The end

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Namid

«Resistete, signora Walker!» mi ordina la levatrice, imperiosa.

Stringo i denti fino a far scricchiolare la mascella, trattenendo un grido di dolore: Mark, il mio primogenito, è sicuramente seduto fuori dalla porta della camera padronale, chiedendosi perché gli sia stato proibito di entrare. Il primo parto, sei anni fa, mi lasciò spossata e dissanguata, tanto che Russell temette di perdermi: girava per la tenda con Mark in braccio e masticando imprecazioni, ordinandomi di rimanere con lui. Nonostante ciò, avevo apprezzato fin dai primi mesi di gravidanza quell'atmosfera di cospirazione e orgoglio tutto femminile che circondava una donna incinta e le amiche che le stavano attorno.
Annabeth, finalmente sposata e appagata, sfogava i suoi istinti materni su di me, viziandomi in ogni maniera immaginabile e procurandomi ogni cosa che ai suoi occhi sembrasse imprescindibile per una donna in attesa; in questo momento sta osservando con ansia crescente i movimenti della levatrice, che invece non la degna di uno sguardo.
Mentre inarco la schiena per le doglie una lacrima scivola oltre le mie palpebre chiuse: ricordo con esattezza che sei anni fa anche c'era anche Rachel con me e mi fissava con un sorriso malizioso e benevolo, incoraggiandomi a non mollare. Aveva guardato il neonato con curiosità e una sorta di rimpianto, senza mai avvicinarsi: aveva solo accarezzato con lo sguardo ciò che le era stato negato per sempre.
La malattia l'aveva indebolita fisicamente, ma non perse mai la lucidità: proprio come aveva predetto, continuò a mandare avanti il nuovo bordello di Rosenville anche dal letto di morte.
Da quando la cittadina era sorta dal nulla lungo i binari della ferrovia, Rachel si era rifiutata di incontrare nuovamente Abraham, sebbene anche l'ex-schiavo si fosse stabilito qui. Una sera di tre anni fa, mentre io le detergevo la fronte con un panno bagnato e lei delirava sui suoi amanti passati con lo sguardo perso, Abe era scivolato silenziosamente nella sua stanza e si era fermato ad osservarla con tenerezza e disperazione: poche ore dopo, la mia amica aveva chiuso gli occhi e si era arresa alla tisi.
Spesso avverto anche la mancanza di Ayasha, la sua presenza confortante e tranquilla al mio fianco; spesso mi chiedo dove siano ora lei ed Hevataneo, come facciano a portare avanti le tradizioni dei nostri avi Cheyenne mentre la cultura dei bianchi si diffonde dappertutto, implacabile.

«Adesso, signora Walker! Spingete!» strilla la levatrice, riportandomi bruscamente al presente.

Il mio corpo trema e si contorce e io grido, tentando di spingere finalmente quella creatura fuori dal mio ventre. Le orecchie mi fischiano, ma potrei giurare di aver sentito Russell che mandava Mark a giocare in giardino, prima di prendere il suo posto davanti alla porta chiusa. Posso quasi vederlo, seduto su una delle sedie che lui stesso ha costruito, che si regge la testa tra le mani e medita sul forzare la serratura.
Tutto ciò che abbiamo l'ha tirato su lui: dopo il completamento della ferrovia si è dato da fare, contribuendo a creare il piccolo villaggio di Rosenville, situato a poca distanza dalle Montagne Rocciose, costruendo questa casa e quasi tutto ciò che contiene, per poi trovare impiego nell'unica fabbrica dei dintorni, che dà pane e disperazione alla maggior parte delle famiglie che ci abitano.
È un uomo diverso da quello che mi si buttò addosso per catturarmi durante uno scontro a fuoco: oltre alle rughe che iniziano a segnare la sua pelle, Russell ha imparato a mitigare gli aspetti più spigolosi del suo carattere, pur rimanendo taciturno e poco incline alla spensieratezza.
Il mio battito accelera, tanto che adesso riesco solo a sentire il sangue che scorre veloce nelle mie vene: è un suono che copre tutti gli altri, almeno fino a quando un vagito sorpreso non risuona nella stanza.

«È una bambina!» trilla la levatrice tutta contenta, porgendomi mia figlia.

Sorrido, sapendo già che nome darle:
«Benvenuta nel mondo, Elizabeth Walker!» sussurro.

Russell

«Forza, Mark!» dico, invitando mio figlio ad entrare nella stanza con un cenno della mano. «Vieni a conoscere tua sorella!»

Il bambino, che ha gli occhi chiari di sua madre e la mia stessa ritrosia, si affaccia titubante e si acciglia nel vedere Namid che stringe al seno la piccola Elizabeth. Poiché il nostro primogenito ha il nome di mio padre, ci era sembrato giusto che un'eventuale figlia femmina portasse il nome della madre di Namid, sebbene so che mia moglie rimpianga di non poter dare ai suoi figli un nome Cheyenne.
Rosenville è un centro piccolo e abitato da persone tranquille, ma non voglio che i miei figli subiscano i pregiudizi e il sospetto che Namid aveva dovuto sopportare prima di integrarsi nella comunità.
So che alcune delle donne che frequentano assiduamente la parrocchia storcono il naso davanti ai suoi vestiti, più morbidi di quelli tradizionali, ma io non le ho mai imposto nulla, né preteso che si adattasse ai nostri costumi all'improvviso: sono passati sette anni da quando ci siamo conosciuti e a volte ci ritroviamo distanti come la prima notte al campo ferroviario.
Altre volte, invece, non riusciamo a smettere di fissarci, quasi inebetiti, innamorati come quando assistemmo alla posa dell'ultimo binario della ferrovia a Promontory Point, nello Utah. La vittoria sulla Central Pacific fu schiacciante: nonostante le difficoltà, il freddo e la fatica avevamo costruito più di mille miglia di ferrovia!
Durante i festeggiamenti Namid si era fatta improvvisamente pensierosa e stringendosi il piccolo Mark al petto mi aveva chiesto:
«Adesso cosa faremo, Russell? Non abbiamo né un lavoro né una casa!»

«Troveremo un modo, mia piccola stella che balla!»
l'avevo rassicurata, stringendola a me.

E l'avevo trovato davvero, un modo per andare avanti: io, Abraham e pochi altri della squadra ci fermammo in una valle rigogliosa ai piedi delle Montagne Rocciose, decisi a stabilirci lì. Proprio come i Big Four* avevano immaginato, diverse cittadine iniziarono a sorgere dal nulla lungo i binari, crescendo in fretta e attirando coloni ed imprenditori da entrambe le coste d'America.
Non potrei mai rinunciare a questo posto o alla mia famiglia: per la prima volta nella mia vita assaporo una felicità completa, priva di inquietudini, rimpianti e recriminazioni.

«Mark, tesoro, avvicinati!» esclama Namid con voce carezzevole, sporgendosi verso il bambino.

Per fortuna Annabeth e la levatrice, prima di andarsene, hanno provveduto a cambiare le lenzuola e a far sparire gli asciugamani sporchi: in occasione della nascita di Mark credetti di impazzire, perché Namid era debolissima, quasi priva di sensi, e vedevo sangue dappertutto. Obbedendo docilmente alla madre, Mark si arrampica sul letto mentre io mi siedo su una poltrona, beandomi della vista della mia famiglia: il bambino gattona verso quel fagottino scalciante che è mia figlia.
"Mia figlia!" penso gongolando.
Un primogenito maschio mi ha ovviamente riempito di gioia e orgoglio, ma desideravo davvero una Namid in miniatura da poter viziare; da quando ho abbandonato il mondo duro e violento della ferrovia ho scoperto di essere un uomo molto più incline alla dolcezza di quanto avessi mai immaginato.
Mark infila un dito tra le manine di Elizabeth, che subito si aggrappa al fratello con forza.

«Guarda, Elizabeth ti vuole già bene!» ride Namid, scrollando la testa. «Sa che suo fratello la proteggerà sempre, come un bravo ometto, vero?»

Mark annuisce lentamente, rapito da non so quale pensiero:
«Lizzie...» mormora poi, con l'ombra di un sorriso sulle labbra.

Io mi rilasso, socchiudendo gli occhi: la mia donna e i miei figli sono al sicuro, ho un lavoro, una casa, degli amici — cose che prima non sapevo neanche di desiderare. Hutch sonnecchia nel portico, Tasunke pascola sul retro, la cicatrice alla schiena non mi provoca più così tanti dolori... E all'improvviso capisco tutto, come se una luce sconosciuta avesse illuminato ogni singolo evento della mia vita, mostrandolo ai miei occhi sotto un nuovo punto di vista.

"Ho imparato a meditare, Chuchip, ho imparato a mediare; ho equilibrato le due anime di Namid, perennemente in contrasto, ho calmato la mia irruenza. Sono Russell Colt Walker, colui che i Cheyenne chiamano Enapay, e ho trovato la mia pace."

•••

L'angolino storico:

* Sono i quattro grandi imprenditori che permisero la costruzione della First Transcontinental Railroad.

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Questa è davvero la fine della storia? Non proprio 😝 è online su Wattpad il secondo capitolo della saga dei Walker — "The city" — incentrato sui figli di Russell e Namid! Un grazie di cuore a tutti quelli che li hanno seguiti nelle loro avventure!!! ❤️

Crilu

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