The tribe

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Namid

I cavalli pascolavano tranquilli l'erba della riva con le zampe immerse nell'acqua: il galoppo e il terrore che li aveva colti durante lo scontro con il branco di lupi li avevano sfiancati. Io riempivo in silenzio le borracce d'acqua da appendere alle selle, evitando accuratamente di incrociare lo sguardo di Kuckunniwi, fisso su di me.
Era poco più grande di me ed eravamo cresciuti insieme, ma restare in sua compagnia mi inquietava: ricordavo che una volta l'avevo trovato nel bosco, intento ad osservare un serpente a caccia. La bestia aveva appena catturato un piccolo topo e io stavo per tirargli una pietra ed ucciderla, ma Kuck mi aveva fermato, sussurrando:
«Sarebbe una disgrazia se un predatore così elegante venisse privato del suo meritato premio, non credi?»
Da allora non potevo fare a meno di legarlo a quell'animale: forte e temibile, sì, ma silenzioso ed imperscrutabile.
Mi rialzai e tornai a riva, richiamando i cavalli con un fischio; gli animali mi si avvicinarono docili e io li gratificai con delle leggere e carezzevoli pacche sul muso.

«Avonaco è morto.» esclamò ad un tratto Kuckunniwi.

Io chiusi gli occhi con un brivido:
«Sì.»

Non avevo mai amato Avonaco e mi ero opposta quando mio padre me l'aveva suggerito come sposo, ma ero dispiaciuta per la sua morte: era un ragazzo tranquillo e timido, non meritava di essere ucciso a quel modo, durante il viaggio che sarebbe servito anche a conoscerci meglio.

«I compagni dell'uomo bianco l'hanno ucciso. Forse l'ha colpito lui stesso.» continuò Kuck con voce bassa.

Lo fissai freddamente:
«Russell è un uomo buono e onesto. E di queste cose risponderò solo a mio padre e ai vecchi saggi.»

«Sei certa della sua bontà? Della sua onestà?» sbottò l'uomo avvicinandosi pericolosamente a me.
«È un viso pallido, Namid. I visi pallidi sono infidi, sono cattivi: la tribù non ti lascerà mai sposare uno di loro, meglio che ti abitui all'idea. A tuo padre si spezzerà il cuore nell'apprendere che sua figlia lo ha tradito in questo modo, ma non temere: troverà ben presto un uomo per sostituire Avonaco. Troverà me.»

Gli diedi le spalle e mi diressi verso l'accampamento quasi di corsa, ignorando la roca risata che mi seguiva.
Arrivammo al cerchio di tepee verso mezzogiorno e tutta la tribù si radunò per vederci arrivare. Io con gli occhi bassi e il cuore gonfio di angoscia e preoccupazione; Kuckunniwi con lo sguardo impassibile e il portamento fiero; Hevataneo sorridente che cercava con gli occhi la sua Ayasha; e infine Russell, semi svenuto per la fatica e le ferite, che strascicava i piedi in fondo al corteo.
Scivolai giù dalla sella nel silenzio totale della tribù e mi feci incontro a mio padre, che aveva le lacrime agli occhi:
«Namid...» mormorò, commosso. «Vieni con me, figlia mia: abbiamo molte cose di cui parlare.»

Russell

Legato al palo dei cavalli, sfinito dalla fame e dalla sete, mi rendevo pienamente conto dell'enorme cazzata che avevo fatto: non solo ero partito alla ricerca di Namid da solo, finendo prevedibilmente nelle mani degli indiani, ma mi ero anche fidato di uno di loro. Che rabbia... Se avessi avuto modo di cancellare quello stupido sorriso dalla faccia di Hevataneo!
Come se l'avessi evocato, l'indiano comparve al mio fianco e io digrignai i denti.

«No essere arrabbiato con Hevataneo!» esclamò. «Io potere niente davanti tribù, ma ho portato te questo!»
Mi mostrò una borraccia d'acqua e un pezzo di carne essiccata, che io accettai con famelica ansia.

«Cosa stanno dicendo?» chiesi, indicando con il capo la tenda più grande del campo in cui Namid era scomparsa insieme a Kuckunniwi, a quello che presumevo fosse suo padre e ad altri indiani. 

«Parlano di Namid e di te.»

«Lo immaginavo... Sai qualcosa sulla mia sorte?»
Hevataneo mi guardò confuso e io sbuffai.
«Ho chiesto: cosa mi farete?»

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