Non ebbi il tempo utile di ragionare bene su quelle parole, perché la partita iniziò subito.Le due squadre erano schierate una di fronte all'altra, sulla linea di metà campo. Gli sfidanti avevano le divise di colore blu e argento, così riuscii a distinguerli con chiarezza dalla squadra di casa.
Dopo il lancio della monetina, per capire chi fra le due avrebbe iniziato, non capii più nulla di quello che succedeva in campo. A prima vista sembrava uno sport difficile da capire, ma qualche spiegazione di Beth e qualcun'altra cercata sul web con il cellulare, aiutarono.
Chiarendomi un po' la situazione di confusione in cui mi trovavo.
La palla era tenuta a terra da Josh. La afferrava con due mani, pronto a lanciarla ad un ragazzo proprio dietro di lui. Non riuscivo proprio a distinguere chi fosse. Gliela passò sotto le gambe, prese a correre e dopo poco la lanciò a Brian. Segnarono così i primi punti che li avvicinavano sempre di più verso la vittoria.
Con quei caschetti in testa era particolarmente difficile capire chi fossero. L'unico modo per riconoscerli era guardare il numero impresso sulle loro maglie.
Andarono avanti a giocare così per un po', stava quasi diventando noioso.
Ad un certo punto però, Brian non fu così veloce da riuscire a schivare l'avversario e fu placcato in una maniera che andava oltre l'inciviltà. Quando lo vidi cadere, chiusi un istante gli occhi per non vedere il momento dell'impatto a terra. Rimase steso per alcuni momenti che per me sembrarono infiniti. Soffrivo insieme a lui, come se potessi sentire il suo dolore.
Si teneva la spalla, senza farsene accorgere dal coach che altrimenti l'avrebbe sostituito. Era un'incosciente a giocare in quelle condizioni. Vedevo il suo volto contrarsi di dolore. Aveva preso a camminare in maniera strana, cercando invano di non muovere la spalla. Perché non si limitava ad uscire dal campo? Chiunque al posto suo l'avrebbe fatto, ne ero certa. Perché non voleva essere sostituito?
«È il capitano...» sussurrò Beth accanto a me. Come a volermi dare la risposta alla domanda che mi ero posta dentro di me. «Deve dare l'esempio, se lui uscisse gli altri non si sentirebbero più motivati. Serve che qualcuno li sproni e lui è il migliore...» sapeva molte cose su di lui, constatai. Doveva essere da un bel po' che lo conosceva. Oppure Josh doveva essere un gran chiacchierone. Le soluzioni erano solo due.
Il ragazzo che l'aveva placcato, doveva essere per lo meno ammonito. Quello era un fallo bello e buono. Brian era stato trattenuto in maniera irregolare dall'avversario. Ero l'unica ad essersene accorta?
Non potevo restare in silenzio, ero accomodante per natura, ma l'onestà era qualcosa di fondamentale per me. Quell'arbitro che doveva essere imparziale, non si era accorto di niente. Non poteva agire così, favorendo una squadra o l'altra a suo piacimento. Ma cosa stava guardando quell'arbitro? Era forse cieco?
Presi a inveire contro di lui, dicendo cose irripetibili. Beth al mio fianco mi guardò, talmente tanto stupita da non avere parole. Volevo che l'arbitro fosse giusto nel suo giudizio.
Anche il resto della folla che si radunava sulle gradinate, la pensava come me. Unendosi presto al mio pensiero. Continuavamo a gridare, chiedendo che venisse data una penalità per gioco irregolare.
Non ci placammo finché non ci diede ragione. Dando una penalità di 15 yards. Saltai in piedi tutta contenta, battendo le mani. Colsi uno sguardo di Brian che esprimeva riconoscenza nei miei confronti. Gli sorrisi a mia volta, ero contenta del mio successo.
*
La partita durò ancora molto. Ogni placcaggio era sempre più duro da guardare. Era come se fossi in campo insieme a loro e lo stessi vivendo in prima persona.
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Mai più come prima (#Wattys2016)
ChickLitAllison Martin. Occhi verdi come smeraldi. Pelle candida come la neve. Un'infanzia difficile alle spalle che l'aveva resa più forte. Non aveva perso la fiducia nelle persone, come avrebbe fatto chiunque. Ma in se stessa. Imparò troppo presto che un...