9. escape

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19.20

L'ossigeno nell'aria è quasi totalmente mischiato alla polvere e al fumo. Dopo diversi secondi di stordimento riesco ad aprire gli occhi.

Sono viva. Sdraiata sul pavimento con le braccia a coprirmi il viso, l'esplosione deve avermi sbattuta contro il muro insieme al tavolo e agli altri due ragazzi. Di cui qui non c'è l'ombra.

Sbatto gli occhi più volte e inizio a spingere sulle braccia per mettermi seduta, appoggio la schiena al muro e mi porto le mani sporche di sangue e polvere davanti al viso.
Non faccio nemmeno caso alle fitte di dolore che mi pervadono l'intero braccio destro.

Alcuni spari attirano la mia attenzione, non riesco a vedere bene per colpa della polvere ma distinguo comunque i contorni di quattro persone che si stanno sparando gli uni contro gli altri.

I due più vicini alla porta cadono a terra feriti e odio aver già abituato la mia mente a questa vista. La mia pistola giace ancora vicino al tavolo così mi sposto con la schiena contro questo e la afferro.

Sento dei passi veloci aumentare e farsi sempre più vicini, provo a respirare lentamente la poca aria pulita rimasta per tranquillizzarmi e far smettere le mie mani di tremare, inutilmente. Il tavolo si stacca di scatto dalla mia schiena, così mi giro con la stessa velocità e punto la pistola contro la persona che lo ha spostato mantenendo il respiro.

«Sono io!» dice velocemente. Non riesco a vederlo, ma riconosco la sua voce e finalmente espiro: è il ragazzo castano.

Lui gira il viso, probabilmente ha lo sguardo sul mio braccio. «Dobbiamo uscire, qui non si respira.» Abbasso la pistola.

Solo quando mi aiuta ad alzarmi afferrandomi dai fianchi mi rendo conto di quando le mie gambe siano indolenzite, ai primi due passi barcollo, finché i due ragazzi non cominciano a correre e mi costringo a mantenere il loro passo.

Arriviamo alla porta che conduce fuori da questa stanza e finalmente la luce mi permette di vedere più chiaramente. Ci facciamo ancora una volta tutti con le spalle contro il muro, il castano si sporge con il viso fuori, poi annuisce guardando me e l'altro ragazzo «È libero.»

Li seguo ancora una volta tenendo la pistola stretta tra le dita, c'è una rampa di scale che porta giù sulla sinistra, un'ascensore in mezzo e un corridoio lungo con alcune stanze dalla porta aperta sulla destra.

«Jacob, tu controlla giù dalle scale,» ordina al ragazzo, devono essersi scambiati i nomi mentre io ero svenuta, in effetti è difficile comunicare con qualcuno di cui non conosci il nome «tu invece resta qui, io controllo il corridoio,» si rivolge a me, io e Jacob annuiamo all'unisono «se vedete qualcuno sparate e urlate, ci ritroviamo qui.»

Resto da sola ancora una volta. Almeno qui si respira meglio.
Lo sguardo mi cade sulla ferita sul mio braccio quando inizio a sentire dolore. Il pezzo di maglietta con cui è avvolta la ferita è completamente ricoperto di sangue. Devo cambiarlo.

Inserisco la sicura nella pistola come mi ha mostrato prima dell'esplosione il castano e la metto tra l'elastico dei pantaloni e la vita. Mi attacco con le spalle contro le porte dell'ascensore e inizio a tirare un lembo della mia canottiera per strapparla, provo anche ad aiutarmi con i denti ma niente, è più difficile di quello che il castano l'aveva fatto sembrare.

Ad ogni mossa il mio braccio mi fa più male e il sangue riprende a scendere. Mi sporgo dai lati dell'ascensore per controllare la situazione e, non vedendo nessuno, decido di provare ad usare una mia calza come benda.
Sfilo la scarpa destra aiutandomi con il piede sinistro e tiro giù la calza che mi arriva quasi al ginocchio, rimetto velocemente la scarpa e tolgo l'elastico dal braccio.

Ogni movimento è reso più difficile dal dolore e dal fatto che sono destra ma sto facendo tutto con la mano sinistra. Slego la benda cercando di non farmi venire altri conati di vomito per via di tutto il sangue.

Il rumore di alcuni passi mi fa riportare l'attenzione sulla situazione. Qualcuno sta arrivando dal corridoio, potrebbe essere il ragazzo castano, o potrebbe essere un ragazzo mascherato. Mantengo la calza tra i denti e afferro la pistola con la mano sinistra, togliendo la sicura.
Il pezzo di maglietta inzuppato di sangue cade a terra facendo lo stesso rumore di un panno bagnato, che poi è anche l'aspetto che ha.

Fisso l'angolo che chiunque sia dall'altra parte dovrà prendere e punto la pistola verso quel punto, pronta a sparare nonostante le dita mi tremino ancora.

«Sono io.» sussurra quella voce che ormai mi è così familiare, poi il castano svolta l'angolo e si blocca quando, per la seconda volta, si trova la mia pistola puntata al petto.

La abbasso e prendo la calza dalla mia bocca con la stessa mano, espiro sollevata e appoggio la schiena all'ascensore sbattendoci piano la testa.

«È la seconda volta che fai così, avrei potuto spararti.» mi lamento cercando di ritrovare la calma grazie alla quale qualche minuto prima ero riuscita ad isolarmi da tutto e quasi medicarmi il braccio.

«Ma non l'hai fatto.»

Reinserisco la sicura e metto la pistola nel punto precedente, poi gli mostro la calza e indico la ferita.

«Stavo provando a cambiare la fasciatura.» spiego notando il suo sguardo confuso «Ma non riesco a strappare la canottiera.»

«Mh, fai provare.» lui si abbassa e avvicina il viso alla mia vita, poi prova a strappare un pezzo della canotta aiutandosi coi denti ma non riesce.

Sospira e si porta indietro i capelli passandoci le dita, torna in piedi e noto che è quasi alto come me, solo poco in più. Mentre alza i lembi della sua maglietta già strappata intravedo anche i suoi muscoli.

È strano che un ragazzo che sembra così esperto in pistole e con il piano sempre pronto si sia ritrovato in una situazione del genere, è strano in primo luogo che sia venuto ad una festa poche ore prima della purificazione.

Probabilmente non dovrei, ma non riesco a fare a meno di fidarmi di lui.

«Fatto, vieni.» dice prendendo piano il mio braccio destro, con il poco rimasto della sua maglietta asciuga il sangue che mi si è sparso per tutto il braccio e avvolge la ferita con la striscia di stoffa appena strappata, fa lo stesso con la mia lunga calza nera e alla fine lo aiuto a tenere fermo il tutto mentre lui ci rimette l'elastico sopra.

Apro bocca per ringraziarlo ma dei colpi di pistola me la fanno richiude subito, lui si gira di scatto e io mi immobilizzo. Niente, provenivano dal piano di sotto: Jacob.

«Andate via!» un grido.

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Ehilà! Se state leggendo questa parte vorrei ringraziarvi per aver continuato a leggere fin qui, grazie! Grazie a chiunque voti, commenti e legga questa storia, siete pochi ma who cares.
Spero che la storia vi piaccia e non vi annoi, anche perché la fuga è appena iniziata. Fatemi sapere cosa ne pensate pls💓

Non l'ho mai detto prima ma credo si capisca: la storia è ispirata alla serie di film the purge, in italiano la notte del giudizio (di cui sta per uscire il terzo😍😍).
La storia non è uguale a nessuno dei tre, forse un po' al secondo ma neanche tanto. Vi consiglio di guardarli, sono bellissimi!

Killer Game | Matthew Espinosa Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora