Capitolo 25 con premessa

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Premessa

In questo capitolo affronto una tematica particolare, che non vi nego mi ha creato disagio più del descrivere la morte della madre di Gioia.
Sin da subito chiedo scusa nel caso in cui dovessi urtare la suscettibilità di qualcuno.
Sono una che sperimenta, io e ho scritto il capitolo esattamente come l'ho sempre immaginato, ma ovviamente "immaginando" e non facendo riferimento ad alcun mio vissuto, per fortuna.
Spero vi piaccia e soprattutto spero, finalmente, di aver chiarito tanti dubbi.

Grazie

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Se non fosse per te

Bugie

24

Un leggero pizzicore rattrappisce la pelle dei miei occhi. Li chiudo più di quanto non lo siano, quasi sotto la morsa di un dolore cocente. Li strizzo, come si fa con i limoni per cacciare fuori il meglio del loro succo giallo, riducendoli ad una sottile buccia crepata sui lati. Questi i miei occhi, dei quali non rimane che una lieve striscia, quella delle mie folte ciglia.

Mi faccio scudo con il braccio destro, esile ma efficace quanto basta per farmi protezione. E mi rilasso, al riparo dai raggi solari.

Mugugno, i miei sono più lamenti che frasi. Ho la bocca impasticciata, secca di saliva. Le labbra asciutte, ci passo nel mezzo la punta della lingua per idratarle.

Riacquisto le mie facoltà, malgrado uno strano mal di testa. Avverto come una pressione nella parte alta del cranio e non è la prima volta. Ho già la sentenza scritta, quella del mio dentista di Napoli. Stanno spuntando i denti del giudizio, ma, causa apparecchio ortodontico in giovane età, non ho mezzo centimetro delle gengive a loro disposizione, quindi dovrò ricorrere ad un intervento per asportarli. Ed io sotto i ferri, seppur sia un fatto di routine, non mi ci ficco neppure minacciata di tortura.

Mi rialzo, appoggiando le spalle sulla tastiera non del mio letto, ma di una sdraio. Forse la posizione scomoda ha contribuito al mio malessere. Stropiccio il viso con le mani e tento di rilassarmi. Sussulto, osservando il mio corpo. Ho ancora indosso un vestito nero sino al ginocchio. I piedi scalzi. Stamattina avevo i tacchi alti.

Respiro ed ispiro e mi chiedo cosa diamine ci faccia io qui. Ma neppure il tempo di pormi la domanda che rivivo immagini di un tempo vissuto meno di ventiquattro ore fa, ma che in realtà sembra tremendamente lontano ed offuscato.

Vittorio in libreria, Giulio che gli tende il bicchiere d'acqua. La nostra corsa per le stradine di Minori. La camera da letto di Giorgio Ruocco con i lumini accesi, il lenzuolo bianco. Monia, esausta, con l'epidermide arrossata dal continuo sfregare il fazzoletto di carta per assorbire le sue lacrime.

Mi ci sono rivista in lei, quando imploravo mia madre di non morire, sebbene se ne fosse andata via da ore. Glielo chiesi per favore, gettandomi con pietà sul suo ventre irrigidito. Le chiesi di riprendermi con sé e di portarmi laddove tutto era incominciato, nella sua pancia. Ci ho vissuto così bene nel suo addome. Era accogliente, confortevole, sicuro. Era la mia prima culla. Era l'essenza della mia mamma. Posso campare anche cento anni e più, nessun luogo sarà perfetto come quello.

Sospiro e mi concentro sul posto in cui sono. Non ho un orologio, ma credo sia presto. Forse le cinque, le sei del mattino. Lo deduco dall'estrema calma e dal silenzio che avvolge Minori.

Siamo in spiaggia, precisamente quella resa privata dal Comune. Il sole è arricchito da colorazioni diverse. È un cerchio rossastro, di un'intensità tale da infondere tale colore nel cielo. Striature di arancio scuro, giallo ocra e rosso, che sembrano tentacoli di una piovra affamata, vogliosa di cibarsi delle grandi nuvole bianche e candide.

Se non fosse per te-BugieDove le storie prendono vita. Scoprilo ora