della sua delicatezza nello scompigliarle piano i capelli. L'aria di quella città era diversa, sentiva l'odore dei fiori e dell'erba, la natura rigogliosa si stava svegliando dopo una stagione passata a recuperare le energie e lei era emozionata di poter assistere ad un simile spettacolo. Si sentiva come quella terra che l'aveva raccolta in grembo, stanca di una vita fredda e dura, Sakura si sentiva pronta a sbocciare.
Con il naso all'insù, si era presa il permesso di pensare per la prima vera volta al suo futuro, un futuro radioso che avrebbe costruito da sola e con i suoi soli sacrifici. Avrebbe lavorato, con i soldi guadagnati avrebbe continuato gli studi e poi si sarebbe creata un futuro solido e ricco di serenità e felicità. Nella sua vecchia città, durante la sua vecchia vita, frequentava l'università in modo appassionato e determinato. Era iscritta alla facoltà di Lettere, il suo sogno era quello di-
Non lo ricordava più.
Era così tanto tempo che non si dedicava simili pensieri che aveva addirittura dimenticato ciò che avrebbe voluto fare un giorno dopo aver ottenuto la laurea. Per un breve momento smise di camminare e abbassò lo sguardo sul marciapiede sotto di sé. Con le dita strette intorno al manico della borsa, si sentì una stupida al pensiero di aver perso così gravemente il contatto con se stessa.
Si lasciò superare dai passanti che camminavano e cercò un motivo per non piangere in mezzo alla strada. Si sentiva sola e il pensiero di non potercela fare con le sue sole forze, ritornò a inquinarle la mente.
Quando riprese a camminare, non se la sentì di tenere il volto sollevato come gli istanti precedenti, sentendo dietro la nuca il peso ostile delle sue paure.


Presto era arrivata la sera, con le sue luci soffuse, la stanchezza, e i numerosi astri a governare il cielo buio.
Dopo l'ennesimo rifiuto da parte di una gelateria, con un mal di testa pulsante e le gambe doloranti, aveva deciso che era arrivata l'ora di rientrare in casa, sconfitta. Era stata così tanto concentrata a cercare un impiego in qualsiasi negozio o bar, che non aveva minimamente pensato alla cena, sbuffò sentendosi arrancare, non aveva idea neanche di cosa ci fosse in quel frigorifero a casa o se quel ragazzo avrebbe diviso qualcosa con lei.
Quella giornata era stata un completo fallimento, si ritrovò a pensare tra sé e sé mentre seguiva le indicazioni del navigatore che l'avrebbero ricondotta a casa.
Era consapevole del fatto che trovare un lavoro senza esperienze in nessun campo, senza particolari doti né abilità da offrire si sarebbe potuto rivelare complesso, eppure non riuscì a trattenere un moto di stizza quando, osservando l'ora sull'orologio al polso, apprese di aver vagato per un'intera giornata senza ottenere nulla di concreto.
La strada verso casa era più tranquilla delle strade del centro della città. Konoha non era una realtà eccessivamente pretenziosa, era piuttosto una piccola cittadina tranquilla immersa nel verde e la cosa le piaceva. Ma gli alberi che quella stessa mattina le avevano fornito l'ombra durante il suo cammino, disegnando con le loro sagome piacevoli giochi di luce, quella sera la spaventavano. Aveva come l'impressione di trovarsi in una foresta dove al posto dei rami carichi di foglie verdi e rigogliose, artigli crudeli la minacciavano di spaventarla ad ogni folata di venticello.
Camminava a testa bassa, cercando di mantenersi salda quando una folla indistinta di persone, pochi metri più avanti in una piazza appartata, la portò a fermarsi sul posto. Un tenue bagliore, accompagnato dal rumore ovattato di musica indistinta catturò la sua attenzione e senza rendersene conto, spinta dalla voglia di donarsi un'ultima possibilità quella sera, si avvicinò al locale recante sul suo ingresso due soli numeri.
"34".

Sembrava essere un pub underground, di quelli dove i frequentatori di solito si prendevano a botte due volte a sera. La gente che stazionava lì fuori era circondata da un odore nauseabondo di marijuana e per un istante poté giurare, mentre si avvicinava a quel luogo, di aver sentito il puzzo insistente di urina. Non era un pub che avrebbe frequentato con piacere, ma niente di tutto ciò le importava davvero dal momento che fuori dalla grande porta, affisso, c'era un cartello con su scritto "cercasi dipendente."
Quel posto doveva essere suo, pensò mentre il suo viso perdeva gradualmente colore.

Subito dopo aver messo piede lì dentro, un forte odore di alcol e di fumo le aveva colpito i sensi stordendola per un attimo, portandola a pensare che fosse peggiore di quanto aveva creduto pochi istanti prima.
Cercò di muoversi velocemente tra la gente che occupava l'ingresso e provando a non incrociare lo sguardo con nessuno là dentro, si scostò bruscamente quando una mano estranea le sfiorò la nuca, tirando leggermente qualche ciocca di capelli. Sentì distintamente le proteste dell'uomo a cui era stato sottratto quel gioco che non gli apparteneva e a quel suo "ehi!" – alterato dall'alcol e vagamente rabbioso – gli aveva chiesto addirittura scusa.
Come se non fosse un suo diritto decidere da chi essere toccata o meno.
Quando riuscì a raggiungere il bancone, cercò di mettere da parte quei pensieri e prima che potesse essere sicura di ciò che voleva fare, un uomo dai capelli fintamente argentati, le si parò davanti.
Rimase stupita nel notare il colore ambiguo dei suoi occhi, vermigli a causa delle lenti a contatto che portava, cerchiati appena da leggere occhiaie scure. Quell'uomo sembrava uscito da un cartone animato, pensò all'istante. Le metteva un po' di soggezione.
-Ciao dolcezza, cosa posso darti?- le chiese un attimo dopo, squadrandola da capo a piedi con un'espressione poco lucida. Arrossendo dall'imbarazzo e dalla vergogna, si portò d'istinto una mano sul petto stringendo tra le dita la stoffa della maglietta che aveva indosso. Le urla provenienti dalla sala adiacente erano insopportabili, sembrava di stare in un covo di gente poco raccomandabile, ma aveva deciso che non avrebbe ceduto, quel lavoro le serviva.
-Io...- provò una volta, sentendo la gola secca, -...veramente sono qui, per...-, di nuovo prese un istante di pausa, non era sicura di ciò che voleva fare in quel momento; si odiò.
-Per il posto da cameriera?-
Indicando il cartello fuori dalla porta, a Sakura brillarono gli occhi quando, dopo un momento di riflessione, il ragazzo oltre il bancone era riuscito a capire a cosa si riferisse con i suoi vaneggiamenti inconcludenti.
-Abbiamo bisogno di qualcuno che prenda le ordinazioni e serva ai tavoli, te la senti bambina?- il lampo di sfida che animò quelle iridi contraffatte, non le sfuggì.
Rimase un attimo sospesa a quella domanda, era entrata da pochi secondi in quel bar e già aveva le vertigini per la tensione e il fumo passivo che stava respirando, ma qualcosa nel suo cuore aveva preso a bruciare intensamente. L'orgoglio, sopito per troppo tempo, si era messo a scalpitare dietro il suo cervello.
Da qualche parte sentiva di dover cominciare e se era dal "34" che avrebbe dovuto farlo, non si sarebbe sottratta.
-Certo- aveva risposto lei con un tono più fermo.
Alla sua affermazione, quel ragazzo così spigoloso fece il giro del bancone oltre il quale si trovava, porgendole successivamente la mano; per qualche secondo vide le sue labbra estendersi, ampliando il suo già presente ghigno, quando strinse le dita sottili intorno al suo palmo grande.
-Io mi chiamo Hidan, benvenuta al "34"- le parve chiara la sua intenzione di incuterle un certo timore calcando volontariamente sul nome del locale, cercò di non farsi impressionare mentre sentiva il vociare della gente che la circondava farsi più insistente e violento.
-Cominci da subito-.


Era riuscita a dedicare pochi e fugaci istanti all'analisi del locale che con la sua frenesia l'aveva risucchiata da quando vi aveva preso servizio. Le pareti di un malva molto scuro si intravedevano appena, celate maldestramente da un'accozzaglia di poster male incorniciati. Era stata capace di scorgere solo alcune delle numerose stampe che occupavano i muri, riconoscendo in alcuni di essi i ritratti di qualche rock band poco conosciuta e all'apparenza intimidatoria. Una in particolare l'aveva quasi spaventata, una il cui frontman dedicava all'osservatore uno sguardo poco amichevole, reso ancora più truce dalle diverse lampade verdastre che illuminavano l'ambiente. In fondo alla sala, l'asta di un microfono collegata a un impianto scarno e una sedia di legno, annunciavano la programmazione di un piccolo e intimo concerto; sperò con tutta se stessa che la musica suonata quella sera non fosse così violenta come tutto l'aspetto del locale sembrava presagire.

Era passata poco più di un'ora da quando aveva indosso un grembiule sgualcito a cingerle i fianchi, quando si sentì di ammettere a se stessa di aver sottovalutato quel lavoro.
Sakura non era una persona particolarmente maldestra, ma in quel breve lasso di tempo erano molteplici i motivi che – secondo il suo modesto parere – avrebbero potuto portare Hidan a cacciarla da lì. Aveva rischiato di far cascare il vassoio, carico di birre e bevande varie, sulla testa di più di un cliente, aveva dimenticato le ordinazioni, smarrito scontrini e una volta, impalata in mezzo alla sala brulicante di gente chiassosa, aveva perfino dimenticato a chi era destinata l'ordinazione che le traballava sinistra sulla mano.
Forse era solo nervosa, e i fischi che si sentiva alle spalle non appena si voltava la mettevano ancora di più a disagio, forse non era pronta a buttarsi in un'esperienza così invasiva, forse avrebbe dovuto cercare lavoro in una biblioteca.
Non era mai stata una ragazza che era passata inosservata agli occhi della gente e non riusciva affatto a darsi una spiegazione.
Tai le aveva sempre detto che era bellissima, e lei ci aveva creduto abbastanza da volersi dimostrare sempre perfetta ai suoi occhi, ma sapeva anche che le sue parole erano dovute anche al fatto che fosse il suo fidanzato e che lui la amasse tantissimo. Forse.
E poi le faceva promettere che sarebbe stata per sempre sua, e scherzando indicava ogni parte del suo corpo, partendo dagli occhi e giungendo a quelle più intime e delicate, sussurrandole all'orecchio che nessun altro avrebbe dovuto vedere né toccare il suo bocciolo. Presto aveva odiato quel nomignolo, era sporco, cattivo e soprattutto era una bugia. Non si sentiva affatto un fiore.
"E giurami che sarai solo mia"
"Te lo giuro"
Purtroppo non poteva negare di essere stata sincera quando glielo aveva promesso ogni qualvolta glielo richiedeva, quando glielo sussurrava un attimo prima di baciarla con passione, arrossiva sempre a quelle parole. Ma al "34", al solo ricordo, dovette trattenere un conato.
Bastò la flebile ombra di quelle stupide promesse a farle girare la testa più di quanto non vorticasse gli istanti precedenti. Le gambe chiare nascoste sotto un paio di pantaloni scuri leggermente sformati, le tremarono appena e per la seconda volta durante quella sera, fece saettare lo sguardo dal vassoio che teneva in mano a ogni singola persona presente lì dentro. Non riuscì a focalizzare realmente nessun volto in quella sala, a fatica si teneva su quegli arti tremolanti. Sentì crescere rapidamente dentro di sé un accecante panico.
-Haruno, muoviti!-
Le urla del ragazzo oltre il bancone la svegliarono dalla dimensione lontana e oscura dentro la quale si era persa e quando si voltò nella sua direzione, lo sguardo che gli lanciò lo portò a sospirare per l'ennesima volta quella sera.
-Ai ragazzi vicino all'impianto!- un altro urlo le arrivò forte e chiaro, dimostrandole quanto Hidan avesse mal tollerato quel secondo vuoto di memoria. Annuì più a se stessa che a lui e cercò di scuotersi.
A un passo dal crollo fisico e psicologico, Sakura si avvicinò al tavolo indicato dal titolare, l'unico pericolosamente vicino al microfono e alla cassa ad esso collegato, il primo in ordine di numerazione, incontrando il volto curioso e vagamente divertito di due ragazzi.
-Ce ne hai messo di tempo- il primo dei due pronunciò quelle parole con un sorriso sghembo ad adornargli le labbra sottili. Sul suo volto non c'era ombra di scherno, solo un mal celata curiosità di cui però Sakura non si accorse minimamente. Con il volto poggiato pigramente su una mano, il ragazzo dai capelli di un castano molto scuro prese a battere uno stuzzicadenti sul tavolo di legno.
-Scusatemi, sono davvero mortificata- cercò di concentrarsi su altro che non fosse quel gesto ripetuto con una cadenza ritmica e quegli occhi così taglienti da farla sentire eccessivamente scomoda. Il ghigno che le donò in risposta le mostrò dei canini eccessivamente affilati.
-Non importa, qui non è facile, specie se sei sola a gestire una sala intera- l'altro ragazzo che gli sedeva di fianco, sembrava possedere un'indole differente e le bastò guardarlo brevemente per accertarsi di quelle sue supposizioni. I suoi occhi erano di un azzurro incredibilmente limpido e ne rimase istantaneamente affascinata.
Gli sorrise con fare colpevole mentre posizionava sul loro tavolo quello che, a giudicare dai bicchieri sporchi, doveva essere almeno il terzo giro di birra. Non ricordava affatto di avergli portato qualcosa prima di allora e quella constatazione la spinse a trattenere un sospiro pesante
-Sasuke non ha preso niente?- quando il primo ragazzo pronunciò quel nome, il suo compagno di bevute allontanò lo sguardo da lei per dare un'occhiata approfondita alla sala. A Sakura venne in mente subito un volto in particolare. Inconsciamente si ritrovò a origliare la loro conversazione; "Sasuke Uchiha", con i suoi modi bruschi, non lo aveva dimenticato durante quella giornata trascorsa a vagare. Nulla le dava la certezza che si trattasse della stessa persona.
Eppure...
Avrebbe potuto essere lui, pensò cominciando a cercare con lo sguardo un volto che, nonostante la brevità del loro incontro la sera precedente, sentiva ben delineato nella mente.
-Sarà nascosto al suo solito ad accordare la chitarra fino allo sfinimento-, il ragazzo dai capelli di un dorato caldo e luminoso lasciò quella frase a metà e involontariamente si ritrovò rapita dai suoi movimenti sbadati e frenetici. Lo vide travasare con in un unico gesto parte della sua birra in un boccale vuoto, rovesciandone quasi un quarto di essa sul tavolo di legno. Nel boccale, leggermente scheggiato sul manico, la bevanda chiara aveva preso a schiumare incontrollabile.
-Sai come è fatto, no?- continuò poi incurante del pasticcio combinato e che irrimediabilmente avrebbe dovuto pulire lei. Lo guardò con curiosità trafficare con qualche fazzoletto di carta per cercare di rimediare alla sua irruenza, ignorando l'espressione corrucciata che il ragazzo seduto di fronte a lui aveva assunto, -non vuole esagerare un attimo prima di suonare-.
-E tu che stai facendo allora?-.
-Io? Lo faccio incazzare- rispose semplicemente e prima di allontanarsi da lì, le donò un occhiolino senza rivolgere uno sguardo al ragazzo che dopo quell'ultima risposta continuava a ridere più o meno rumorosamente. Rimase a guardarlo fino a quando non sparì oltre una tenda scura che delimitava l'accesso a un piccolo vano nascosto, sfruttato dal proprietario del pub probabilmente come deposito di materiale di qualsiasi tipo.
Fu una frazione di secondo, pochissimi brevi istanti, ed ebbe la sensazione di vederlo, di spalle seduto su uno sgabello, con il corpo proteso in avanti ad imbracciare la propria chitarra. Non riuscì a scorgere il suo viso, ma fu sicura immediatamente che il Sasuke di cui i due ragazzi stessero parlando era proprio lui, il ragazzo che abitava sotto il suo stesso tetto.
Sentì un vago senso di smarrimento a quella constatazione di cui non approfondì le cause.
-I boccali vuoti dovresti portarli via, sai?-.
Non fu semplice per lei evitare di trasalire a quelle parole, aveva completamente dimenticato il ragazzo che sedeva a pochi passi da lei e che la guardava con un sopracciglio indagatore. Si riscosse e annuì, ingoiando un groppone incastrato in gola.



Sakura era stanca.
L'orologio da polso segnalava con arroganza le tre del mattino quando aveva fatto ritorno a casa, ed era veramente esausta. Durante il tragitto dal pub fino all'appartamento si era ritrovata a pensare quanto la difficoltà provata quella sera l'avesse sorpresa. Non aveva mai fatto la cameriera in vita sua, muoversi tra i tavoli con tutti quei boccali di birra o stuzzichini di ogni genere, appoggiati in bilico su un vassoio, le era risultata un'impresa quasi impossibile fino a domandarsi se non avesse commesso un errore nel fiondarsi sul primo posto disponibile. Ma aveva deciso di non pensarci fino a quando il sole non sarebbe di nuovo sorto l'indomani. Sentiva la testa letteralmente fluttuare per una serie infinita di motivi, nessuno dei quali sembrava semplice da affrontare.
Passandosi una mano sugli occhi e poggiandosi alla porta con tutto il peso, accolse per un istante il dolce richiamo del sonno abbassando le palpebre pigramente, fino a quando, pochi istanti dopo, dei rumori sordi provenienti dalla cucina la costrinsero a tenersi in allerta. L'abitazione completamente avvolta dal buio della notte non le permise di distinguere bene neppure le sagome dei mobili che la decoravano e in un solo istante si sentì bloccata sul posto a causa di un terrore cieco.
L'eventualità che dietro quei movimenti ci fosse la presenza di Tai si affacciò alla mente con dolore e per un solo istante, fino a quando una figura non le si parò davanti.
Lo riconobbe subito – di nuovo – e se ne stupì immediatamente.
-Lavori al 34- le disse solo senza alcun colore in quella che sembrava essere un'affermazione piuttosto che una domanda vera e propria.
La voce roca di quel ragazzo, di Sasuke, le risultò più vicina di quanto riuscisse a comprendere e istantaneamente qualcosa la portò a stringersi nelle spalle. Un leggero movimento, un fruscio indistinto di vestiti ed ebbe come l'impressione che se avesse avuto il coraggio di alzare gli occhi verso il volto del ragazzo, le sue ciglia ne avrebbero sfiorato i lineamenti tanto che lo sentiva vicino.
Sasuke appese la propria giacca su uno dei ganci dell'appendiabiti al suo fianco, esattamente come la sera scorsa, e con sé si trascinò il profumo che lo avvolgeva, un misto di tabacco e alcol ne sporcava la traccia e Sakura trattenne il respiro realizzando di averlo troppo vicino.
Troppo vicino.
Quella sera al "34", era stato davvero Sasuke a prendere posto su quella sedia solitaria di fronte all'intera sala gremita di gente, e pochi minuti dopo aveva cominciato a suonare accompagnato solo dalla sua voce. Il suo timbro era caldo e avvolgente e Sakura non era stata capace di capire fino in fondo quale canzone stesse cantando, se fosse stata scritta da lui o meno. Aveva solo sentito una piacevole sensazione che presto era scemata per tradursi in imbarazzo quando, una volta terminato il primo brano, sistemandosi meglio su quella alta sedia di legno, Sasuke l'aveva guardata brevemente.
L'istante successivo si era trovata costretta ad allontanarsi dalla sala, trovando più congeniale avvicinarsi al bancone da Hidan, mantenendo comunque un orecchio teso per captare le note suonate dalla sua chitarra.
-Ho iniziato oggi...- gli rispose in un sussurro, con la volontà di giustificarsi senza saperne il motivo. Con gli occhi, una volta abituati all'oscurità della notte, cominciò a delineare la figura che le si stagliava davanti. Le parve più possente e più alto di come ricordava al punto che un leggero formicolio le camminò lungo la nuca.
Non aveva dimenticato come si era comportato con lei il giorno precedente, ma non riconosceva in quel tono lo stesso che l'aveva trattata freddamente, quasi a volerla scacciare.
Passarono brevi secondi di quiete dove Sasuke sembrava aver stabilito una certa distanza tra di loro. Scioccamente si sentì di ringraziarlo tra sé e sé.
Sperò solo che non fosse ubriaco, - almeno - non troppo.
-Stai tremando- di nuovo si rivolse a lei senza porle alcuna domanda e il suo respiro accelerò in un attimo. Stava tremando, era vero e senza che riuscisse a domandarsi come avesse fatto a capirlo, prese a chiedersi il motivo di quell'agitazione.
Non capiva, sentiva solo il petto di Sasuke abbassarsi e alzarsi, il buio che li circondava, e la porta di ingresso che la bloccava contro di sé.
Era anche il senso di colpa che aveva cominciato a offuscarle una parte della ragione, che la portava a tremare. Schiuse le labbra non trovando una spiegazione a quell'improvviso calore che l'aveva colta.
-Sai, non mi piaci neanche un po'-.
Sussultò appena a quell'affermazione sussurrata all'orecchio. Sentì i suoi capelli sfiorarle una guancia, arrossata e sensibile, e trattenne il fiato.
In attesa di qualcosa che non riusciva a comprendere. Chiuse persino gli occhi mentre i palmi delle mani cominciarono a fremere contro il legno del portone alle sue spalle.
Sentì qualcosa dentro di lei, qualcosa rimasto sopito e anestetizzato da tempo, scalpitare. Qualcosa si flesse dentro di sé in una miriade di modi diversi, ma solo per pochi secondi.
La liberò dalla sua presenza l'istante successivo e si permise di aprire gli occhi solo quando sentì la porta del corridoio chiudersi.

Rimasta sola ad ascoltare il suo cuore battere furiosamente, presto si lasciò scivolare verso il basso, fino a terra, portandosi le ginocchia al petto una volta toccato il pavimento.
Ripensò al momento in cui aveva realmente creduto di avere davanti la persona da cui era fuggita e un brivido la trapassò con violenza un solo istante prima di lasciarla di nuovo intorpidita con una sensazione inaspettatamente piacevole. Non riusciva a collegare quel batticuore alla paura, percepiva altro ed era inutile ignorarlo. Le sue guance rosse forse parlavano per sé, e quello strano calore umido tra le gambe poteva essere la causa di tutto quel suo disagio.

Sorrise debolmente al pensiero di sentire il suo corpo in quel modo così intimo, così vivo.
Inaspettatamente, Sakura era viva.
E forse anche ingenua.


"E giurami che sarai solo mia".




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Aggiornamento del 09/05/2024

Qui le modifiche sono state sostanziali, per prima cosa Sasuke e Naruto non suonano insieme, e non saranno presenti le canzoni che invece erano presenti nella vecchia versione.

Anche il rapporto tra Sasuke e Sakura sarà leggermente diverso, il modo di approcciarsi l'uno all'altro sarà diverso.

Enjoy it.

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