Il tempo peggiorava quella sera.
Ma c'era abbastanza luce che illuminava decentemente la stanza.
Il silenzio zittito delle note di una vecchia canzone che viaggiavano attorno ad essa.
Neanche i fulmini della tempesta che stava per arrivare riuscivano ad interrompere le sue mani. Desiderava ardentemente non farle smettere.
Le sue dita erano perfette. Pallide, come tutto il resto della sua pelle. Ricordava la neve. Ogni centimetro di essa era perfettamente liscia.Non aveva paura. Non in quel momento. Era messa da parte.
Sapeva di quella tempesta fuori dalla finestra. Sapeva che se avrebbe smesso, sarebbero tornati i ricordi.
Aveva smesso di provare sentimenti. Nessuna espressione, nessun problema.
Ma l'unico sentimento, quello che avrebbe preferito scomparisse per primo, era rimasto.
Le sue mani velocizzarono il ritmo della canzone, tramutando la sua delicatezza.
Quella non fu più una melodia smielata ma delicata, ma era frettolosa e incerta. Le sue dita erano tese per l'ansia, mentre un leggero tremolio le sorpassava.
In quel momento un ricordo gli fermò il respiro, mentre con un forte battito gli fece evaporare nel nulla il resto dell'aria che aveva nei polmoni.Aveva si e no quindici anni.
Era tardi, e per la millesima volta nel bel mezzo di una tempesta, un piccolo lui era nascosto sotto le coperte.
Tremava, per il freddo. Ma soprattutto per la paura.
Kenny, odiava i tempi bruschi e le tempeste come quella.
Una notte come le altre. O meglio, com'era abituato a passarle.
Sentiva i suoi passi pesanti avvicinarsi alla sua stanza. Ogni tonfo, un sussulto e un leggero sobbalzo.
I singhiozzi appena trattenuti. Aveva talmente tanta paura da credere di morire. Un fulmine si mischiò fra i suoi singhiozzi.
Le gocce d'acqua si scontravano contro la finestra. Cosa su cui, vanamente era riuscito a concentrarsi.
-Non può vedermi- singhiozzò -se non mi muovo non può vedermi- provò a stare fermo, respirando appena, solo quando gli era necessario.
-Dove sei parassita?- era entrato nella stanza. Si sentiva un leggero scricchiolio ad ogni suo passo.
Provò a stare fermo, immobile. Sperava che quella notte, almeno quella, non lo picchiasse né abusasse di lui come faceva sempre.
-Ooh, davvero credi che non ti veda?- chiese retorico l'uomo, Kenny. Lui sgranò gli occhi, ancora immobile sotto le coperte.
Aveva ancora più paura, mentre un altro fulmine sottolineava la tensione di quel momento.
-Stupido temporale di merda- biascicò Kenny, evidentemente ubriaco.
Si sentì un movimento delle coperte.
Il suo viso non era più coperto da esse.
-Eccoti qui!- sghignazzò, la puzza d'alcol invadeva il suo alito e il respiro del piccolo.
-Ti prego lasciami stare- lo guardò con terrore negli occhi, consapevole di ciò che sarebbe successo presto. Eppure ci sperava mentre supplicava umilmente la solitudine.
-Tu mi chiedi di lasciarti andare?- gli urlò contro, -Tu!? Brutto bastardo ingrato?- urlò ancora, con l'ira maneggiata dalla sbronza.
Le sue mani avvolsero il suo sottile collo, privandogli dell'ossigeno.
Le lacrime scendevano giù per il suo viso, bagnandolo più di quanto avrebbe fatto la pioggia stessa.Le coperte scivolarono via, mostrando il suo esile corpo ricoperto per lo più da bende, garze e cerotti.
-Adesso ci divertiamo- ridacchiò l'uomo con un sorriso addir poco inquietante.Le sue mani si erano fermate, a sei centimetri dai tasti del piano.
I suoi occhi aperti come non li teneva da tempo. Di solito erano sempre spenti e vuoti.
In nessun modo, avrebbe voluto proferire emozione.
Sempre attento a non lasciarsi trasportare. Niente di inadeguato.
Un fulmine tuonò nel cielo, illuminando per un secondo la stanza con la sua luminescenza.
Le mani si lasciarono andare in una caduta lenta e delicata verso le sue gambe.
I suoi occhi di ghiaccio osservarono gli spartiti sul leggio, appena davanti a se.
L'unico rumore che riempiva la stanza era il suo respiro, unito alla pioggia spinta dal vento che si scontrava contro la finestra. Ancora e ancora.
Il suo respiro si faceva sempre più pesante, rendendogli la respirazione un inferno.
Le sue mani pallide, le strinse in due pugni chiusi con tutta la forza che aveva.
Tutto in un solo scatto. Si alzò in piedi, nel mentre, lo sgabello su cui era seduto cadde a terra, e fece volare per aria quegli spartiti.
-Lurido porco- urlò, mentre un foglio dopo l'altro scivolavano a terra.
Sparsi per il pavimento, mentre il suo respiro era irregolare. Mentre stringeva i denti e i pugni in due fessure. Mentre il ricordo gli lasciava uno strano amaro in bocca.
Si passò le mani, fra i capelli corvini.
Il suo sguardo era tornato freddo e distaccato. Si sedette sullo sgabello, dopo averlo messo, con calma, in piedi.
Guardò le sue mai. Poi, i tasti del pianoforte a coda davanti a se.
'È passato un po' dall'ultima volta...' pensò osservando i suoi polsi.
Prese il coltellino a serramanico vicino al leggio, dove poco prima, gli spartiti erano sistemati in modo morbosamente ordinato.
Prese con una strana lentezza il manico di quella lama affilata fino alla punta. Osservò ancora i suoi polsi.
Notando i segni ancora visibili.
Tagliò lungo tutto il polso, un linea dritta e puramente ordinata.Il sangue colava lento sul suo polso.
Una striscia rossa percorreva il suo braccio, fino ad arrivare al gomito.
E lentamente, il sangue si tramutava in una goccia di rubino, che scivolava sui suoi pantaloni neri.
Il suo sguardo fermo, come lo era stata la sua mano. I suoi occhi tornarono poco espressivi, con il loro color grigio, infossati e coronati da profonde occhiaie poco evidenti. Osservavano la linea perfetta che aveva creato sul suo polso.
Il battito del suo cuore si era calmato, fino a diventare nuovamente regolare.
Nuovamente un fulmine.
Ma lui era troppo preso dal suo lavoro per accorgersi di ciò che gli stava attorno.
La lama luccicava appena per ogni fulmine che mostrava la finestra.
Non si sentiva meglio. Non più di tanto... ma era un modo per distrarsi. Far finta che quella persona non fosse davvero lui.
La lama abbandonò la sua pelle, mentre dell'altro sangue scivolava via.
Un ultimo fulmine, prima di rendersi conto, che era inutile.
Eppure c'era chi si sentiva meglio. Perché lui no? Perché gli era privato di sentirsi bene?
La frustrazione, non si impossessò del suo viso. Rimase impassibile di fronte al suo stesso sangue.
Tutt'altra fu la sua reazione. Si schifava di se stesso, e di ciò che usciva da lui. Stava macchiando un paio dei suoi pantaloni preferiti.
Per paura di macchiare la sua amata camicia grigio chiaro, quasi sul bianco. Si alzò in piedi, attraversando la stanza e camminando verso il bagno. Dove avrebbe trovato le bende adatte per fasciarsi il polso, prima che macchiasse qualcos'altro.
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Uɴ Sᴇᴍᴘʟɪᴄᴇ Tᴏᴄᴄᴏ || 𝐋𝐞𝐯𝐢 𝐀𝐜𝐤𝐞𝐫𝐦𝐚𝐧 || ERERI
Fanfiction-Perché c'è solo silezio?- -Anche il silenzio è musica...- [da revisionare]