25. I wanted to let me go

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Little things. 
Settembre 2018, Verona. 

POV'S BENJAMIN

Il 4 settembre 2018 potrei benissimo dire che la mia vita cambiò nel giro di una decina di minuti.
Athina e Fede si presentarono davanti a me, con l'accortezza e la compassione di dire le cose giuste al momento giusto e nel modo giusto mi rivelarono tutto quello che non avrei mai immaginato.
Mi dissero che Alice si era ammalata. Di anoressia.
Il mio cuore alla notizia, perse battiti.
Come potevo stare bene ed essere sereno se la persona che amavo e che avevo cercato per mesi si era ammalata ed io non ne sapevo nulla? Come potevo essere un vero uomo?
Beh non lo sapevo nemmeno io.
Avevo sempre cercato di essere buono, disponibile, gentile, amorevole e simpatico con Alice. Le avevo mostrato affetto ed interessamento fin dall'inizio ma, forse, non era bastato.
Athina e Fede mi consigliarono d'andare da lei, in clinica e li ascoltai. Per me e Alice loro due avevano fatto tanto, era grazie a loro se l'avevo ritrovata, gliene ero veramente riconoscente.

La mattina del 7 settembre 2018 Fede mi accompagnò in clinica, una delle cliniche più belle e costose sul Lago di Garda, con noi c'era anche Athina.
- Io ragazzi ... non so - balbettai appena, quando arrivammo davanti all'edificio bianco pieno di finestre.
Fede frenò bruscamente, successivamente girò la testa verso di me.
- No, non ti puoi tirare indietro ora. Ha bisogno di te, cazzo! - esclamò Fede, quasi incazzato.
La faceva facile lui.
Non era semplice, non si poteva 'scherzare' su una malattia del genere, nemmeno per sogno.
Ed io non sapevo se ero psicologicamente forte per superare il tutto, sicuramente però ci avrei provato.
- Si, va bene -
- Noi non entreremo, ti accompagnamo all'ingresso poi ci pensi da solo eh! - mi disse Athina, con uno sguardo protettivo, come se volesse mettermi a mio agio.
Sorrisi e acconsentii, era meglio se entravo solo.

Così infatti andò.
Athina e Fede mi accompagnarono davanti alla porta della camera di Alice, si sedettero sulle sedie che erano di colore bianco, a differenza di quelle ospedaliere blu.
Fede mi guardò negli occhi e mi fece l'occhiolino.
La clinica era grande, più bella di un normale ospedale, avevano un giardino enorme, camere colorate e aree ricreative.
Ogni paziente aveva una camera per sé e la porta di ogni camera, era colorata in modo diverso.
Alice per esempio aveva la camera verde.
L'infermiera e la psicologa di Alice mi dissero che non sapevano se avrebbe voluto parlare con me, per quel motivo entrarono prima loro nella sua camera.
- Alice, c'è una persona che ti vuole vedere.. tu vuoi vedere di chi si tratta? - la psicologa parlava come se Alice fosse una bambina, come se non riuscisse più a capire le cose essenziali.
- Si, okay - sentii la sua voce soffice pronunciare quelle parole.
Il cuore mi batteva all'impazzata.
La psicologa uscì e sullo stipite della porta mi disse - Fai il bravo. Hai mezz'ora! -
Io annuii col capo e mi girai verso Fede e Athina che erano seduti sulle sedie.
Athina mi fece il pollice all'insù, mentre Fede la guardava di sbieco. 
Chissà che cosa tramavano quei due, non me la raccontavano giusta.


Entrai nella camera adagio.
E la vidi.
Distesa sul letto, le lenzuola bianche, poi il vestitino blu che indossava e infine vidi il suo viso.
Scavato, magrissimo e sopratutto irriconoscibile.
- Be-Benjamin -
Pronunciò il mio nome, dopo mesi.
Era cambiata, ma la sua voce era sempre quella.
- Posso rimanere qui un po' o ti disturbo? - domandai, col cuore che batteva ancora più forte e le mani che tremavano.
Annuì - Certo -
Vicino al letto c'era una sedia, in legno.
L'avvicinai ancora di più al letto e appoggiai su di essa tutto il mio peso.
- So che presentarsi qui dopo mesi è da stronzi, ma non sapevo tu stessi così male - pronunciai quelle parole guardando le sue braccia che non si potevano definire braccia, erano ossa ricoperte di pelle.
- Non hai colpa Benji. Sono io che non mi volevo far vedere così da te - pronunciò quelle parole piano, a fatica.
Guardai il suo volto, tremendamente stanco, sembrava quasi fosse stanca della vita.
- Perché? Sai benissimo che ti avrei aiutato in tutto -
- Non volevo crearti problemi. Quando ti ho lasciato ero in un momento di confusione, non sapevo bene quello che volevo fare della mia vita, sono fuggita in Portogallo sperando di trovare chissà che cosa, ma dai problemi non si può fuggire, bisogna affrontarli. E poi beh, questa malattia ... - si fermò, mi guardò dritta negli occhi, quasi avesse paura di pronunciare la parola 'anoressia' - Questa malattia schifosa mi ha travolta e presa con sé. - 
Ascoltai le sue parole, dette con semplicità.
Il suo viso scheletrico era sempre dolcissimo.
- Alice, tu non mi crei problemi, non sei un problema per me. Mettiti nella testa che sono innamorato perso di te, ci sono e saranno sempre alti e bassi, così è la vita. Avrei tanto voluto saperlo, che stavi male. - esclamai con le lacrime che volevano uscire, erano lì lì pronte a farsi avanti.
- Anche ora sei innamorato di me? - mi domandò, mettendosi seduta sul letto, con la stessa timidezza di quando ci eravamo conosciuti. 
- Si anche ora -
- Anche ora che sono in queste condizioni? -
- Anche ora, più che mai -

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