17. Run away from the other people

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Little things
Maggio 2018, Lisbona.

POV'S ALICE

I primissimi giorni a Lisbona furono entusiasmanti e in un certo modo mi sembrò di rivivere lo stesso senso di disorientamento che avevo avuto i primi giorni di trasferimento a Londra, stessa identica sensazione.
L'ambientazione in una città nuova, il cambiamento e lo stravolgimento della vita mi lasciavano sempre col fiato sospeso, nonostante amassi tanto cambiare luoghi.

Lisbona, o meglio, Lisboa in Portoghese, me la ricordavo abbastanza diversa.
Fui sorpresa nel vedere che negli anni quella città era cambiata parecchio, ma, come dico sempre tutto cambia anche se ai nostri occhi non sembra.
Alcobaça abitava proprio nel cuore pulsante di Lisbona, in Avenida Da Liberdade, viale principale della capitale che si snoda per molti chilometri.
Essere lì, su quelle vie così grandi e immense tipiche di Lisbona, mi fece tornare alla mente molti ricordi del viaggio a Lisbona con i miei genitori quando avevo solo 14 anni.
I miei genitori mi mancavano tanto, come del resto altre persone, loro ovviamente più di altri.
Ma, avevo deciso di vivere da sola. E con certe cose non si può tornare indietro.

- Hai mai preso l'Elevador de Santa Justa? -
Alcobaça mi stava parlando da mezz'ora della sua famiglia, ma io non l'ascoltavo, ero immersa nei miei problemi.
- No mai, ci volevo andare quando c'ero stata con i miei genitori ma per mancanza di tempo non ci salii -
L'Elevador de Santa Justa, o ascensore di Santa Justa, è un ascensore panoramico turistico che dal piano terra porta in cima per ammirare il Rossio, la Baixa e il Castello di Sao Jorge, tutti quartieri importanti a Lisbona.
E' molto famosa come attrazione e dato che Alcobaça mi stava facendo fare un giro della città, me lo domandò.
- No, non puoi vivere a Lisbona e non essere mai salita sull'Elevador, è tradizione - esclamò bevendo uno Starbucks schifoso pieno di panna.
- O tradicao, qui ogni parola finisce per ao -
Rimasi stupida dalla lingua Portoghese, diversissima dallo Spagnolo, quasi ogni parola in portoghese finiva per ao.
Da sentire e da parlare era molto strano.

Quando Alcobaça mi portò sull'Elevador, capii l'importanza di esso e perché ci tenesse molto che io ci salissi sopra.
Da lì si poteva ammirare la città dall'alto, molto romanticamente.
Il vento freddo di maggio da lassù si faceva sentire bene.
- E' bellissima - esclamai incantata, mentre scattavo foto a raffica col mio cellulare.
- Sono contenta che ti piaccia -
- C'è una tranquillità nell'aria che è meravigliosa - dissi, era vero, i Portoghesi erano persone tranquille, non andavano mai di fretta e soprattutto nella loro tranquillità si facevano i cazzi propri.
- Stile Portoghese, ci facciamo i fatti nostri - esclamò lei facendosi un selfie con lo sticker.

Dopo una decina di minuti, ritornammo a terra e proseguimmo verso Praça do Comercio, piazza principale di Lisbona.
- Io ho fame - esclamò Alcobaça mentre io ero in un negozio di souvenir.
Stavo prendendo qualche cartolina da spedire ai miei genitori e lei continuava a ripetere che aveva fame.
- No, io non ho fame. Sono solo le due di pomeriggio - protestai, prendendo quattro cartoline a casaccio.
- Ehm Alice di solito a che ora pranzi? - domandò lei, aveva ragione, forse alle due era troppo tardi.
- Prima forse, beh tu pranza pure sola io continuo con lo shopping -
La lasciai davanti ad un negozio di patatine fritte e dopo una decina di minuti la vidi arrivare con un cartoccio medio di patatine e ketchup.
Alcobaça era una ragazza mora con capelli lunghissimi fino al sedere, occhi castani, viso lungo e squadrato, magrissima con carnagione ambrata. Era molto bella, assomigliava ad Athina per certi tratti ma io mi domandavo sempre, da quando ero a Londra, come facesse ad essere così in forma se mangiava solo schifezze.
- Prima o poi diventerai obesa - commentai, guardando le patatine che nuotavano nel ketchup, solo a guardarle mi veniva il vomito.
- Dopo tre anni che ho vissuto a Londra non sono diventata obesa, tutto è possibile -

POV'S BENJAMIN

Da quanto Alice se ne era andata mi ero chiuso perennemente in studio di registrazione a scrivere.
Un mese e mezzo passato a Milano alla Warner.
Avevo spiegato tutto a Fede e lui aveva assecondato Alice, dicendo che dovevo darle tempo, prima o poi sarebbe ritornata da me più serena.
Ma non sapevo se credere o no alle parole di Fede.
Non sapevo che cosa stesse accadendo nel cervello di Alice.

Quello che sapevo però era che da lì a poco io e il mio collega saremmo partiti con diversi concerti in giro per l'Italia, il primo al Fabrique, Milano.
Io, nonostante fossi triste e demotivato perché Alice non c'era più, dovevo dimostrarmi sempre felice e simpatico con le nostre fan, sui social network, era la prassi del nostro lavoro. Non potevamo mostrarci incazzati o tristi.
E forse, era meglio così.
Fingevo di stare bene, ma a forza di tirare la corda prima o poi quella si rompe.

Fede era carico per il tour, voleva prendersi il palco e far vedere chi cantava veramente.
Per quanto riguardava me invece, era diventato solo lavoro. L'unica cosa che mi faceva stare un po' meglio e riusciva a non farmi pensare ad Alice, era scrivere musica.
Scrivere musica, comporre, pensare mi aiutava a dimenticarla. Anche se, non la dimenticavo mai.
Era al centro di ogni pensiero, ogni nota e ogni frase scritta.

Il 12 maggio ci sarebbe stata la prima data. Era tutto pronto.
La band. Milano.
Sentivo le urla delle fan dal mio camerino, erano dolcissime e scatenate come sempre.
- Oh Benji, fra 10 minuti partite -
La voce della nostra produttrice era squillante, dovette urlare parecchio per farsi sentire, le fan urlavano tantissimo, non si capiva nulla.
- Sisi, va bene - esclamai guardando le corde della chitarra e Mucchino, che era sempre al mio fianco.
In quel preciso istante il mio cellulare iniziò a vibrare.
Controllai il display, era Athina.
Non avrei capito nulla di quello che doveva dirmi con tutto quel baccano assordante, così corsi fuori, nell'area fumatori all'aperto.
- Hey Athina! -
Non mi salutò nemmeno e andò dritta al punto.
Mi sentii quasi mancare quando ricevetti la notizia.
Il mio cuore perse battiti.
Fu un colpo all'anima.
Fu come se ogni cosa, ogni singola cosa della mia vita, non dovesse mai andare per il verso giusto.
Fu come morire un pò.
Alice si era trasferita, aveva lasciato un biglietto ad Athina.
Portogallo. Lisbona.
Io stavo sudando freddo.
Le mie labbra erano secche, la gola bruciava tantissimo, la testa pulsava e gli occhi lucidi volevano piangere lacrime fino a svenire, volevo urlare, tirare un urlo che anche Dio mi avrebbe sentito.
Ma, rimasi inerme. Senza respirare.
- Benjamin vieni santo cielo! Che fai lì fuori? -
La voce del nostro secondo produttore, mi fece girare.
- Athina, ti chiamo più tardi -
Chiusi la chiamata al volo, la chitarra ancora in mano, tremavo, vidi le quinte poco dopo.
Le urla delle fan.
Non stavo capendo più nulla.
La prima canzone della scaletta era New York, una canzone del primo album.
Io suonai la chitarra senza rendermene conto; guardavo un punto fisso in mezzo alla folla di fan davanti a me. Mi immaginavo Alice, in ogni ragazza. Vedevo solo lei, era come se avessi le allucinazioni.
Non ero in me, le mie mani si muovevano a caso sulla chitarra.

Appena Fede finì l'attacco dell'ultima frase di New York, le luci si spensero per una brevissima pausa; Fede mi corse in contro.
- Si può sapere che hai? Ben gli accordi? Era un Do non un Fa, hai cannato almeno quindici volte - la sua voce era rauca, arrabbiata.
- Si scusa, non sto molto bene -
- Che hai? -
- Emicrania, ma è tutto ok. -
Le luci si riaccesero e la base della seconda canzone partì all'istante, era sempre del primo album, Fino a farmi male.

Per dimenticare,
fino a farmi male, fino a farmi male
ti amerò per sempre, mi cambierò la pelle
e poi ti capirò, davvero

Quando Fede cantò quelle parole, quando arrivò a quel punto esatto del ritornello, mi sentii veramente male.
Le mie mani scivolarono dalla chitarra.
Era come se, quelle parole fossero state scritte apposta per me, indirizzate ad Alice.
La testa pulsava ancora più forte di prima.
Appoggiai la chitarra sul palco, sentii lo sguardo di Fede, della band e delle fan su di me, come se mi volessero dire 'ma che cazzo fai Ben?' .
Scappai correndo.
Non volevo più suonare lì, non quella sera.
Non dopo aver saputo che Alice, la ragazza che amavo, si era trasferita lontano.
Non volevo crederci.
Stavo impazzendo.





Spazio autrice:

Hey ciao, buonasera a tutte.
Come state? Sono riuscita a postare di giovedì, ye!
Benjamin scappa dal palco, povero. Fede come la prenderà però?
Lo scopriremo solo vivendo ;)
Fatemi sapere nei commenti. Grazie a tutte.

Dervla.

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