The name

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Un fruscio, vicino al mio fianco. Una presenza si muoveva silenziosamente verso di me.
Aprire gli occhi ed estrarre la pistola fu questione di un attimo... E fu così che mi ritrovai a puntare l'arma contro gli occhi sgranati di Namid. Imprecai, scrollandomi di dosso la ragazza.

«Maledetta indiana! Stavi cercando di slacciare la corda, non è così?» ringhiai, strattonandola. L'unica risposta fu il suo ostinato e indifferente mutismo.
Mi passai una mano sulla fronte, adirato più con me stesso che con lei:
«Cosa mi è saltato in mente?» borbottai.

In realtà sapevo bene perché l'avevo salvata: non era stata solo la curiosità a muovermi, sebbene tentassi di convincere la mia coscienza che quella fosse l'unica motivazione di tante grane.
Mentre ero ancora perso in quelle riflessioni, con uno strattone Namid tentò di guadagnare la libertà, ma le fui subito addosso e iniziammo a lottare come due bambini, avvinghiati l'uno all'altra sul terreno polveroso.

Quando Abraham si affacciò nella tenda, la sua espressione diventò un misto tra sorpresa, divertimento e severità:
«Walker! Da te proprio non mi aspettavo un comportamento del genere!» ghignò.

«Abe, è stata lei ad iniziare...»

«Eh? No, non intendo questo bisticcio con l'indiana! Sei in ritardo e King è su tutte le furie!»

«Merda!» esclamai, alzandomi in piedi e rassettandomi la camicia e i pantaloni.
Uscii velocemente dalla tenda, sempre trascinando Namid ancora legata per i polsi, e mi incamminai correndo verso la ferrovia.

Abraham aveva ragione, il controllore mi aspettava infuriato:
«Colt! Dove eri finito?» sbraitò rosso in viso, stringendo la presa sul fucile. Poi il suo sguardo si posò su Namid e un barlume di lussuria gli illuminò il volto:
«Cosa hai intenzione di fare con la ragazza?» chiese, interessato.

Io, che nel frattempo avevo legato strettamente la corda alla mia cintura, come la sera prima, presi posto accanto ai miei compagni.
«Resterà qui, dove la posso tenere d'occhio!» replicai.

Namid sbuffò e si sedette a gambe incrociate poco lontano da me. I miei compagni le rivolgevano occhiate curiose, ma lei teneva gli occhi fissi sul terreno.
Poi ad un tratto si rivolse a me:
«Ho fame!»

«Mi dispiace, ragazzina, ma chi si sveglia tardi salta la colazione! Forse, se tu non mi avessi fatto perdere tempo, avrei potuto trovarti qualcosa, ma adesso... Spera che durante la pausa ci diano un pezzo di pane!»

«Se ce n'è ancora, di pane!» intervenne Chuck. «Non si vedono né i rifornimenti né l'esercito all'orizzonte!»

«Potreste andare a caccia!» replicò Namid con semplicità.

Io la osservai divertito, indicandole i nostri vestiti sudati e le facce sporche di polvere.
«Dimmi, ragazzina, ti sembra che abbiamo del tempo per andare a caccia, come gli uomini della tua tribù? Il nostro lavoro è qui!»

«Lavoro inutile!» disse lei, punta sul vivo. «Gli uomini bianchi rendono tutto più complicato di quanto è nei progetti del Grande Padre...»

«Si chiama progresso, ragazzina.»

«Ma ce l'ha un nome? O intendi continuare a chiamarla ragazzina per sempre?» sghignazzò Bryan.

«Si chiama Namid.» borbottai, riprendendo a picconare sotto lo sguardo torvo di King.

Ben presto Namid si stufò di stare seduta e si avvicinò alle rotaie, tendendo la corda che la legava e osservando con curiosità le sbarre di ferro che venivano poggiate sul terreno che noi avevamo preparato.
«A cosa servono?» chiese, avvicinandosi a me di soppiatto, tanto che per poco non la colpii con il gomito mentre picconavo.

The Railroad Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora