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Se non fosse per te

Bugie






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Se mia madre fosse in vita, se mia madre fosse qui con me, mi lancerebbe una di quelle occhiatacce... E avrebbe pure ragione!
Cresciuta con la logica di "in tempi di guerra bisogna avere la casa zeppa di provviste", la mamma non si è mai fatta mancare nulla. E quando dico mai, è mai. Avevamo, a Napoli, una stanza adibita a ripostiglio piena zeppa di scatolame, olio, passate di pomodoro, verdure sott'olio e tutto ciò che serviva per igienizzare. Ha sempre seguito i dettami della nonna. La mamma, di mattina, non andava in chiesa ad espiare i suoi peccati (la mia mamma era buona, non doveva espiare un bel niente), bensì arraffava i volantini pubblicitari degli ipermercati e cerchiava di rosso ciò che era intenzionata ad acquistare. E non si limitava a questo, appuntava accanto ad ogni genere la quantità. Era di una precisione maniacale, non mi ha mai fatto mancare nulla. Non ho mai desiderato nulla con lei, mi ha accontentata, qualunque fosse la mia richiesta. Ci sono giorni che prego la sua anima e le chiedo di tornare da me. Non sono molto credente, se per credente si intende una persona che, oltre a pregare, frequenta assiduamente i luoghi di culto. Io in chiesa mi ci reco raramente. Ma le preghiere quelle si, le recito spesso e volentieri. Mi rivolgo alla mamma, invoco lei e le domando un pizzico di felicità in più e un po'di amarezza in meno e le invio un bacio, conscia del fatto che mi protegge tanto ora quanto in passato.
Dunque, tirornando alla mamma scontenta di me, vi spiego il motivo. Stamane ero intenta a raccattare gli indumenti miei e di Giulio (più miei, in realtà) per preparare la lavatrice. L'ennesima. Pronta la cesta, carico il cestello dell'elettromestico, pongo il tutto dentro e cosa scopro? Che il detersivo liquido era finito. Vi rendete conto? Finito, kaput, morto. A casa mia non c'è una goccia di detersivo per lavare gli abiti e la biancheria. Sono passata dall'avere venti flaconi di scorta al vuoto assoluto. La mamma scuoterebbe la testa e mi direbbe che da lei, sotto questo punto di vista, non ho imparato niente. Hai ragione tu, mà, scusami!
Cammino sola verso la libreria. Complice Giulio con sveglia di buon ora, ho pensato di recarmi da Carmelina, la titolare della merceria di Minori. Ad occhio e croce, è l'unica ad essere discretamente fornita in paese. Ma Carmelina è pure una dij 'e mariola, come giustamente sentenzia il popolo. Una ladra che ti fa pagare due euro e cinquanta quattro rotoli di carta igienica. Vi pare, amiche? Due euro e cinquanta! E che ha, questa benedetta carta igienica, le rifiniture in oro?
Quindi ci siamo coalizzati. O abbassava i prezzi, o la merce se la cara cara sugli scaffali. Controllo lo scontrino e noto soddisfatta che ho pagato la carta un euro in meno.

Quanto è bello il vestito che indosso. Leggermente scollato, a giro maniche, con fantasia floreale e pieghettature sulla gonna a fondo giallo. Il cotone è così morbido, che con il conforto va a pennello e i molteplici colori mi mettono tanta allegria. La borsa a tracolla oscilla ed è di una comodità unica con le mani impegnate dalle buste.

"Dammi qua, che pesano più di te".

Mi volto e mi imbatto in Michele. Non ne sono stupita, abita praticamente ad un passo da dove sono.
Solita sigaretta in bocca, occhi scuri velati dal fumo e le scarpe da corsa. Ha un conta passi sul braccio.
Da quanto non ci ritagliamo del tempo per noi. Praticamente dalla morte di Giorgio Ruocco. Sarò forse stata egoista, ma proprio non me la sono sentita di stargli accanto, dove aver scoperto la verità sul suo passato. Non è voglia di mantenere il punto o il broncio come i bambini. È che io sono così come mi vedete, sono trasparente e non riesco a far finta di nulla. Sono costernata per quanto accadutogli, ma mi ha delusa in tal misura che io...

"Non ti preoccupare, Michè"- mi pesa pure rispondergli. Quasi mi si blocca il respiro.

Guardaci, Michele, mi sono rifugiata da te perché non avevo altro luogo dove cercare conforto, se non tra le tue spalle larghe e forti. Ti ho affidato ciò che rimaneva di me e non era molto. Mi hai sostenuta, mi hai incoraggiata. Mi hai dato da mangiare, dopo giorni di digiuno e da bere per idratare il mio corpo. Nulla suscitava il mio interesse, poteva crollare il mondo e non me ne sarei accorta. Se non ci fossi stato tu, mesi fa, io non sarei la Gioia di ora. E non appena imbocco la strada della salvezza e della felicità, tu che fai? Mi destabilizzi, insinui il dubbio in me. Mi mandi in crisi, come se le mie sciagure non bastassero. Come se tu non sapessi cosa io stessi passando. Tu che dalla vita hai preso più batoste di me. E tutto questo per cosa? Per l'amore che provi per me. Come se io ci avessi creduto quella sera, di ritorno da Firenze, che avevi necessità di pace e serenità. Che non mi volevi più, non come amante. A cosa è servito tentar di farmi litigare con Giulio o farmi immaginare baci ed effusioni con Monia? A niente, Michele. Siamo più lontani di quando papà mi costrinse a ritornare a Napoli sette anni fa.

"Gioia, perché non ci sediamo un attimo?"- mi indica una panchina solitaria in un angolo della strada.

Punto lo sguardo dritto dritto sulla seduta in ferro. Mamma, aiutami tu, perché tuo nipote sta facendo viaggiare i mei nervi verso mondi lontani ed io non lo sopporto più.

Annuisco-"ok".

Ci accomodiamo. Lui con il suo abbigliamento da fitness, io con i miei sacchetti gremiti di flaconi. Michele gira e rigira le mani, in movimenti circolatori frenetici. È nervoso, almeno suppongo.

"Tu sei uno stronzo, lo sai?".

"E io ti amo ancora e vorrei prendere a calci quel burattino"- esclama, con nonchalance. Calmo e pacato. Quasi come se non mi avesse detto ciò che pocanzi ha pronunciato.

"E chi sarebbe il burattino?"-gli domando piccata.

Si passa il palmo della mano dal volto sino ai capelli, poi si sofferma su di me-"senti Gioia, io ci ho provato a non pensarti, a farmi i cazzi miei..."- prende tempo-" a me quel Giulio mi manda in bestia".

"E credi che la sceneggiata al bar o con Monia possa farmi cambiare idea?"- il mio cervello chiede venia ed implora silenzio. Stai zitto Michele, te ne prego, stai zitto.

"Quelle sono cazzate"- taglia corto.

Non sono mai stata una ragazza violenta. Non ho mai usato violenza. Ma Dio mi perdoni, gli spiaccico uno schiaffone sulla coscia. Michele mi fa diventare la persona che non sono-"Michè, porca miseria, tu sei una cazzata. Tu! Tu sei uno stronzo, io non ne posso più di te. Sei un bambino, fai cose assurde"- ormai ho perso le staffe ed urlo-"tu mi usi come se fossi una bambina, come se non ragionassi. Ma tu chi cazzo ti credi di essere per comportarti così?".

"Sono un uomo innamorato e non lo voglio a quello..."

Gli tappo la bocca-"stai zitto, non ti voglio sentire più. Non voglio sentire altro. Giulio è sempre stato onesto con me, sempre. Non si è mai nascosto dietro un dito, né mi ha fatto quello che hai fatto tu. Tu non sei un uomo innamorato, tu mi fai sentire solo un trofeo da vincere. Un oggetto del desiderio".

"Non è così, sei molto di più"

"Io so chi sono, non ho bisogno che me lo dica tu. E soprattutto so cosa voglio essere per te...niente!"

Mai avrei immaginato di giungere a questa conclusione. Divenire il niente per Michele. Non so se sto commettendo un errore, se me ne pentirò. Se lo spierò da lontano, divorandomi l'anima per ciò che gli ho imposto. Ora, osservandolo, ritengo che la distanza sia l'unica soluzione per me e per lui. Per me che sono alla continua ricerca di stabilità. Per lui, così incerto.

"Michè, stammi a sentire, prendiamo ognuno la propria strada. Io non ci riesco a starti vicino".

Si avvicina, prende il mio viso tra le mani. Inclina la testa, come se volesse baciarmi.

Mi ritraggo, decisa-"no, Michele".

E proseguo sul mio cammino, dandogli le spalle. Ci saranno tempi migliori, giorni spensierati, momenti allegri. Ma non ora, non qui.



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Fine ventottesimo capitolo.
Spero vi piaccia.
Domanda: voi al posto di Gioia cosa avreste fatto con Michele?

Se non fosse per te-BugieDove le storie prendono vita. Scoprilo ora