Capitolo diciannove

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Respirava piano, in modo quasi inconsistente.
Le mani strette intorno alla ceramica bianca del lavandino erano scosse da un leggero tremore, gli occhi chiusi si affossavano sempre di più nell'oscurità e nell'incertezza del presente, di quella realtà che in quel momento sembrava più tangibile e dolorosa del solito. Si era preso un attimo per pensare all'accaduto. Tutto il mondo stava andando avanti, lui no. Gli risultava impossibile riprendere a vivere normalmente se prima non fosse stato capace di analizzare e razionalizzare quanto successo dentro quella casa, cosa stava per accadere tra le quelle coperte e tra le sue mani. Sarebbe stato capace di ucciderlo? La voglia di rivalsa, la voglia di dimostrare a tutti la sua maturità, il suo cambiamento radicale era andata sfumandosi una volta entrato in quell'appartamento lasciando il caos completo nella propria testa. Di nuovo le immagini di quel film infinito che erano stati quei brevi istanti di passato erano ritornati pressanti ad occupargli l'anima. Di nuovo gli occhi verdi di lei, terrorizzati, imploranti, gli avevano trafitto lo sterno e lo avevano lasciato senza fiato.
Quella scena gli sarebbe rimasta impressa nella memoria per tutta la vita, era pronto a sopportare una cosa simile? Era pronto ad accettare che probabilmente sotto quel punto di vista sarebbe sempre rimasto vulnerabile?
E poi aveva visto se stesso, i suoi lineamenti contratti dall'urgenza e poi ancora la confusione e l'indecisione dei suoi gesti di fronte a quell'uomo che tentava di soggiogare Sakura alla sua volontà. La mancanza di lucidità era, forse, stato un aiuto provvidenziale, come una sorta di mano invisibile che gli aveva bloccato la possibilità di muoversi. Perché, sì, se ne fosse stato capace, forse Sasuke Uchiha avrebbe sparato.
Aveva aperto gli occhi piano e presto l'oscurità con cui si era avvolto si era diradata e la sua immagine storta, riflessa da uno specchio sporco del bagno della centrale di polizia di Konoha, aveva preso il suo posto.
Si era sciacquato il viso con l'acqua fredda e aveva accantonato ogni riflessione a quando sarebbe rimasto da solo, lontano da tutti coloro che lo circondavano. L'intermittenza della lampadina al neon posta sopra la sua testa gli aveva ricordato che in qualche modo, oltre quella porta chiusa di legno scuro, il mondo continuava a girare indisturbato.
E che in quegli istanti, probabilmente, c'era chi si trovava con le spalle strette al muro e implorava il suo aiuto urlando ai quattro venti. Aveva chiuso gli occhi ed era stato capace di ascoltare la sua richiesta di soccorso, aveva trattenuto un ringhio. Sarebbe stato capace di donarle un sorriso? L'avrebbe mai vista felice?
Un rumore leggero lo aveva sollevato dai suoi pensieri.
-Sasuke, andiamo- aveva annuito alla voce estranea che lo aveva chiamato.
Il tempo, che prima con la sua lenta cadenza lo aveva accompagnato in quel vacuo oblio che erano stati i suoi pensieri, dopo quelle parole era presto scivolato lungo un baratro fatto di rincorse, di fughe e di flash infiniti e abbaglianti.
Si muoveva veloce, rapiva ogni suo gesto e lo incastrava ai più minuziosi dettagli di quel luogo, testimoni di un mutamento che avrebbe coinvolto più vite.
Era come entrare in un lungo tunnel dove la via d'uscita sembrava ancora essere lontana.
E le luci rischiaravano a brevi tratti i protagonisti di quel dramma, creando sproporzionate ombre sulle pareti del tempo. Il presente scivolava via, il passato raschiava con forza, il futuro tardava a giungere.
Era come muoversi sui tasti di un pianoforte logoro e consunto che veniva utilizzato con frenesia da dita che cercavano un appiglio alle note prodotte e generate. Sempre più veloce, sempre più grave.
Un altro flash. La luce di quella stanza stava per spegnersi e con essa anche la coerenza e la lucidità di quel ragazzo che si trovava oltre la parete di vetro. Ed osservava. Osservava quella vittima di un destino crudele piegata in due dal dolore su una sedia, la schiena curva sulle ginocchia, le braccia strette alle gambe.
La testa china.
Stava quasi per esplodere.
Proprio quando l'ultima luce di quella galleria buia lo aveva illuminato, la sua mente si era spenta di colpo.
I tasti di quello strumento avevano smesso di stridere, il suo cervello di pensare.
E una quiete surreale si era impadronita del suo volto.
-Credo di non essere tagliato per questo mestiere- aveva detto ad alta voce, terribilmente sicuro e apatico. Aveva espresso quel pensiero mentre con gli occhi si aggrappava disperatamente a quell'immagine che, oltre il vetro, lo aveva incantato e lo condannava a pensieri autolesionisti.
Sasuke Uchiha non era una persona particolarmente empatica, tutto quello che stava provando in quel momento lo stava facendo uscire pazzo.
-Non dire sciocchezze, Uchiha- aveva schiuso le labbra sentendo quella risposta, ma non si era voltato per guardare il volto della persona che l'aveva pronunciata, non ne era riuscito a trovare la forza. Aveva sentito distintamente la presenza di Kakashi Hatake fermarsi dietro le sue spalle, a pochi metri da lui e lo aveva ringraziato mentalmente per aver scelto di rimargli a debita distanza in quel momento. Non avrebbe retto un confronto fisico in quel particolare frangente. Dando le spalle al suo capo, Sasuke si era sentito libero di alzare leggermente le palpebre in un'espressione di sorpresa, l'espressione di chi si trova sull'orlo di un burrone e aspetta una mano che lo spinga giù o che lo tratti in salvo.
Aveva sempre creduto di avere il controllo della sua razionalità, ma si era sbagliato.
Aveva sbagliato tutto, niente era come aveva sempre immaginato.
Il dolore era reale, l'indecisione tangibile, le vie da prendere innumerevoli, scegliere tra quelle sbagliate e giuste si era rivelato molto più complesso di quanto avesse mai immaginato.
Era solo un ragazzo inesperto, lui non era in grado di proteggere nessuno.
Aveva guardato Sakura da oltre quella lastra di vetro che li separava e si era domandato cosa mai avrebbe dovuto fare, cosa ci si aspettava in quei momenti, qual era il suo ruolo in quella tragedia.
Era troppo facile pensare a una "nuova" vita da ricominciare, magari insieme, quella speranza a cui si aggrappano quando un incubo si conclude era così vana e vuota agli occhi di Sasuke da rendere ogni suo gesto, in quei momenti, praticamente vano. Perché lui era ancora lì?
Niente sarebbe stato normale, d'ora in avanti. Sakura avrebbe portato dentro di sé cicatrici indelebili, lui le avrebbe viste anche sotto mille strati di vestiti e pelle e non sarebbe stato in grado di accettarle, né di ignorarle. Perché lei aveva sofferto ingiustamente e, cosa più grave, lui non avrebbe potuto aiutarla come avrebbe voluto o come avrebbe dovuto.
Sasuke Uchiha era un enigma avvolto in un mistero che mai sarebbe stato decifrato.
-Questo lavoro non fa per me- aveva ripetuto lui ancora più convinto e sicuro della sua tesi.
Il mondo era troppo ingiusto e lui non sarebbe riuscito a salvarlo, non era abbastanza forte.
Aveva abbassato la testa scostando alcune ciocche scure che erano finite davanti agli occhi e aveva soffermato lo sguardo sulle sue mani, tremava appena. Si maledì.
-Abbiamo preso Tai Hoshino anche grazie a te. Sei stato bravo, Sasuke- non lo aveva ascoltato, non aveva voglia di sentirsi dire quelle cose. Un po' si era sentito deluso, l'Hatake non aveva afferrato a pieno il concetto che lui cercava di esprimere, ma d'altra parte lui non si era sforzato di scoprirsi abbastanza.
Quell'incompatibilità se l'era cercata lui stesso quindi non gli recriminava niente.
La verità era che a tratti percepiva pure la vista annebbiata.
Cosa ne sarebbe stato di lui da quel momento in poi?
Cosa ne sarebbe stato di Sakura? La società l'avrebbe accolta a braccia aperte offrendole una seconda possibilità o sarebbe rimasta schedata come vittima di abusi proprio come sarebbe successo tra le mura di quelle centrale per poi essere archiviata in un cassetto?
-Quando ho chiuso il mio primo caso, mi sono chiuso in casa e non sono uscito per due giorni. Ne ero rimasto traumatizzato...- lo aveva sentito sempre più vicino e presto le percezioni che credeva di stare per perdere si erano intensificate. Di nuovo sentiva il mondo circostante e Sakura non era più una macchia colorata oltre un vetro sporco, ma una figura nitida e distinta, reale.
-... Era un caso simile solo che la vittima era una bambina di dieci anni e il persecutore era il patrigno. La madre nascondeva tutto, la piccola aveva tentato di farla finita, ma l'abbiamo fermata in tempo. Non ho mai avuto così tanta paura come in quella notte dopo l'arresto. Il buio aveva avuto un potere amplificato sulla mia mente, l'aveva soggiogata...- Sasuke aveva respirato piano, sentiva l'angoscia e la maturità nelle parole di Kakashi. Lo aveva ascoltato senza riuscire a guardarlo negli occhi.
-... Ancora mi capita di sognare quel giorno, sai? Non ci si libera di simili scene- la condanna definitiva aveva pesato sulla testa del ragazzo che, sentendosi schiacciare dalle circostanze, aveva chiuso gli occhi.
-Non ci si abitua mai a tutto questo. Non starò qui a dirti che domani starai meglio o che lei si riprenderà una volta messo piede fuori da qui. Questa è fantascienza. La sofferenza fa parte del nostro lavoro e non ci si abitua alle lacrime altrui...- non era stato capace di sorvolare su quelle parole, lo stava sorprendendo di nuovo. Non era vero che Kakashi non lo aveva capito, quell'uomo aveva inteso benissimo i suoi pensieri, di nuovo.
-... Le puoi osservare da lontano, proprio come stiamo facendo io e te in questo preciso momento- aveva visto la figura del suo mentore affiancarlo per poter osservare meglio Sakura seduta su una delle poche e vecchie sedie di quella piccola stanza. Aveva apprezzato quella sua improvvisa vicinanza, ma non era stato capace di capirne il motivo.
-... O puoi andare lì e parlare con le vittime, puoi dirle che la vita inizia proprio oggi e che le paure appartengono al passato. Puoi essere un osservatore, taciturno e chiuso nel proprio involucro fatto di spine, o puoi fare la differenza donando un appiglio a chi, di aiuto, non ne ha mai ricevuto abbastanza...-
Non era stato capace di replicare.
Aveva solo bloccato ogni riflessione sul nascere.
Era fuori da quel tunnel a tratti buio a tratti luminoso.
Era fuori, adesso, all'aria aperta.
Era fuori e qualcun altro aveva preso il suo posto sull'orlo di quel precipizio.
-... Fa la scelta giusta, Uchiha-
Aveva aspettato di udire ancora una volta il suo cognome, ovattato da quella maschera scura, prima di uscire da quella stanza senza pronunciare nemmeno una parola.
Senza lasciare traccia di sé, né dei suoi pensieri.

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