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Passai dal retro a prendere la mia borsa e prima di uscire dal locale salutai Javier come facevo ogni giorno prima di andarmene via.

In strada non c’era quasi nessuno e non mi guardai troppo intorno a osservare i passanti, mi avviai a passo spedito verso casa.

Pochi metri più avanti un ragazzo se ne stava appoggiato alla portiera di un vecchio pick up nero, aveva il cappuccio della felpa tirato fin quasi sugli occhi. Sembrava in attesa come se stesse aspettando qualcuno, io tirai dritta non dando importanza alla cosa e presi a cercare il mio cellulare all’interno della borsa.

Non feci in tempo ad estrarlo che iniziò a vibrare e suonare tra le mie mani, lessi il nome che lampeggiava sullo schermo e dopo aver appurato chi fosse lo lasciai scivolare di nuovo sul fondo della borsa. Lo squillo insistente era molto fastidioso ma non avrei risposto neanche se il rumore mi avesse procurato seri e irreparabili danni all’apparato uditivo.

La determinazione a non rispondere non mi mancava, soprattutto dopo quella lunga giornata. Proseguii per la mia strada ignorandolo completamente, come se non proveniente dalla mia borsa tutto quel fracasso fastidioso.

«Hey!» sentii qualcuno chiamare, ma ero quasi sicura che non fosse indirizzato a me. Alzai per precauzione lo sguardo per vedere chi fosse stato, d’altronde in strada c’eravamo solo io e quel ragazzo. Quindi mi voltai verso di lui e trovai due profonde pozze blu oceano a scontrarsi con i miei occhi, quello non era uno sconosciuto qualunque purtroppo per me. Quello era l’ultima persona che avrei voluto incontrare in quell’esatto momento, era Brian Anderson.

«Hey!» risposi di rimando senza troppa enfasi. «Cosa fai qui tutto solo soletto?» chiesi per cortesia senza voler in realtà sapere cosa avrebbe risposto. La curiosità mi aveva abbandonata, ero delusa, demoralizzata e priva ormai di qualsiasi possibile illusione. Il mio essere sognatrice stava lentamente ma inesorabilmente svanendo, man mano che continuavo a stargli accanto vedevo le speranze che avevo nutrito dentro di me farsi sempre più labili e sfuggirmi tra le dita ferendomi un poco di più ogni volta.

«Aspettavo una persona...» sembrava voler fare conversazione ma il piacere al riguardo era solo ed esclusivamente il suo. Il mio era svanito quando avevo intuito la voglia di liberarsi di me seduta a quel tavolo, quando non si era preoccupato di spendere una buona parola nei miei confronti. Aveva lasciato libero spazio a Tim e alle sue frecciatine, volte solo a prendermi in giro. Dava l’idea di vergognarsi di me e io non volevo essere un peso per nessuno, ognuno era libero di non dover sopportare la mia presenza.

«Ah allora io vado, in bocca al lupo! Spero che arrivi presto la persona che aspetti...» gli augurai con sincerità nonostante i suoi modi scostanti verso di me, non riuscivo a trattarlo come avrebbe meritato. Fino all'ultimo avevo sperato invano che le sue parole fossero ben altre ma non era stato così.

Con un cenno della mano lo salutai e sorpassandolo passai oltre, diretta nel mio posto sicuro a casa mia.

«Dove vai?» chiese in un tono strano, un mix di emozioni che non riuscii a decifrare.

Iniziò a passarmi per la testa che forse le parole di Chase non erano state così senza senso, forse c’era un fondo di verità in quel suo straparlare. La delusione era tale che non mi faceva neanche desiderare di capire fino in fondo cosa fosse vero e cosa no, ero totalmente insensibile al riguardo.

«A casa, dove dovrei andare? E poi a te che ti importa di quello che faccio io?» non potei fare a meno di rispondere con tono acido e pensare che fino a quel momento mi ero sforzata di apparire serena e tranquilla. La mia messinscena era andata irreparabilmente in fumo, anche un ceco avrebbe notato il mio fastidio nei suoi confronti e io odiavo che lo notasse.

Mai più come prima (#Wattys2016)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora