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Nonostante il divorzio e l'affidamento quasi esclusivo, io e Joan non siamo in così cattivi rapporti. A patto di vedersi il meno possibile.
Quest'anno il quattro luglio casca nel mio weekend, quello dedicato a mia figlia, e sapendo che Joan vorrà andare a casa dei suoi le ho invitate sta sera, il tre, per avere l'illusione di passare l'Indipendenza con loro. Domani sarà una giornata depressa, già lo so.
Mi sono alzato di buon'ora per dare una pulita in giro e per cucinare qualcosa di decente e tutto sommato sono stato soddisfatto del risultato.
Quando Rachel ha voluto che ci sedessimo tutti sul divano come una volta, devo ammettere che il mio cuore ha perso un battito al pensiero di quello che era successo pochi giorni fa su quel divano. Non avevo pensato a Rosy per l'intera giornata ma in quel momento è stato inevitabile. E mi sono sentito un mostro. Devo perfino aver cambiato colore perché la mia ex moglie mi ha chiesto se stavo male.
"Ho esagerato col tacchino" ho detto.
E adesso che se ne sono andate e che sono disteso nel mio letto, mi sento solo come un essere orribile rinchiuso in un antro, che merita tutta la solitudine del mondo. Solo come un detenuto in cella di isolamento per evitare che gli altri lo facciano a pezzi. Io non ricordo nemmeno cosa sia successo dopo; ricordo il suo corpo sopra il mio, tra le mie braccia e poi devo essermi addormentato perché a un certo punto ho aperto gli occhi e lei non c'era più, e l'orologio segnava l'una e mezza. Però ricordo perfettamente il prima, che al solo pensiero mi diventa duro. Non la vedo da allora e se da un lato è meglio così, dall'altro mi sento agitato, impaziente. Mi sento un drogato in astinenza.

Sono seduto in veranda a fumare e osservo il mare di gente a casa Van Cleef; ci sono parecchie macchine parcheggiate fuori e parecchie persone in giardino. Mi chiedo quali possano essere i loschi affari della famiglia. È normale che oggi ci siano parenti e amici, il fatto è che anche negli altri giorni il via vai è simile. Cerco di individuare Rosy ma probabilmente è in casa a badare ai suoi fratelli. La voglio vedere. Non posso più negare a me stesso quello che provo per lei, più lo soffoco e più prepotente diventa. Se solo avesse qualche anno in più non mi sentirei così in colpa. E invece non ha nemmeno sedici anni.
Vedo il signor Van Cleef che esce in giardino per radunare gli ospiti in casa. Mi immagino cosa farebbe se sapesse di me. Vorrebbe uccidermi? Io sicuramente vorrei ammazzarlo un bastardo simile se si avvicinasse alla mia bambina. Oppure non gliene importerebbe niente? Alla signora Van Cleef prenderebbe di sicuro un colpo, ma non sono troppo certo della reazione che avrebbe il marito.
Gli ospiti sono entrati in casa tutti, ora l'unico rumore che si sente è quello delle cicale.

Sono seduto in cucina a studiare delle pratiche (che bel modo di passare il quattro di luglio!) quando sento delle sirene in lontananza che si avvicinano sempre di più sempre di più fino a fermarsi nella mia via. Incuriosito mi alzo e vado a vedere dalla finestra del salotto: due auto della polizia e un'ambulanza sono ferme davanti a casa Van Cleef. Mi siedo sul poggiolo della poltrona e continuo a guardare con discrezione. Alcuni vicini sono usciti per poter osservare meglio tutta la gente che sta uscendo da quella casa e si sta riversando nel giardino. I poliziotti portano fuori due tizi con i vestiti macchiati di sangue e le facce tumefatte, e i paramedici escono con una barella su cui giace un uomo a cui hanno messo la maschera dell'ossigeno e una flebo. Gli agenti iniziano a fare domande e a scrivere sui loro taccuini, interrogando anche i vicini di casa che sembrano quasi spintonarsi a vicenda per avere la possibilità di far parte di tutto ciò. Quanto sento bussare ho paura che sia un poliziotto che voglia farmi domande, o peggio, un vicino di casa scassapalle. E invece mi trovo davanti i tre fratelli Van Cleef accompagnati da una ragazza sui venti, venticinque anni: "Buongiorno signor Williams, io sono Andrea Van Cleef" dice porgendomi la mano. Gliela stringo ma non faccio in tempo a dire niente che lei continua: "Rosemary mi ha detto che viene spesso qui" (al che mi sento contorcere le viscere), "e... Come avrà notato c'è un po' di casino in casa nostra adesso. Sarebbe così gentile da tenerli per un po', finché non si saranno calmate le acque?"
Prima ancora che possa rispondere Donny e Theresa sono già in casa, la sorellastra sta per richiamarli ma io la fermo: "Lascia stare, posso tenerli sì"
Tira un sospiro di sollievo: "Grazie, grazie mille signor Williams" si rivolge alla sorella, "Rosy, fai la brava e tienili d'occhio" fa cenno con la testa ai due marmocchi. Lei annuisce in silenzio e guarda Andrea allontanarsi a passi veloci verso casa loro. Ci guardiamo per un attimo, i suoi occhioni azzurri sono gonfi e rossi, sul punto di esplodere in lacrime. Difatti in un secondo mi circonda la vita con le braccia, affondando la testa nel mio petto, lasciandosi andare in un pianto silenzioso.

Indietreggio con lei attaccata addosso e chiudo la porta.
Sento lo stomaco rivoltarsi; la vedo per quella che è, una ragazzina spaventata e tremante.
"Shhh dai, basta piangere" le dico lisciandole i capelli "non vorrai che i tuoi fratelli ti vedano così?" non so che fare, non so che dirle per farla sentire meglio. Mormora qualcosa che non capisco: "Cos'hai detto?"
Si stacca da me, ha gli naso e occhi rossissimi: "Ero lì anch'io, ho visto cosa è successo"
I suoi fratelli sono in soggiorno mentre noi ci siamo seduti in cucina. Mi racconta tutto, che quei tre che sono stati portati via sono cugini del padre, che ad ogni riunione di famiglia litigano sempre per vecchie storie che lei non conosce, ma che sta volta uno ha tirato fuori un coltello ed è finita come è finita.
Rimango in silenzio cercando di immaginare cosa vuol dire vivere in una famiglia del genere; mi capitano spesso casi con famiglie simili i cui figli sono dati in affidamento o comunque allontanati dalla loro famiglia d'origine. Sospiro. Mi chiedo dove sia la loro madre visto che è stata la sorellastra a portarli qui, però non chiedo niente. Non vorrei smuovere cose che è meglio lasciar stare.
Rosy beve il succo d'arancia che le ho messo davanti, sembra essersi calmata un po' per fortuna. Nonostante stia cercando di scacciare certi pensieri dalla mia testa non posso fare a meno di pensare che sia bellissima anche con il volto stravolto dal pianto.
"Perché mi fissi così?"
Ah cazzo!
"Niente è che..." non so se dire la verità, "è che hai tutti gli occhi rossi e...e mi dispiace vederti in questo stato" anche questa è una verità.
"Grazie, Terry. Sei sempre pronto ad aiutarci... È anche per questo che mi piaci" rabbrividisco quando mette una mano sul ginocchio.
"Rosy, io..."
"Shh non dire niente ti prego"
Si sporge verso di me e posa le sue labbra sulle mie in un bacio quasi a stampo, poi si alza velocemente e se ne va in soggiorno dai fratellini. Sulla lingua sento il sapore salato delle sue lacrime.

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