Capitolo diciasette

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C'era una fastidiosa voce dentro la sua testa che gli provocava un nervosismo latente che, invece di essere sedato, si stava scaricando indegnamente su chi invece avrebbe voluto proteggere da qualsiasi male.
Cosa gli passava per la mente?
Lei era anche giustificata, poteva, doveva utilizzare quel tono, aveva avuto le sue ragioni per farlo, ma lui?
Ancora una volta si era ritrovato combattuto nel pensare al piano d'azione da seguire. Lui era chiaramente certo che non avrebbe voluto farle capire niente di tutto quello che aveva compiuto per la sua sicurezza, eppure nel sentirsi dire quelle cose era come se avesse ricevuto un pugno in pieno viso. Da una parte avrebbe voluto gridarle in faccia cosa aveva passato solo per crearle un po' di tranquillità, cosa aveva rischiato pur di renderla felice, dall'altra si sarebbe voluto sfogare con una bella risata isterica per la cecità della ragazza e congratularsi con se stesso per la perfetta performance che non le aveva permesso di capire niente di tutto quello che era successo alle sue spalle.
E anche in quel particolare frangente, il suo lato razionale era stato soppiantato da quello impulsivo e testardo che lo aveva sempre contraddistinto, tanto da spingerlo a dire cose che in verità non avrebbe mai voluto nemmeno pensare.
Aveva visto il suo viso cominciare a rigarsi di amare lacrime, sfigurato da dolore e rabbia, e si era sentito un idiota, un idiota meschino.
Non sarebbe dovuto succedere tutto quello, Kakashi non gli aveva intimato altro che stare con lei, di non lasciarla mai sola, eppure le sue gambe si erano mosse così in fretta che nemmeno il suo cervello così tantoacuto se n'era accorto.
In un attimo si era ritrovato esposto al freddo della notte mentre dietro di lui, la porta si era chiusa con un tonfo rumoroso e pesante.
Era uscito di casa, di nuovo scappava dai suoi problemi come più volte era accaduto in passato.
Che cos'era accaduto lì dentro? Com'era stato possibile perdere così facilmente la lucidità?
Era stata la stanchezza ad averlo autorizzato ad agire in quel modo sconsiderato, oppure c'era un motivo più nascosto che nemmeno lui riusciva a vedere bene nell'oscurità della sua mente?
Si era appoggiato contro il portone di legno, respirando velocemente e portandosi una mano a coprire il volto sperando di ritrovare quella calma che gli sarebbe servita per pensare alla prossima mossa.

Ritornare dentro casa era fuori discussione. Sasuke era disposto ad aiutarla, a mettere quell'uomo dietro le sbarre, avrebbe fatto di tutto pur di vederla felice come si meritava, ma non avrebbe mai compiuto il passo falso di entrare lì ed esternare i suoi pensieri. Non si sarebbe mai fatto vedere umano.
Abbracciarla, rincuorarla con parole dolci, quelle erano tutte cose che probabilmente l'avrebbero fatta sentire meglio e lo avrebbero reso un vero e proprio cavaliere bianco ai suoi occhi.
Ma Sasuke Uchiha, il ragazzo, l'uomo, che aveva allontanato persino la sua famiglia, non avrebbe mai compiuto un gesto simile, né avrebbe mai illuso una ragazza così fragile.
Ormai non negava che ciò che lo legava a lei era qualcosa di più profondo del semplice senso di giustizia e solidarietà che si addice alla sua posizione, ma lui non voleva alimentare false speranze il lei.
Perché, nonostante lui fosse consapevole della cosa, non avrebbe mai ammesso ad anima viva tutto quello che aveva fatto per Sakura, ma soprattutto cosa lo avesse spinto a farlo.
Meritava qualcuno in grado di sanare le sue ferite, completamente, e lui si stava limitando solo a ricucirle, ma la riabilitazione, uscire piano piano da quell'incubo, rifarsi una vita priva di fantasmi, non era una cosa che lui sarebbe riuscito a fare, non sarebbe stato in grado di aiutarla e avrebbe voluto farglielo capire.
Sì, era arrivato finoad Otawa, aveva rischiato il suo futuro per la felicità di quella ragazza, ma lui agiva sempre alle spalle della gente perché solo in quel modo riusciva a dare il suo massimo senza sentire il bisogno di confrontarsi con il viso contrito della vittima in causa. Cauto e silenzioso, sarebbe stato in grado di uscire anche da quel casino in cui si era ficcato e senza rimettere piede in quella casa che in quel momento era diventata molto più silenziosa di un attimo prima.
Sasuke era un cavaliere, sì, ma nero come la notte e come l'oscurità dei suoi pensieri e dei suoi occhi imperturbabili, in quei momento solo all'apparenza.

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