Capitolo uno

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Circondata da un silenzio sconosciuto, Sakura si era sentita libera di respirare con calma avvolta da una tenue penombra.

Quel giorno di metà maggio, il tramonto aveva illuminato debolmente il cielo di quella città sconosciuta per un solo istante prima di lasciare il passo al crepuscolo, sorprendendo i suoi sensi ancora scossi dal coraggio insolito che li aveva colti.
Era successo così in fretta che faticava a riconoscere le proprie dita che, tremanti, stazionavano di fronte agli occhi chiari oscurati da un fremente senso di turbamento. L'anulare spoglio dal canonico anello che lo aveva accompagnato fino a quel momento, era solcato dalla scia leggera del suo passaggio. Con le dita della mano destra la accarezzò piano, beandosi della sensazione di sollievo che la colse nel sentire la mancanza di quel gioiello.
Lo aveva lasciato sul comodino nella loro camera da letto, accanto a un foglio bianco su cui avrebbe voluto scrivere i motivi che l'avevano portata ad andare via. Con una penna qualsiasi tra le mani e con in testa la volontà di dare uno schiaffo immaginario alla persona con cui per anni aveva condiviso la propria vita, si era bloccata non trovando le parole giuste.
Gli avrebbe voluto dire che era stanca.
Che lo odiava.
Avrebbe scritto qualsiasi cosa pur di colpire, seppur in maniera astratta, la persona che fino ad allora non si era sprecato a colpirla in ogni modo possibile.
Eppure, ore prima, si era chiusa la porta di quella stanza alle spalle, raccogliendo i propri averi, senza riuscire a incidere niente di concreto.
In un istante era uscita da quella che per anni aveva chiamato erroneamente "casa", lasciandosi dietro solo un flebile accenno della sua ombra addolorata.

Era andata via, stupendosi – lungo il tragitto verso una città più lontana e sconosciuta – di ogni suo passo, come se ogni movimento compiuto non fosse governato dalla stessa mente che fino a pochi istanti prima l'aveva ingabbiata, sottomettendola.
Aveva tardato ad ascoltare la parte di sé che desiderava di volare verso orizzonti diversi, dove vivere non sarebbe stato così faticoso e con la testa poggiata al vetro del finestrino di un autobus qualsiasi, si era domandata mestamente se si sarebbe mai potuta perdonare. Per aver tardato così tanto nell'ascoltarsi.
Ma era fiduciosa, Sakura. Credeva nella vita, ma soprattutto credeva nella seconda possibilità, nella rinascita. Nella sua rinascita.

Sola, si abbandonò con fatica contro il divano che puzzava di vecchio e stantio, cominciando a guardarsi intorno. L'odore non familiare di quelle mura si accompagnò a una sensazione di leggerezza e paura che – era sicura – con difficoltà avrebbe dimenticato.
Quella casa, la sua nuova casa, era pessima. L'aveva trovata a basso costo in un annuncio mentre vagava in giro per le strade. Konoha sembrava pullulare di case svendute per via della presenza di numerosi universitari e la cosa aveva giocato a suo favore. Era un ottimo affare, aveva pensato, e non disponendo di così tanti soldi per poterne cercare una migliore, si era ritrovata costretta ad accettare. Inoltre ci abitava già qualcuno, l'aveva informata il proprietario mentre le faceva vedere le stanze di quel piccolo appartamento, il che aveva fatto scendere il prezzo dell'immobile. Non era proprio quello che avrebbe desiderato, ma era tutto ciò che si poteva permettere al momento.
Si raccontava che si sarebbe abituata con il tempo, del resto era sua consuetudine farlo.
Scuotendo la testa con decisione, abbandonò quei pensieri legati al passato e sorrise, sforzandosi con tutta se stessa. Sarebbe dovuta andare bene quella volta, perché quella era una nuova vita.
Konoha era una nuova vita e il passato non sarebbe tornato a distruggerla.
Si alzò, trovando dannatamente impossibile stare ferma in quel frangente, e prese a girare per la casa, graffiandosi le mani e alternando lo sguardo da un mobile all'altro.
Si scoprì nervosa.
Più cercava di allontanarlo, più il magone allo stomaco si intensificava. Aveva davvero lasciato casa sua, – finalmente – dopo tutti quegli anni lo aveva fatto. Ed era felice, ma aveva paura. I fantasmi, che era stata capace di domare per tutti il viaggio, erano tornati vigili e reali alle sue spalle. Le urlavano quanto fosse stata stupida anche solo a pensare di potersi liberare di loro, la deridevano, si facevano beffe della sua sorte. Eppure non era stata colpa sua se tutto era finito a rotoli, ma era lei ad aver perso tutto dentro quelle quattro mura. Orgoglio, dignità, fiducia.
Fermandosi di fronte a uno specchio, stentò a riconoscersi nel riflesso di fronte a sé. Le sue mani salirono con lentezza verso la scollatura, abbassando di poco il bordo della maglia.
Un livido violaceo campeggiava sulla sua pelle, partendo dalla spalla destra fino al suo seno, e il dolore, fisico e psicologico, si fece sentire tutto d'un colpo quando, con due dita sottili, lo sfiorò appena. Sentì il bruciore forte della sconfitta invaderle i sensi e le paure insite nella sua testa esplodere con una violenza inaudita.
No, non avrebbe potuto continuare in quella direzione, la sua vita necessitava di una svolta, radicale possibilmente.
L'altra mano salì fin sopra la sua guancia, accarezzandola lievemente mentre gli occhi si inumidivano sotto il peso dei ricordi e delle paure. Li chiuse forte, assaporando sulle labbra il gusto salato, e fin troppo conosciuto, delle lacrime.
Aveva amato una persona che l'aveva distrutta completamente, che aveva fatto di lei ciò che più desiderava. Partendo dalla violenza psicologica e passando per quella carnale, si era vista vittima di quello che lei chiamava "amore".
Ma era stanca.

Dopo la prematura morte del padre, l'unico dei due genitori a esserle rimasto accanto dopo la nascita, Sakura aveva passato gli anni a cercare in qualsiasi uomo quella figura paterna che tanto avrebbe voluto riavere al suo fianco. Quella mancanza l'aveva portata spesso a inciampare nelle relazioni sbagliate, nelle storie facili e vuote, prive di ogni fondamento d'affetto. Fino a quando non aveva conosciuto lui, Tai Raido, di trentasette anni. Tra di loro c'era una differenza di quasi dieci anni, non avevano interessi comuni, non esisteva tra di loro alcun ponte comunicativo, ma al suo fianco si era sentita eccezionalmente protetta e capita.
La loro relazione era nata spontaneamente dopo il primo bacio che l'uomo era stato capace di rubarle una volta accompagnata a casa dopo la prima loro uscita. Senza rendersene conto, erano trascorsi cinque anni trovandosi presto con un anello di fidanzamento e una casa in condivisione.
Non era sempre stata felice con lui, ma era sicura che quella sensazione di mal sopportazione fosse del tutto naturale quando si prendeva la decisione di condividere ogni momento della propria giornata con una persona.
Tai era dolce con lei, o almeno lo era stato qualche tempo prima. Le voleva bene, diceva lui, e lei non aveva esitato a saltare tra le sue braccia. Era un uomo dalle dimostrazioni plateali, qualsiasi cosa provenisse da lui era amplificata dai suoi modi di fare. Se era felice e la amava era capace di portarle anche la luna se glielo avesse chiesto. Di contro, se le cose non andavano come voleva, i suoi modi di fare diventavano scontrosi, burberi e rudi. Era passionale sotto molteplici aspetti ed era un tratto del suo carattere che avrebbe accettato con il tempo, si diceva.
Era anche geloso, eccessivamente forse.
Non erano rare le limitazioni che dopo qualche tempo aveva preso a imporle. Le faceva male, vivere a metà la sua vita, ma lui la amava e non le interessava non indossare una gonna o uscire con il gruppo di colleghi universitari se aveva lui al suo fianco.
Purtroppo ci era voluto del tempo per capire quanto fosse soggiogata psicologicamente, al punto di farla sentire in colpa per una qualsiasi sua mancanza; arrivava a non parlarle per giorni, rifiutandole anche un misero abbraccio, capitava anche che a volte la insultasse.
Le facevano male quelle cose, ma sopportava ugualmente perché lei lo amava, e a detta sua, anche Tai amava lei. E poi quando era stata capace di trovare un equilibrio con quella parte del carattere del compagno, le botte non erano tardate ad arrivare. La insidiava, la maltrattava ma non lo aveva capito subito.
Da allora le cose non fecero altro che peggiorare. Quasi ogni giorno si era ritrovata costretta a subire abusi, tra violenze psicologiche e percosse, e Sakura aveva smesso, presto, definitivamente di vivere.
Avrebbe davvero voluto chiuderla lì con lui, "lo farò, un giorno", si trovava a pensare ad ogni lacrima.
Ma era debole, Sakura.
I suoi propositi non arrivavano mai oltre la soglia della porta di casa e così si ritrovava ogni notte a piangere contro il muro, soffocando i singhiozzi ogni volta che sentiva dei passi, pregando continuamente di non essere sentita da lui.
Le aveva rovinato la vita, letteralmente. Si sentiva sola, era sconvolta da quanto, a volte, si sentiva abbandonata. Nella sua città natale, un piccolo borgo sulle montagne, tutti sapevano quanto stesse male, ma nessuno aveva mai fatto qualcosa per aiutarla ad uscire da quella spirale di amore e odio.
Aveva smesso anche di contare i giorni, nella sua vita ogni ora era uguale alla precedente ed era sempre scandita da una sorda angoscia e un pallido desiderio di non vederlo tornare a casa da lavoro.
E poi era arrivata finalmente quella fatidica goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
Fu in seguito ad uno scontro particolarmente violento che aveva preso la decisione di scappare via. Quel giorno era tornata dall'università più tardi, dimenticandosi di avvertirlo a causa di una lezione finita oltre l'orario prefissato, e lui si era arrabbiato profondamente.
Erano giorni che Tai, a causa di un problema lavorativo, aveva qualche rogna per la testa e in quel momento, quell'offesa che lei gli aveva arrecato era stata troppo da sopportare. Appena rincasata, non aveva avuto neanche il tempo di togliersi la giacca che aveva indosso che subito era stata aggredita con urla e insulti di ogni genere, denigrandola e accusandola di non avere alcun rispetto per lui. Aveva provato a respingere quell'odio, giustificandosi ma aveva perso le parole quando l'uomo l'aveva avvicinata a lui tirandola per i capelli. Quel gesto le aveva fatto così male che, inconsciamente, aveva reagito spingendolo via con un colpo. In seguito, Tai aveva abbandonato la presa facendola respirare ma guardandolo in volto, Sakura aveva visto nella sua espressione tutta la furia che il suo gesto gli aveva causato. Dopo pochi secondi si era accanito su di lei buttandola a terra, e con movimenti bruschi e cattivi le aveva strappato tutti i vestiti di dosso.
L'aveva violentata brutalmente, ferendola nel profondo. Aveva anche sanguinato quella volta. Le sarebbe piaciuto dire di non ricordare niente di quell'evento, che il dolore era stato così forte da portare il suo subconscio a rimuovere quell'episodio dalla testa, ma non era così. Ricordava perfettamente ogni cosa, le spinte e la foga messe nei movimenti da Tai, la passività e la rassegnazione del suo corpo che subiva i peggiori abusi.
Eppure era grazie a quell'episodio se aveva preso il coraggio di andare via da lì, quella violenza inaudita le aveva fatto scattare qualcosa nella testa. Doveva andare via, o sarebbe morta in un modo o in un altro.
Avrebbe imparato a vivere di nuovo, avrebbe trovato un modo diverso per respirare una vita che le apparteneva da sempre e che le era stata sottratta.
Al pensiero di tutto ciò che aveva passato, non le sembrò più tanto vecchio quell'appartamento, profumava di una libertà che si era dovuta cercare con le unghie, e che non le era stata data da una gentile concessione dalla vita come per tutti.
Era con quei pensieri di pallida felicità che sentì la serratura della porta di ingresso scattare con un gesto secco. Fece appena in tempo a sistemarsi la maglia nascondendo il livido procurato da Tai, quando vide un ragazzo entrare in casa con il fare di chi non avesse notato la sua presenza.
Lo guardò brevemente dal riflesso dello specchio davanti il quale si trovava e si voltò con velocità nella sua direzione, imbarazzandosi quando i suoi occhi chiari incrociarono quelli neri e confusi di lui.
Si ritrovò più volte ad aprire e chiudere la bocca nel vano tentativo di presentarsi, ma rimase lì ferma per qualche secondo a osservarlo senza riuscire a dire niente. In tutto quel tempo non aveva pensato a come sarebbe stato di nuovo condividere i suoi spazi con una persona che non conosceva e si ritrovò istantaneamente bloccata sul posto.
Vide i lineamenti del ragazzo piegarsi in un'espressione sospettosa e presto arrossì dalla vergogna e dall'imbarazzo. Il ragazzo si passò una mano tra i capelli neri, scompigliati dal casco che teneva stretto tra braccio e busto e strinse gli occhi nella sua direzione che ancora si ritrovava ferma sul suo posto.
-Io...- cominciò boccheggiando, le dita strette tra di loro a infondersi coraggio, -mi chiamo Sakura Haruno-
-Che ci fai in casa mia?- chiese lui con un velo di irritazione a colorargli la voce profonda e all'apparenza calma.
Fermo sulla soglia dell'ingresso, il ragazzo cominciò a togliersi la giacca di pelle che lo copriva, poggiando il casco per terra. Non si era mosso da lì e lei non era stata da meno.
-Io...abito qui, adesso...- si guardò brevemente intorno, impossibilitata a sostenere gli occhi del ragazzo, il tono burbero la fece regredire portandola a stringersi nelle spalle, -...a dire il vero-, continuò dopo qualche secondo, abbassando la testa. Quella timidezza, che più che essere tale era vera e propria inadeguatezza al mondo esterno, la caratterizzava.
E il fatto che quello sconosciuto dimostrasse una sicurezza imperturbabile la fece sentire scomoda e in qualche modo l'attirò, portandola a pensare per un solo momento fugace di voler somigliare a quel suo temperamento.
-Sasuke Uchiha- disse il ragazzo dopo qualche istante di silenzio, in modo secco.
I suoi occhi furono rapiti da quelli neri di lui una volta che, udito il suo nome, ebbe il coraggio di guardarlo nuovamente. Sostenne il suo sguardo fin quando riuscì per non sembrare maleducata, ma fu costretta a sciogliere quel contatto visivo dopo qualche secondo, trovando impossibile fronteggiare quegli occhi ancora per molto. Strinse le mani l'una nell'altra con più forza davanti a sé, cominciando a guardare a terra notando che Sasuke non accennava ad abbassare gli occhi dalla sua figura.
Non le piaceva l'idea di stare in casa con un ragazzo, le ferite che portava indosso erano troppo pesanti perché potesse rapportarsi normalmente con qualcun altro; la cosa la metteva in enorme disagio. Forse aveva sbagliato tutto. Di nuovo.
-Sarò chiaro, Sakura- si ritrovò ad annuire lentamente, mascherando l'inquietudine, al suo viso che aveva assunto un'espressione seria e lontana. Per un attimo, ebbe paura. Fin da subito aveva notato qualcosa di strano nei suoi occhi, erano davvero troppo profondi per essere umani e senza rendersene conto, Sakura cominciò a trattenere il fiato.
-Non intralciarmi- spalancò gli occhi di fronte a quelle parole, mentre le guance cominciarono ad imporporarsi di vergogna.
-Hai capito? Ognuno per sé, non ho interesse nel condividere spazio e tempi con nessuno- disse ciò con voce sicura e ferma, mentre le cominciarono a tremare le gambe dal nervosismo. Annuì a quelle parole senza rendersene conto, non riuscendo a capire cosa avesse fatto di male per meritarsi un simile trattamento fin dal primo giorno.
Di contro, Sasuke rimase a guardarla per qualche istante con indifferenza per poi affiancarla e sorpassarla, venendo avvolto dall'oscurità del corridoio di quella casa che lei non conosceva affatto.
Sentì il rumore di una porta che veniva sbattuta in lontananza, e solo allora Sakura riprese a respirare regolarmente mentre il colore delle sue nocche tornava gradualmente a un tono più rosato.





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Aggiornamento 08/05/2024

Come già accennato, ho sentito il bisogno di ritornare a indossare i panni dei due personaggi che più mi hanno coinvolta durante la narrazione. Il personaggio di Sakura è volutamente OOC, per i fatti descritti non sarebbe potuto essere altrimenti. 

A distanza di anni, rileggendo Perdition, mi sono resa conto di non aver trattato alcuni fatti come avrei voluto, a distanza di dieci anni si cambia e anche le vicende narrate, purtroppo, sono diventate dei fatti di cronaca sempre più frequenti che non possono essere descritti con questa superficialità. all'epoca dettata dall'inesperienza. 

Ho ragionato tanto, Perdition è stata scritta capitolo dopo capitolo, senza molta pretesa all'inizio per poi arrivare a maturare verso la fine. L'ho riletta dopo dieci anni e ho capito che non andava bene, che il seguito c'era da sempre solo che non avevo la forza di scriverlo.


Questo è il mio tentativo di dare alla mia narrazione più seguita, una rafforzata. 

Il Sasuke di cui scrivo qui dentro è molto simile a me, questa Sakura è parte di me e delle mie esperienze, romanzate.


Ricominciamo.

PerditionDove le storie prendono vita. Scoprilo ora