Cap. 2

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La figura si mosse lenta, nell'ombra della notte. Aveva atteso fin troppo, era giunto il momento di agire.
In fretta fece capolino da dietro un pedalò e si avvicinò, silenziosa come un gatto, alla sua vittima.

La spiaggia era pressochè deserta, i pochi presenti si erano addormentati, crollati sulla sabbia per il troppo alcool e per i bagordi di quella notte che si preparava a sparire, mentre lei, vigile e attenta, rimirava il cielo, nell'attesa di poter cogliere i primi bagliori dell'alba.

Ogni anno, la mattina di quell'undici agosto rappresentava una nuova rinascita. Era la sua "alba del giorno dopo", e chiunque la conoscesse sapeva che niente e nessuno avrebbe potuto farle cambiare quella sua abitudine.

Non la sentì neppure arrivare, si accorse della sua presenza solo quando la figura aprì bocca.

- Non ci sarà più nessun nuovo giorno, per te. - Le sussurrò all'orecchio.

Matilde si voltò di scatto e lo vide.

Gli sorrise, pensando fossero i postumi di una sbornia a farlo parlare, poi tornò a fissare il cielo.

- Pensavo restassi a casa, -disse senza voltarsi - ma... aspetta, credo che... -

Non fece in tempo a finire la frase, che improvvisamente, sentì uno strano fruscio.

Poi il buio.

Cominciò a dimenarsi.

La figura dietro di lei le sistemò frettolosamente una busta nera, di quelle per l'immondizia, sulla testa e aumentò la presa intorno al suo collo.

Matilde provò a strappare quel telo che le impediva di respirare, ma il panico prese il sopravvento.

Scalciava...

Urla soffocate le si fermarono in gola.

Lui era fin troppo tranquillo, non era la prima volta che si trovava in quella situazione. Sapeva bene come stringere la morsa per assicurarsi un risultato veloce e pulito.

Niente armi. Avrebbero fatto rumore.

Nessun coltello. Avrebbe potuto ferirsi.

Neppure una corda o qualsiasi altro legaccio che avrebbe trattenuto possibili tracce del suo DNA.

E non era solito usare guanti. Con quel caldo poi, non sarebbe riuscito ad avere la presa salda e sicura di cui tanto andava fiero.

Il rumore delle onde che si infrangevano a riva coprì i gemiti di dolore e paura della ragazza.

Ci volle davvero poco, poi lei smise di lottare e si arrese al suo assassino.

La figura, una volta sinceratasi di aver portato a termine il suo lavoro, si alzò, ripose la sua arma del delitto nello zaino e si incamminò verso casa.

Lasciò la ragazza riversa sulla sabbia, in balia della marea che pian piano cominciava a salire.

Non aveva importanza che restasse sotto gli occhi di tutti. A prima vista sembrava l'ennesimo ubriaco, ma uno sguardo più attento avrebbe notato gli occhi aperti, lo sguardo perso nel nulla, il respiro assente, l'immobilità perpetua.

Durante il tragitto, gettò via il sacchetto vuoto nel cassonetto accanto al chiosco, salutò il barista che stava finendo di riordinare il locale e andò per la sua strada.

*******

Quando Francesca arrivò sotto casa di Angelo aveva il fiatone: aveva corso come una matta, un po' per paura di fare qualche brutto incontro, un po' perché, in fondo, sentiva il bisogno di stare col suo ragazzo. Era stata una lunga notte e adesso voleva solo dormire abbracciata a lui.

Il villino in cui abitava era circondato da un giardinetto, curato e ben tenuto. Il verde era assicurato dall'impianto di irrigazione automatica, che ogni notte alle ventitré e alle cinque del mattino, si accendeva per mezz'ora. Lei guardò l'orologio e si accorse di dover aspettare solo qualche altro minuto, prima di poter attraversare incolume il vialetto. E come per magia, alle cinque e trenta l'acqua smise di zampillare dagli ugelli. Corse a raggiungere il portone di ingresso e suonò il campanello.

Il suo principe azzurro la aspettava, in accappatoio.

- Entra, finisco di asciugarmi e ti raggiungo - disse facendola accomodare.

Lei sorrise, sapeva che non avrebbe dovuto aspettare a lungo.

Andò in camera, si tolse la scarpe e si distese.

Sul comodino, di fianco al letto c'era una bottiglia di acqua, ne bevve un sorso e attese, impaziente, che Angelo venisse fuori dal bagno.

Quando lui fece il suo ingresso nella stanza, Francesca restò senza fiato. Strabuzzò gli occhi alla vista del suo fisico.

Il ragazzo era uno di quelli che teneva al proprio aspetto, faceva svariate attività fisiche, dal nuoto all'arrampicata, dalla corsa al sollevamento pesi. Le spalle larghe, le braccia muscolose, ma soprattutto gli addominali, in bella mostra, erano il suo punto di forza. La ragazza amava accarezzarli, sentirli scolpiti sotto le sue dita, e le davano la scusa perfetta per avvicinarsi, con fare disinvolto, all'orlo dei suoi boxer.

- Ti sei divertita? - Chiese avvicinandosi a lei.

- Sì, ma non ho visto le stelle... - sospirò delusa.

- Possiamo rimediare! - Sorrise malizioso.

Francesca capì le sue intenzioni, ricambiò il sorriso e lo tirò a sé, fino a cadere l'uno sull'altra, sul materasso.

Un piacevole e sano intrattenimento l'avrebbe portata a concludere al meglio quella notte.

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