21. Come ogni altro

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Una doccia calda e una tisana bollente mi rimisero in sesto.

Anche quella sera mangiai poco. Vedevo i miei genitori sempre più preoccupati, invano cercavano di capire cosa mi stesse succedendo. Mi ero chiusa in me stessa e non parlavo molto, né con loro né con Victoria. Almeno lei mi lasciava i miei spazi. Mamma e papà invece mi assillavano di continuo. Tante volte mio padre aveva provato a chiedermi di Jader, ma cosa avrei dovuto dirgli? Che il ragazzo che gli aveva fatto una così buona impressione in realtà era un malvivente? Non ci frequentavamo più, questo era quello che gli ripetevo ogni volta.

Dopo cena mi accoccolai sul divano accanto a papà. Proprio non mi andava di rimanere da sola con i miei pensieri; preferivo guardare un noiosissimo programma tv con lui piuttosto che pensare ad Andrea e al nostro quasi bacio. Mamma era seduta sulla poltrona accanto, assorta nelle pagine del libro che stringeva in mano.

Dovetti abbandonare subito i miei propositi per una serata tranquilla, però. Avevo lasciato il cellulare in camera ma avevo dimenticato di togliere la suoneria, così quando iniziò a squillare, con uno sbuffo mi alzai e andai a rispondere. Camminai con molta calma e, nonostante la brevità del tragitto che stavo compiendo, quando giunsi in camera aveva smesso di squillare.

Mi aveva cercata Vicky. Schiacciai il tasto per richiamarla ma in quel preciso istante sul display apparve un numero che non conoscevo. Risposi, e non mi sarei mai aspettata di sentire la voce di Andrea.

‹‹Ciao Dafne, ti disturbo?››

‹‹Andrea... no, no.››

‹‹Perdonami se mi sono permesso di telefonarti, volevo solo chiederti scusa per oggi.››

Mi sedetti sul letto. Perché doveva essere così dolce con me, quel ragazzo? Ero io a dovergli delle scuse, per essere scappata e per non essere stata sincera con lui. Sapevo perfettamente la natura del suo interesse nei miei confronti e non avevo fatto niente per allontanarlo. Ero stata un po' egoista, volevo dimenticare Jader in fretta e avevo pensato che forse lui...

‹‹Credo di essere io a doverti delle scuse.››

‹‹Non lo dire neanche per scherzo. Ho capito che al momento c'è altro nella tua testa.››

‹‹Mi dispiace Andrea, mi dispiace veramente tanto.››

‹‹Chiunque sia, è un ragazzo fortunato.››

Sorrisi, un sorriso triste. ‹‹Le cose sono un po' complicate.››

‹‹Non c'è bisogno che mi spieghi. Spero solo che quanto accaduto oggi non sia motivo di imbarazzo tra noi.››

‹‹No, è tutto a posto. Mi fa piacere che ci siamo chiariti››, in effetti mi sentivo più leggera.

‹‹Anche a me. Ci vediamo in facoltà. Buona serata.››

‹‹Anche a te.››

Rimasi a contemplare le icone sul display fino a quando non si spense. Andrea mi piaceva. Non avrei voluto rinunciare alla sua amicizia a causa dell'imbarazzo per quello che era accaduto. Quel chiarimento mi rincuorava. Sospirai e mi alzai. Raggiunsi la finestra. La mia camera affacciava su una stradina laterale poco illuminata. Di sera non si vedeva quasi niente ma di giorno si poteva scorgere il giardino curatissimo dei miei vicini, un piccolo paradiso fatto di soffice erbetta verde, qualche albero ad alto fusto e una miriade di fiori coloratissimi nelle aiuole sparse strategicamente sul manto. Nelle belle giornate di primavera, quando aprivo la finestra potevo sentirne il profumo delicato.

Pioveva ancora. La pioggia rimbalzava nelle pozzanghere e sui tetti delle case.

Qualcosa che si muoveva al limitare del muro di fronte catturò la mia attenzione. All'imbocco del vicolo, una sagoma scura si era mossa di poco. Appiccicai il volto al vetro e respirai piano, per evitare che la condensa mi impedisse di vedere. Inspiegabilmente il cuore accelerò, avevo una strana sensazione.

Non lasciarmiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora