Cap. 12

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- Ehi! Signorina... dico a lei... signorina! -

La voce femminile che proveniva da una finestra poco distante continuava, imperterrita, a cercare di attirare la sua attenzione. Ma Nadia, seduta sulle scale, cellulare tra le mani e cuffie alle orecchie, alzò il volume pur di non sentirla.

Conosceva le vicine pettegole: sempre sveglie a qualsiasi ora, sempre vigili e attente al minimo cambiamento della quotidianità, sempre in allerta e informate su tutti gli avvenimenti del circondario.

Stava ad aspettare che Gemelli rientrasse a casa, per mostrargli il referto dell'autopsia di Forti, quando la avvicinò la Signora Giulia.

- Signorina, ma non sente? - Chiese facendole segno di togliersi quegli affari dalle orecchie. - Se aspetta l'Ispettore... -

- Sì, Signora, sto aspettando il mio collega. - La interruppe - non penso che tarderà ancora a lungo. -

Giulia guardò l'ora. Mancavano pochi minuti alle venti e la signora sapeva che Gemelli avrebbe atteso di guardare il tramonto prima di ritornare a casa.

- Possiamo aspettare in casa mia, anziché qui fuori, mi fa compagnia? Ho preparato un po' di pizza... - disse porgendole la mano per farla alzare.

- No, grazie, Signora, non vorrei approfittare. - Si giustificò Nadia.

- Ma non si preoccupi! Ne faccio in abbondanza e la condivido volentieri coi vicini. Stavo aspettando l'Ispettore, per portargliene qualche pezzo, ancora caldo. Suvvia Signorina, non si faccia pregare! Inoltre devo tornare di sopra, ho l'ultima teglia in forno, non vorrei che si bruciasse. -

A quelle parole, Nadia non poté tirarsi indietro, in fondo, aveva anche un po' di appetito e più si avvicinavano alla porta di casa della signora Giulia, maggiore era il profumo che si insinuava tra le sue narici.

- Prego, si accomodi Signorina. -

La padrona di casa corse a controllare il forno, poi ritornò dalla sua ospite, rimasta ferma sull'uscio.

- Signorina, le avevo detto che poteva accomodarsi, cosa fa? Entri pure, non rimanga lì impalata. Venga, venga abbiamo tempo, prima di togliere l'ultima infornata. Le faccio vedere la casa. -

Nadia seguì la signora nel giro di quella modesta dimora. La porta d'ingresso dava direttamente sulla sala da pranzo, l'arredamento consisteva in un tavolo dal piano in marmo sorretto da una base in ferro battuto, sei sedie con la seduta imbottita, una cristalliera piena di ceramiche e bicchieri in bella mostra e da uno sparecchiatavolo completo di specchiera. Una porta a scomparsa conduceva all'angolo cucina, una stanza di dimensioni ridotte in cui trovava posto qualche pensile sospeso, un lavandino, un piano cottura  a quattro fuochi, una colonna forno e un mobile che conteneva un frigorifero a incasso. Un disimpegno, inoltre, portava alla lavanderia, con annesso box doccia, water e vasca per lavare i panni a mano.

Una scala conduceva al piano di sopra. Giulia le mostrò il bagno, due camere da letto che dovevano essere dedicate ai figli che purtroppo non aveva avuto e la sala padronale.

Varie finestre rendevano luminoso l'ambiente e da esse si poteva godere di un panorama che spaziava dalla vista sul mare a quella sulla statale. E fu allora che Nadia si rese conto che, dalla camera da letto della signora, la visuale era libera e si vedeva chiaramente il ponte da cui il barista era stato buttato giù.

- Signora Giulia - la apostrofò la poliziotta - ma lei, la mattina, si alza presto? -

- Come scusi? - Chiese mentre apriva il forno per tirare fuori la pizza.

- Mi chiedevo se stamattina si fosse accorta di qualcosa,  o qualcuno, di sospetto. Magari, mentre apriva le persiane, ha notato il trambusto sulla statale. - Nadia cercò di essere molto vaga a riguardo.

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