Capitolo quattordici

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Erano le sei del mattino successivo quando Sasuke era uscito da casa in sella alla propria moto. Aveva in volto un'espressione seria e concentrata mentre l'aria fresca gli sferzava il viso con violenza. Incurante del dolore alla pelle che sentiva, il ragazzo non risparmiava brusche accelerate e sorpassi pericolosi ogni qualvolta c'era un altro mezzo ad ostacolargli il cammino.
La stanchezza per aver passato un'intera nottata sopra il computer e successivamente a fare avanti e indietro per la sua stanza, insonne, non pesava più sulle sue palpebre, che invece rimanevano alzate e vigili, attente a qualsiasi ostacolo.
Prima di uscire dall'appartamento aveva dovuto accertarsi di una cosa però, che Sakura dormisse tranquilla e che dentro la borsa che portava dietro ci fosse tutto il necessario.
Si era informato bene, prima di poter compiere un'impresa simile e di certo intrufolarsi di nuovo nella stanza della ragazza per scriversi su un foglietto la via della sua residenza ad Otawa non era stata un'impresa particolarmente semplice, dal momento che quando lui era rincasato, alle quattro e mezzo della mattina, lei dormiva già nel proprio letto. Era stato capace di non fare rumore e di ottenere ciò che cercava, ma non era stato capace di allontanarsi subito da lì, una volta che in mano aveva quella maledetta via.
Era rimasto a fissarla per imprecisati secondi mentre si rifugiava in un universo parallelo, in un mondo dove nessuno l'avrebbe potuta raggiungere e ferire, nemmeno lui stesso. Ed era giusto che fosse così.
Rendendosi conto poco dopo dell'eventualità di poter essere scoperto, Sasuke era uscito da quella stanza ed aveva riposto con cura, insieme ai fogli in cui venivano tracciati i dati relativi alla città di Otawa, quel pezzo di carta.

Il paese natale di Sakura distava da Konoha circa un'ora e mezza, aveva un'intera mattinata prima di dover ritornare in centrale, mentire a Kakashi sul motivo della sua assenza durante quelle ore non era stata un'impresa parecchio semplice né, del resto, gradita, ma era stato costretto. Di certo non avrebbe potuto dirgli che aveva approfittato della sua fiducia, che aveva fatto una copia del suo distintivo falsandolo e inserendo una propria foto al posto di quella dell'uomo, che avrebbe agito per conto suo, e che avrebbe usato i propri metodi per capire finalmente qualcosa in quella situazione, sbagliando o meno. Forse lo avrebbe licenziato ancora prima di averlo assunto seriamente.
E forse avrebbe dovuto pensare bene a quell'eventualità. Lavorare al suo fianco era ciò che bramava da una vita intera e dopo nemmeno una settimana di praticantato stava rischiando di mandare tutto all'aria.
Era la scelta giusta da compiere? Non avrebbe voluto esibirsi per sempre dentro al 34 per ricevere quattro spiccioli, avrebbe voluto sedersi su quella scrivania che aveva occupato per sei miseri giorni, ricevere pacche dall'Hatake ed essere considerato un suo pari, non un dipendente.
Ma tutto quello lo faceva per lei, perché avrebbe voluto aiutarla più di qualsiasi altra cosa al mondo e questo gli dava la forza necessaria per abbattere ogni barriera che la mente gli poneva davanti ad ogni chilometro percorso.
Lo faceva per un suo sorriso, che fosse limpido e privo di paura e che si era reso conto troppo tardi di non aver mai visto sbocciare su quel volto.
Un sorriso che avrebbe voluto provocare lui per sentirsi finalmente in pace con se stesso, perché era inutile che lo negasse, Sakura gli era entrato dentro più di quanto avrebbe dovuto permettersi di fare ed ora lui si ritrovava su una moto, pronto a tutto pur vederci chiaro in quella situazione.
Accelerando ulteriormente, aveva stretto gli occhi da dietro la montatura scura degli occhiali da sole ed aveva alzato leggermente un angolo della bocca, sprezzante.
Lui era Sasuke Uchiha, in un modo nell'altro sarebbe stato capace di arrivare ai propri obiettivi, anche se perseguirli, avrebbero causato la sua stessa disfatta.


**

Si era appoggiata contro il muro ed aveva guardato la stanza intorno a lei una volta aver aperto gli occhi quella mattina. Assonnata, non riusciva a comprendere quale fosse il motivo che l'avesse spinta a svegliarsi così presto. Nella penombra della sua camera da letto le sue palpebre si erano sbarrate di scatto, senza che lei ne potesse veramente prendere atto, dolorosamente, inspiegabilmente.
Aveva teso le orecchie. Era una prassi quotidiana quella, cercare di captare ogni minimo rumore dietro quelle quattro mura per capire se dentro l'appartamento potesse esserci Sasuke, o chiunque altr-.
Si era massaggiata le palpebre e non aveva capito in fondo il perché di quel pensiero, l'unica persona che poteva mettere piede lì dentro non poteva essere altri che Naruto, magari dopo aver sottratto abilmente le chiavi a Sasuke con il tentativo di farlo spaventare... O far spaventare lei.
Eppure non avrebbe avuto senso nemmeno quell'ipotesi. Erano giorni che non aveva contatti con l'Uzumaki, tralasciando quelli al 34, ovviamente, e confidava nel fatto che Naruto, nonostante non lo dimostrasse, fosse abbastanza responsabile per capire che entrare a casa degli altri alle sette del mattino non era una cosa da fare, ne tantomeno gradita dall'inquilino stesso.
Poteva essere Sasuke a fare quel rumore, allora. Un rumore ovattato che ad occhio e croce proveniva dalla cucina.
Sì, poteva essere lui. E se era così niente l'avrebbe fatta muovere da quel letto, allora. Le mancava, Dio solo sapeva quanto fosse vero, e quanto avrebbe voluto abbracciarlo, ma il loro rapporto era ad un punto morto. Entrambi non facevano che perseguire quello stupido patto senza nemmeno scambiarsi una parola, prima, durante e dopo, e a lei questo la feriva in un modo inimmaginabile. Lo avrebbe voluto abbracciare come con nessuno era stata capace di fare. Eppure era quasi una settimana che non lo sfiorava, che non lo baciava. Probabilmente Sasuke aveva messo gli occhi su un'altra ragazza che gli occupava tutto quel tempo e lo portava a stare lontano da casa, oppure aveva semplicemente deciso di stare alla larga da lei.
Aveva stretto forte il cuscino a quella possibilità. Sakura non sapeva più cosa fare per far capire al ragazzo ciò che provava per lui, ma sembrava che tutti i suoi gesti risultassero vani una volta finito l'amplesso.
Lei rimaneva lì, immobile, ad aspettare che lui si accorgesse di lei, che si accorgesse di quanto profondamente gli fosse legata. Lui sembrava cieco, o faceva finta di esserlo.
Era arrivato quel momento che nemmeno i suoi stessi pensieri riuscivano a distrarla da quel fastidioso rumore che, incessante, continuava a riverberarsi per tutta la casa. Si sarebbe potuta alzare con la possibilità di incontrare Sasuke in cucina e poi? Beh poi lo avrebbe salutato. E poi? Poi si sarebbe di nuovo rintanata nella sua stanza con la scusa di essersi alzata per prendere un bicchiere d'acqua. Un piano infallibile, geniale. Peccato che il suo povero cuore non sarebbe stato capace di sopportare tutto quello.
Avrebbe solo voluto stare con lui come una coppia normale, che si vuole bene, che si ama. Ma come sarebbe potuto accadere se tutto ciò che lui vedeva in lei era solo un corpo vuoto con cui fare sesso?
Si innamorava sempre della persona sbagliata.
Aveva sussultato debolmente a quel pensiero e inconsciamente si era portata una mano al petto trovando il cuore battere più velocemente di prima, perché adesso pensare a Tai la metteva così in agitazione?
La chiamata di Lena le aveva sconvolto l'esistenza, era vero, ma erano passate quasi due settimane, settimane in cui lei non era più umana, ma erano bastate per farle metabolizzare la cosa.
Quando sarebbe venuto avrebbe fatto i conti con il diavolo in persona. Non aveva accettato il suo destino, Dio! Quello non sarebbe mai potuto accedere, ma doveva guardare in faccia la realtà, lei era solo una donna, una povera donna contro un uomo più grande di lei. Che avrebbe dovuto o potuto fare contro di lui?
Il pensiero che quell'animale aveva osato avvicinarsi a Lena e minacciarla, le aveva fatto ribollire il sangue nelle vene. Lei era disposta a sopportare tutti i mali che il mondo aveva in serbo per il suo cuore e per il suo corpo, ma questi dovevano essere delle croci personali, non dovevano intaccare la serenità degli altri per nessun motivo.
E forse era questo anche il motivo principale del perché non aveva mai parlato a Sasuke di Tai, come poteva farlo? Dopo tutto quello che Naruto le aveva raccontato sul passato dell'Uchiha e dopo tutto quello che aveva passato, non poteva permettersi di sobbarcarlo dei suoi problemi, non era giusto nei suoi confron-
Si era alzata di scatto.
Quel rumore doveva cessare, all'istante.
Se era Sasuke? Lo avrebbe affrontato.
Se era Tai? Prima o poi si sarebbero dovuti rivedere, era inutile rimanere chiusa in una stupida stanza. Non lo avrebbe chiamato coraggio quello, più che altro voglia di vivere, di affrontare i propri demoni.

Eppure, quando aveva appoggiato i piedi per terra, le sue gambe avevano quasi ceduto sotto il peso stesso della paura. Si era ritrovata a prendere grandi boccate d'aria sperando di calmarsi e persino i suoi stessi capelli che le finivano davanti al viso bastavano per farla innervosire.
Aveva aperto la bocca per chiamare Sasuke, magari lui dalla cucina le avrebbe risposto e lei si sarebbe accasciata al suolo con un principio di crisi isterica, ma la voce le era morta in gola. C'era un modo per vedere se l'Uchiha era in casa.
Aveva aperto la finestra della sua stanza di scatto, sperando di incontrare la moto di Sasuke parcheggiata al solito posto, vicino al marciapiede, ma non c'era, non c'era nessuna fottutissima moto nera. Non era lui a fare quel rumore, allora.
Aveva paura, una paura matta che potesse esserci qualcuno in quella casa, qualcuno che aspettava che lei si facesse viva, che non aspettava altro che farle del male, psicologicamente e non. Le tremava il cuore, compiere dei passi non le era mai sembrato così difficile in tutta la sua vita.
E se era Tai, veramente? Lo avrebbe pregato perché mantenesse la calma e tutto sarebbe andato per il meglio. No, stava delirando, non sarebbe andata così, lo sapeva bene. Se si era spostato da Otawa a Konoha non era di certo per proporgli gentilmente di tornare indietro, non funzionava così con questo genere di persone. Avrebbe dovuto chiamare la polizia? Ammettere di essere stata vittima di abusi psicologici e fisici e poi che sarebbe successo? Non lo avrebbero trovato e lei avrebbe dovuto pagare le conseguenze di un gesto tanto avventato. Che vita era quella? Dove non le era concesso nemmeno di respirare?! A cos'era condannata, lei? Ad un'esistenza di omertà e di violenza dove valeva la legge della giungla?
Chi è più forte sopravvive e ha il potere e il diritto di distruggere il più debole, che viene fatto fuori senza remore. Ecco cosa aveva capito in quegli anni passati a nascondere i lividi sotto strati di tessuto e di trucco.

Era arrivata alla porta a vetri che separava la zona notte e la zona giorno. Aveva spiato attraverso il vetro colorato opaco sperando di cogliere un'ombra che la intimasse a darsela a gambe. Si sarebbe gettata dalla finestra se fosse stato necessario, tutto pur di non tornare sotto le sue mani, ma non era successo nulla.
Solo quel tonfo sordo, ritmato e continuato.
Prendendo il coraggio a due mani, aveva fatto scorrere la porta, sbattendola contro il muro, e velocemente si era portata in cucina.
Una finestra.
Una finestra accostata al battente che, a causa del vento, lo urtava producendo quel rumore.
Nel lavandino sotto di essa una macchinetta del caffè e una tazzina sporca.
Sasuke non c'era, Tai non c'era, non c'era nemmeno Naruto. Era sola lì dentro.
Si era portata una mano sul viso, passando sopra gli occhi con violenza ed aveva pianto, brutalmente, con il cuore che minacciava di uscire dalla gabbia toracica da un momento all'altro.
No, quella non era vita degna di essere vissuta.


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