Capitolo 14

620 39 0
                                    

La sveglia suonò. I miei occhi si aprirono e incrociarono il soffitto bianco. Nella stanza si udiva soltanto il rumore della canzoncina, stupida della sveglia. In casa ero sola, totalmente sola.
Mia madre era partita per andare a trovare mia nonna, lei stava lontano dal nostro paese, e ogni tanto andavamo a trovarla.
"C'è nessuno?" Lo so che era una cosa da stupidi, ero consapevole che in casa non c'era anima viva, ma volevo averne la conferma.

Certo che sei proprio scema a volte!

Lasciamo stare, è mattina e non voglio parlare con te.

Okay okay, mi ero scordata che di mattina sei come dire...nervosa.

Ehi! Io non sono nervosa.

Oh! Si che lo sei.

Si forse un po' ma ora sta zitta!

Ti vorrei ricordare che Matthew passa a prenderti tra meno di un'ora e ti sei ancora in pigiama.

Già Gube...corro, ah! Grazie.

Figurati.

Gube sarebbe passato a prendermi da lì a poco, entrai nella doccia in fretta e furia.
Dopo dieci minuti, in cui l'acqua calda mi cadeva addosso, uscii e iniziai a vestirmi.
Optai per una maglietta a maniche corte e un paio da jeans strappati, indossai le miei amate Vans. Adoravo quelle scarpe.
Ero pronta, mi guardai allo specchio e mi sfiorai le labbra.
Il ricordo di quel bacio era nitido e stampato nella mia mente, mi aveva preso alla sprovvista e questa era la cosa più bella. Ero convinta che sarei stata io a baciarlo e invece...ma cerchiamo di non illuderci, sarà solo un'avventura, nulla di serio. Dovrò godermela finché dura.
Mi guardai di nuovo di sfuggita, visto che tra tutti i pensieri che mi affollavano la mente avevo abbassato lo sguardo. Sorrisi.

Il campanello suonò e io corsi giù per le scale, presi la borsa che, con mia gioia, avevo preparato la sera prima per avvantaggiarmi.
Aprii la porta, percorsi il giardino, e il suo sorriso più bello mi invase la vista.
"Ciao." Mi salutò e io ricambiai con un sorriso puro.
"Allora pronta?" Domandò aprendo la portiera della macchina. Io scrollai il capo e gliela richiusi. Lui non capì.
"Parcheggia e seguimi nel garage." Percorsi la strada sterrata che affiancava la mia dimora e aspettai trepidante Gube che, dopo pochi minuti, arrivò.
Sul suo volto si era formata un'espressione di curiosità e terrore allo stesso tempo.
Mi veniva da ridere, mica aveva paura di me, lo so che sono pazza però, non lo ammazzo di certo.
Infilai la mano nella borsa e tirai fuori le chiavi.
"Aspettami qui." Lui annuì e si sedette sullo scalino che era accanto al mio giardino.
"Ci rivediamo piccola." Dissi, tolsi la coperta che avvolgeva la mia adorata moto nera opaca, mia madre mi aveva impedito di usarla per quasi un mese. Perché avevo preso quattro in una verifica di inglese, ma la punizione era finita perciò, presi i due giubbotti che tenevo in un polveroso attaccapanni rosso, e montai sopra ad essa la accesi e la portai fuori.
"Allora ma quanto c...e quella cosa è?" Disse Matthew venendomi incontro, guardò la moto e rimase a bocca aperta.
"Secondo te." Risposi ironica, guardava la mia moto con terrore, e poi diceva a me. Gli porsi un giubbotto e lui mi guardò.
"Certo e io ci salgo." Accennò un sorriso amaro.
"Per forza altrimenti torno dentro a dormire." Dissi ridendo, tornai in garage e presi due caschi, uno nero e uno tutto bianco.
"Non lo faresti mai." Tornai fuori e lui mi avvicinò a se, i nostri corpi erano di nuovo uno attaccato all'altro, ci guardammo negli occhi e io scoppiai a ridere.
"Scommettiamo." Lo guardai con sguardo di sfida, ero sicura che avrebbe detto di sì alla fine, lo conoscevo troppo bene.

"Dammi il casco." Gli saltai al collo e lui mi alzo dal terreno. I miei piedi erano staccati dalla strada fatta di mattonelle in pietra, la sensazione era fantastica, sembrava di volare.
Ci staccammo e io gli diedi un bacio all'angolo della bocca, lui sotto alla mie labbra accennò un sorriso. Mi piaceva sentirlo sorridere sotto alla mie labbra.
Si infilò il giubbotto e il casco io feci lo stesso.
Montai sulla moto, la mia piccola faceva ancora scintille, dio come mi era mancata.
"Monta." Gridai dall'interno di quella sauna, mi sarei rovinata i capelli e ne ero consapevole, ma chissene frega.
Montò, ci sbilanciamo un attimo, e mi sembrò di sentirlo gridare, mi scappò da ridere. Mi afferrò la vita e io misi in moto, facciamogli vedere come corri.
Iniziai a sfrecciare in strada, sentivo il vento fresco sulle mani e i rombi della moto sotto di me. Ero felice, le sue mani intorno alla mia vita mi davano sicurezza, era incredibile come quel ragazzo mi facesse sentire.

...

"Ma dove siamo?" Chiese il ragazzo spettinato togliendosi il casco e scoprendo il suo viso perfetto.
"Mettiamola così...un posto in cui non ci troverà nessuno." Risposi, lui accennò un sorriso. Spensi la moto e scesi da essa.
Eravamo immersi nella natura, chiusi gli occhi per un momento e sentii il vento che si infrange a tra i miei capelli riccioli.

Il canto degli uccellini echeggiava nell'aria, e il rumore del ruscello di fianco a noi, rilassava tantissimo.
"Come conosci questo posto?" Gube si guardava intorno, ero contenta che gli piacesse il mio pezzetto di paradiso. Non ci avevo mai portato nessuno se non Cristina una volta.
"Mi ci portava mio nonno quando ero piccola...ho sempre adorato la natura e lui lo sapeva benissimo, facevamo sempre grandi passeggiate in questo bosco, io lo chiamavo IL BOSCO DEI SOGNI...ero convinta che ci fossero fate, gnomi e creature fantastiche di ogni genere." Risposi sorridendo, ricordavo benissimo le lunghe camminate per mano con quello che si poteva definire mio padre.
"E ora come sta tuo nonno?" L'unica domanda che pregavo il signore Gube non mi facesse, uscì dalle sue labbra nitida e chiara, come l'acqua del fiume.
"Se ne è andato, un giorno mi sono svegliata e lui era sparito, non abbiamo mai più avuto notizie di lui...l'unica cosa che mi è rimasta di lui è una lettera trovata proprio qui. Ricordo tutte le esatte parole."

'Ti prego tesoro perdonami, ho dovuto farlo, mi dispiace non era mia intenzione lasciarti da sola. Sarei voluto rimanere con te per tutta la tua vita, magari ti avrei portato all'altare e avrei visto l'uomo della tua vita. Ma questo non succederà almeno per il momento, e lo rimpiango, non so dove me ne andrò, ne cosa farò, ma ti prometto che un giorno ci rivedremo, magari chi lo sa proprio nel BOSCO DEI SOGNI, ti voglio bene piccola mia non dimenticarlo.
Nonno❤️.'

"Nessuno ebbe più sue notizie, mi ha lasciato questo pezzetto di paradiso e sono convinta che lui mi senta quando vengo qui." La mia guancia fu rigata da una lacrima, mio nonno era l'unico uomo che nella mia vita mi aveva insegnato a sognare, in casa mia ero sempre stata abituata a maschi che sono con i piedi per terra.
"Mi dispiace." Gube mi guardava e aveva gli occhi lucidi, mi asciugai la lacrima e alzai lo sguardo dal terreno che non aveva nella di così tanto bello da poterlo ammirare.
"Non fa niente, sto bene." Mi afferrò la mano e la fece intrecciare alla sua, il gesto era piccolo e banale, ma basto a farmi ritornare il sorriso che avevo perso per la strada.
"Allora come è fare l'attore?" Chiesi, volevo cambiare discorso e anche lui fu felice della mia scelta.
"Faticoso, ma mi piace. Tu cosa vorresti fare dopo la maturità?" Le nostre mani non si azzardavano neanche a staccarsi. Questo mi faceva piacere.
"La verità...non lo so, il mio sogno sarebbe quello di andare in America. Ma non so se sarà possibile." Alla parola 'America' a Gube gli si illuminarono gli occhi, io invece abbassai i miei.
"Nulla è impossibile." Quella frase mi scaldo il cuore. Solo mio nonno me la diceva, lui era convinto che io potessi diventare tutti quello che volevo, bastava crederci.
"Tranne fare il mago." Iniziai a ridere, non mi era mai andato giù il fatto che lui volesse fare veramente il mago.
"Eddai...anche quello è possibile se ci credi." Disse, poi scoppiò a ridere, ridevo talmente tanto che lo stomaco faceva malissimo, ma ne valeva la pena, oh! Se ne valeva la pena.
"Io ho fame e tu?" Chiesi io prima che fossimo troppo lontani per tornare indietro.
"Da morire...ma dove andiamo a mangiare non c'è niente qua intorno." Gesticolo, e si guardò intorno.
"Ci ho pensato io, ti va un panino con tonno e maionese?" Lui annuì e tornammo alla moto, aprii il porta pacchi e tirai fuori un cestino per il pranzo con una coperta annessa rossa.
La stendemmo per terra e iniziammo a mangiare. Mangiammo così tanto che alla fine ci addormentammo abbracciati, io ero sopra al suo petto e sentivo il suo battito cardiaco, era la mia canzone preferita.

36 anni... Bel casino! (in revisione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora