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Quando il treno si fermò a Ravenna, Anna scese senza perdere tempo. Si sentiva strana, a metà strada tra il volteggiare tra le nuvole e l'affogare nel mare. La lontananza da Simone iniziava già a farla sentire agitata, ma le promesse del calciatore le facevano sperare che tutto sarebbe andato per il meglio. Non aveva mai provato un sentimento così forte, né si era mai sentita così impotente. La sicurezza che Simone era davvero innamorato di lei stava lasciando il posto ad una nuova incertezza: come avrebbe fatto a mantenere il suo stile di vita se l'unica cosa che voleva fare era stargli accanto? Se adesso si sentiva così che era passata appena un'ora da quando si erano salutati, come avrebbe affrontato la distanza man mano che il tempo passava?

Si chiedeva come facessero le donne in carriera a stare lontane dalle loro famiglie; come potevano mettere al primo posto la loro carriera? Il suo sogno era quello di girare l'Italia e il mondo in cerca di opere d'arte da salvaguardare, ma come poteva allontanarsi così tanto dall'uomo che amava senza rischiare di impazzire? Sapeva che Simone non avrebbe rinunciato alla sua carriera per lei, e Anna non glielo avrebbe neanche mai chiesto. Ma era giusto che fosse lei a rinunciare ad una possibile carriera?

Camminava lentamente, verso il suo appartamento, il peso di quei pensieri che oscurava la felicità degli ultimi giorni. Cercando di non darci troppo peso, chiamò Simone per avvisarlo che era arrivata sana e salva.

"Pronto?"

"Sono arrivata e sto andando a casa, papà."

"Mi stavo già preoccupando. Io sono ancora in treno. Spero di essere a casa per l'ora di cena, anche perché devo aggiornare Alvaro."

"Aggiornare Alvaro? Ti rendi conto che siete peggio di due comari, vero?"

Chiacchierarono tranquillamente per un po', cercando di non concentrarsi sul fatto che entrambi sentivano il vuoto lasciato dall'altro.

Ma quando giunse in prossimità del suo appartamento, Anna si bloccò di colpo. Davanti a lei, l'ultima persona che avrebbe voluto vedere.

"Ehm, Simone? Devo andare, ti richiamo io," riattaccò, senza attendere risposta.

"Che ci fai qui?"

Le bloccava l'accesso al condominio, impedendole di rifugiarsi in casa. Non era cambiato per niente dall'ultima volta; anzi, aveva sempre lo stesso cipiglio da prepotente, lo stesso atteggiamento da re del mondo. La guardava come se fosse un trofeo, una cosa da vincere ad ogni costo.

Scese i gradini dell'ingresso dello stabile e le si avvicinò, l'arroganza che trasudava da ogni poro. Anna strinse i denti in un riflesso condizionato: il dolore che le aveva causato quel ragazzo più vivo che mai.

"Speravo di incontrarti qui, Annette. Non siamo riusciti a parlarci come si deve quando sei venuta a casa."

"Non ero tornata a Trento per parlare con te, Andrea. E non chiamarmi Annette."

"In effetti, poi sei scappata a gambe levate. Penso di meritare una spiegazione, no?"

"Non ti meriti niente."

Si guardarono in cagnesco e Anna capì che i sentimenti di quel ragazzo non erano stati del tutto soffocati. Provava ancora qualcosa per lei. E, tutto sommato, ad Anna era mancato quel ragazzo burbero con il cuore grande che l'aveva aiutata tanto.

Dopo qualche secondo, si sorrisero e lui colmò la distanza che li separava con due grandi passi. L'abbracciò forte, e lei ricambiò quel gesto d'affetto.

"Mi sei mancata, Annette."

"Anche tu, Andrea."

Lo prese per mano e lo condusse all'interno del condominio.

Non è mai semplice/ Simone ZazaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora