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Finalmente suonò l'ultima campanella della giornata, ero pronta a tornare a casa per riposarmi.

Fuori dai cancelli salutai i miei amici e quando mi stavo per avviare verso la fermata dell'autobus mi senti tirare da un polso. "Ehi!" Esclamai.

Mi girai di scatto per vedere chi era quell'idiota e lo vidi. "Che vuoi?" chiesi quasi furiosa. "Dobbiamo parlare" disse guardandomi negli occhi.
"Non abbiamo niente di cui parlare... Vanni" Dissi l'ultima parola con disprezzo liberandomi dalla sua presa. Mi faceva strano chiamarlo con il cognome, non lo avevo mai fatto, neanche quando eravamo sconosciuto o semplici compagni di banco. 

"Si invece!" urlò quasi e i ragazzi che il quel momento stavano uscendo da scuola ci guardarono.

"E di cosa dovremmo parlare scusa? Del fatto che ti sei trovato una nuova ragazza? Oppure del fatto che te ne sei andato così senza aver detto niente a nessuno? In entrambi casi non mi interessa.  Mi fa piacere che tu sia vivo e vegeto ma io adesso devo andare, non ho voglia di sentirti. Il tempo per parlare te l'ho dato tempo fa ma hai preferito non rispondere neanche al telefono. Detto ciò..." Dissi tutto d'un fiato come se le parole mi uscissero da sole, usai lo stesso tono che ha avuto lui nei miei confronti e mi avviai nuovamente verso la fermata, oltrepassandolo.

"Jessica! Dove vai? Ei Jess.." Dalla volume di voce con stava parlando capii che man mano si stava avvicinando, così accelerai il passo.

"Jess, mi dispiace.. io.." Non lo lasciai concludere, mi voltai di scatto e lo schiaffo che gli tirai sulla sua guancia sinistra era talmente assordante che voltò la testa di lato.

"Non abbiamo niente di cui parlare." Risposi secca. Lui rimase fermo, come se fosse sconvolto dalla mia reazione. A questo punto gli occhi di tutti sono puntati su di noi. Vidi da lontano Christian, Jade e Alessandro guardarci anche loro a bocca aperta. Avevo forse esagerato? Non riuscii a comprendere il momento, troppi occhi, troppi sguardi e troppe attenzioni erano posate su di me in quel momento. Decisi che era il momento di andare via, Federico non mi seguì, di lui neanche l'ombra. Cercai di mantenere l'autocontrollo e presi finalmente l'autobus che era in transito. Riuscii a mantenere stranamente la calma anche se stavo scoppiando di rabbia e agitazione. Mi sentivo calda, la mano formicolava e sentivo una voglia irrefrenabile di spaccare qualcosa. 

Le persone a bordo mi guardavano come se fossi un alieno, probabilmente ero color peperone oppure mi guardavano perché stavo tremando di rabbia. Cercai di fare finta di niente mentre presi posto. 

Arrivai a casa e la mia mente era già un po' più leggera, finalmente riuscivo a pensare abbastanza lucidamente. Federico mi voleva parlare, gli dispiaceva, aveva detto. Gli dispiaceva per quale delle cento cose esattamente? Non so se avrei voluto scoprirlo, sicuramente non quel pomeriggio ormai, che di emozioni ne avevo avute abbastanza. Cercai di rilassarmi il più possibile iniziando a cucinare qualcosa. Cucinare i dolci era una cosa che mi aveva sempre appassionata, era una valvola di sfogo. La pasticceria è sinonimo di precisione, tempo, pazienza e costanza. A me piaceva proprio perché io ero una persona tanto precisa, alcuni davano la colpa al fatto che il mio segno zodiacale fosse la bilancia, indice di equilibro. Io non sapevo se crederci molto in realtà, magari era vero che in una piccola parte il segno zodiacale rispecchiava ognuno di noi, ma sicuramente non era per quello che a me piaceva la pasticceria. Il fatto che per cucinare un dolce dovevi essere così attento, questo mi aiutava quando dovevo spegnere il cervello da altre fonti di distrazioni, in quei momenti c'eravamo solo io e la mia ricetta. 

Chissà se prima o poi sarei riuscita a fare qualcosa oltre ai miei limiti.

Just Me & YouDove le storie prendono vita. Scoprilo ora