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Gli occhi non ne volevano sapere di chiudersi un altro po'. La sveglia poggiata sul comodino segnava le sette del mattino, era ancora troppo presto e non avrebbe suonato prima di un'ora e mezza. La mia prima lezione era alle nove quindi restai accoccolata sotto le coperte a fissare il soffitto, con la trapunta tirata fin sotto il mento.

Ero troppo agitata. La chiamata di mio padre il giorno prima, era riuscita a scombussolarmi come succedeva sempre. Per lui ogni motivo era buono per creare discussioni, purtroppo era il suo modo di fare da qualche tempo.
La sua missione sembrava quella di riportarmi a casa usando qualsiasi mezzo, sia con le buone che con le cattive.
Ormai ero maggiorenne, poteva fare poco al riguardo e poi dopo aver avuto un assaggio di libertà non ci avrei più rinunciato. Nonostante i sacrifici fossero molti e a volte anche faticosi, li avrei accettati tutti di buon grado.

Frequentavo il secondo anno di università, ma mio padre non si arrendeva all'idea di avermi lontano o molto più probabilmente voleva precludermi l'occasione di imparare a camminare con le mie gambe. A volte pensavo che avrei dovuto essere una figlia migliore, restandogli accanto senza desiderare altro è aiutandolo per quanto mi era possibile.
Lui era stato presente per me quando avevo avuto più bisogno di lui? Quando mai si era comportato da bravo padre con me? A voler essere sinceri, quando mai si era comportato da padre? Mai una volta da quando io potevo ricordare si era preoccupato di ascoltarmi, di capirmi. Mi mortificai di avere un'opinione così bassa di lui, era pur sempre una parte dell'unica famiglia che mi restava. Ma non parlavo per rabbia, purtroppo era la dura verità, per anni avevo trovato mille scusanti per i suoi comportamenti nei miei confronti, a lungo andare però mi ero stancata di farlo. Volevo un padre normale, nella media, esattamente come quello delle mie compagne di scuola: amorevole, affettuoso, che a volte giocava con loro, che più semplicemente mi rimboccasse le coperte quando andavo a dormire, oppure che mi leggesse una semplice storia.

All'età di cinque anni, sapevo già leggere come una bambina di sette e mi piaceva farlo. Mio fratello Thommy, che aveva cinque anni più di me, a volte mi leggeva delle favole per farmi addormentare ed era la cosa che preferivo in assoluto, oltre a quando era la mia mamma a farlo. A nove avevo smesso di credere nel lieto fine delle favole, anche se mi confortavano nei giorni più tristi. A tredici leggevo libri impensabili da comprendere per la mia età, trovandoli davvero interessanti.

Leggere era per me l'unico modo in cui distrarmi da una realtà troppo dolorosa, per essere accettata in quel momento. Per riuscire ad estraniarmi dal mondo che mi circondava, per credere ancora che la mia vita non era cambiata così repentinamente come invece era successo.
Le storie per me erano un modo per viaggiare con la fantasia, per estraniarmi dal presente; tutte cose inusuali per una bambina di quell'età.

Volevo un padre su cui poter contare, da avere come punto di riferimento, come esempio, da considerare il mio eroe personale. Che fosse la mia roccia, il mio punto d'appoggio sicuro, invece era troppo preso dalle sue cose per badare ad una bambina che cresceva e lo faceva senza di lui, senza il suo affetto.

I miei fratelli per anni avevano colmato le sue mancanze e lo avevano fatto al meglio delle loro possibilità, tenendo sempre conto che erano dei bambini anche loro, benché avessero qualche anno in più di me. Io gliene sarei stata riconoscente per sempre, se non ero una persona arrabbiata col mondo, se non avevo perso la gioia di vivere, la stima e la fiducia nelle persone dovevo dire grazie a loro.

Dopo l'ultimo anno di liceo, mi ero presa del tempo per riflettere e per decidere cosa fare del mio futuro, chi essere davvero senza limitarmi. La decisione finale era stata quella di andarmene.
Volevo allontanarmi il più possibile da quella casa dove ero rimasta sola dopo la partenza dei miei fratelli.

Volevo le opportunità che avevo sempre sognato per me: ricominciare una vita nuova. Scegliere da sola, giusta o sbagliata che fosse la mia decisione, nessuno avrebbe più scelto per me, solo io avrei potuto farlo. Avrei ascoltato i consigli altrui, certo, ma la scelta sarebbe stata sempre e solo la mia. Volevo l'opportunità di scegliere chi essere senza badare al giudizio della gente, non volevo più vedere la compassione negli occhi delle persone che mi circondavano, mi irritava. L'opportunità che volevo per me, era quella di allontanarmi il più possibile da quella che non era più casa mia. Allontanarmi dai brutti ricordi del passato.

Mai più come prima (#Wattys2016)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora