Capitolo Tredicesimo BLIND

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Stavamo al dessert, quando squillò il cellulare. Sul display lampeggiava un nome: Roberto Capasso. Lo registrai semplicemente con il suo nome e cognome quando, due anni fa circa, mi diede il suo numero.

Ricordo perfettamente il giorno in cui ci siamo conosciuti. Mi trovavo alla festa di compleanno di Ivana, una mia amica e cugina di Robb. Una delle solite feste che si danno in discoteca, dove la maggior parte degli invitati sono tutti amici; i rimanenti, pochissimi, non si conoscono per nulla. Mi presentai alla festa vestito di tutto punto. Abito nero Gieves & Hawkes di perfetto taglio inglese, camicia bianca con collo alla coreana cinto da una sottile fascia nera. Avevo la pretesa di presentarmi sempre ben vestito, curavo ogni dettaglio in modo maniacale. Ora sono ridotta, vestita tra un incrocio di un balenottero spiaggiato e La pazza di Chaillot (1), a scartare tra immondizie e panni buttati nei cassonetti.

Gli occhialini, poi, mi davano l'aria di una di quelle persone intellettuali, con le quali si teme un confronto per paura di non esserne all'altezza. Capelli tirati a lucido, niente fuori posto. Non potevo sfigurare con la festeggiata: Ivana. Anche in casa, lei è vestita come se dovesse andare a qualche cerimonia. Robb, invece, indossava dei jeans che aderivano perfettamente alle sue gambe muscolose e una camicia bianca che faceva apparire luminoso quel suo volto così maschio. Non badava molto al suo abbigliamento. Amava, però, curare il suo corpo facendo più di undici ore di palestra a settimana. Robb partecipava a questo party in veste di "regista", filmava qualsiasi istante della serata e, spesso me lo trovavo alle calcagna. Situazione che m'infastidiva molto. Non sopportavo di essere osservato, figuriamoci ripreso, quindi, chiesi a Ivana di farlo smettere. Lei non diede peso alle mie parole. Mi stufai di questa condizione e decisi di affrontarlo direttamente.

«Avrei piacere che lei la smettesse con quest'aggeggio. Ritengo sia una grossa cafonata e odio che mi si riprenda quando non sono pagati i diritti d'autore.»

Lui imperterrito continuò a filmare, anche mentre parlavo. Così gli tappai l'obiettivo con la mano destra, in modo che non registrasse nient'altro.

«Non ci siamo capiti? Divento molto brutto quando mi arrabbio!» Sbottai furioso.

«Puoi essere peggiore di così?» rispose in tono ironico Robb.

«Faccia meno lo spiritoso. Non sopporto essere preso in giro, soprattutto da uno sconosciuto.»

«Ah, scusami. Mi chiamo Roberto.» Tendendo il braccio per porgermi la mano.

«Io, no!» Gli voltai le spalle e me ne andai, disgustato dalla spavalda sicurezza di quell'uomo.

Avevo voglia di restare tranquillo e godermi la festa, cercando di alleggerire le mie ansie. Il mio stato d'animo era vittima di una profonda depressione sorta dalle mie numerose fisime che spesso prendo per "qualche persona" e se questa mi mostra indifferenza o è distratta nei miei confronti, cado nella depressione assoluta. Ed è questa profonda depressione che mi spinge ad assumere strane manie, strane forme di comportamento, oppure essere isterico, arrogante... e a sentirmi profondamente sconfitto, umiliato. Avverto la mancanza di ogni stimolo, non riesco a risollevare il mio spirito per combattere, logorandomi nel mio dolore. Nel mio animo sensibile nasce un senso d'inutilità e indifferenza che mi porta, a essere scortese o addirittura distratto con le persone che mi circondano e mi viene meno la voglia di divertirmi, anche se a volte cerco di sforzarmi. E, spesse volte, quando una persona entra tra le mie simpatie e nel momento in cui questa non mi mostra un suo "bel sorriso", distruggo la mia gioia di vivere. So benissimo come uscirne fuori da questo circolo vizioso che è l'ipocondria. Dovrei fare più attenzione agli altri che mi circondano: agli amici soprattutto. Ma non ci riesco, o non voglio riuscirci. Amo molto gli altri. Coloro che con poco impegno mi fanno rinascere, ritrovando quella serenità e quella gioia di vivere che spesse volte mi sfuggono quando vado incontro a delle futili intuizioni; quando proprio intravedo qualcosa e poi svanisce nel nulla.

Cercavo un posto tranquillo, ma come si poteva in quella confusione, con quel frastuono nelle orecchie che mi martellava, fino ad arrivare al cervello. Pensavo, quindi, di abbandonare quella festa ormai soffocante. E intanto Robb non si arrendeva, probabilmente aveva voglia di beffeggiarsi di qualcuno, così mi prese di mira. Forse perché essendo un omosessuale, aveva il diritto di farlo. Ritenendomi inferiore, considerandomi parte di una minoranza, era convinto di dover primeggiare su di me. Forse Robb pensava tutte queste cose. Può darsi provava repulsione nei confronti degli omosessuali. Ecco perché mi scherniva.

Robb mi seguì. «Cerco una persona che faccia una parte nel film di Spielberg come mostro rabbioso, sei disponibile?» mi disse chinandosi con la testa verso il mio orecchio per farmi ascoltare meglio.

«Deve piantarla! Non ha capito che voglio stare da solo?»

«Cosa?» Robb non capì cosa dissi, la musica era così assordante o forse fece finta di non capire.

«Senta, non ho nemmeno voglia di controbattere. Mi lasci in pace.»

Mi sentivo fiacco e spossato, come se stessi perdendo i sensi. Era la noia.

«Scusami, non volevo offenderti e agitarti così. Se posso fare qualcosa per te, dimmelo.» Robb mi guardò fisso negli occhi mentre parlava e si accorse che ero terribilmente esasperato.

«Sì. Vada a farti fottere.» dissi, furente.

«Adesso sei tu che sbagli con me.» «Perché sei così acido? Cosa ti è successo? Posso aiutare?» mi chiese Robb. Preoccupandosi di me, che fino a pochi minuti fa mi divertivo e scherzavo con tutti, mentre ora ero intrattabile. E Robb si chiedeva cosa mi avesse fatto cambiare umore da un momento all'altro. Era molto curioso. Una curiosità che non approvavo. Ritengo la curiosità, 'o nciucio (2), riprovevole, soprattutto quella fatta con indiscrezione, indelicatezza e grossolanità.

«Per caso è iscritto all'Esercito della Salvezza?» dissi con tono derisorio.

«Non hai voglia di parlare, vero?»

«Tombola!» Finalmente mi avrebbe lasciato in pace.

Ne avevo abbastanza. Cosa fare? Erano appena le ventitré, era presto. Prima di tutto, andare via. Lasciai Robb. Mi sembrò stesse dicendo qualcosa, ma non m'importava molto. Mi dileguai tra la folla, scomparendo agli occhi di Robb, accompagnato dal ritmo accattivante di Blind (3), e mai parole più profetiche:

I wish the light could shine now

But it will not present my present

It makes my past and future painfully clear

To hear you now

To see you now

I can look outside myself

And I must examine my breath and look inside (3).

Note:

1 - La pazza di Chaillot (La folle de Chaillot). Commedia del francese Jean Giraudoux, rappresentata da L. Jouvet nel 1945, dopo la morte dell'autore. Opera burlesca e paradossale da cui è stato tratto anche un film nel 1969, diretto da Bryan Forbes e John Huston, con Katharine Hepburn, Paul Henreid e Oskar Homolka.  La pazza Aurélie, una vecchia contessa stravagante, era solita vestirsi "da gran dama: sottana di seta con strascico sollevato, però, da una molletta da bucato, in metallo; scarpe Luigi XIII; cappello Maria Antonietta; occhiolino sospeso a una catenella; cammeo. E fra le mani una sporta di vimini."

2 – 'nciucio, significa pettegolezzo, sobillamento. Imbastire cose false in modo che sembrino vere, mischiare proprio piacimento il vero e il falso.

3 –Trad.: Vorrei che la luce potesse brillare adesso, Ma non mi mostra il presente, Rende il passato ed il futuro dolorosamente chiari, Sentirti adesso, Vederti adesso, Posso guardare al di fuori di me, E devo esaminare il mio respiro e guardarmi dentro, Perché mi sento cieco. 

Blind è il primo singolo tratto dall'omonimo album tratto degli Hercules and Love Affair (2008), progetto musicale capitanato dal DJ e produttore Andrew Butler, e comprende Nomi, Kim Ann Foxman e Antony Hegarty (leader del gruppo Antony and the Johnsons), che ha prestato voce e liriche a gran parte del disco del progetto.


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