The totem

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Tasunke si fermò sbuffando vicino al corpo del piccolo bisonte che avevo appena abbattuto ed io scivolai a terra soddisfatto. Il rumore della mandria che correva spaventata verso sud era sempre più lontano e i bisonti erano diventati un'unica macchia indistinta all'orizzonte.
Avevo fatto progressi nel tiro con l'arco, sebbene non fosse equiparabile al mio talento con la pistola. Pensai alla mia Colt con affetto, nostalgia e anche una punta di preoccupazione: non avevo idea di dove gli indiani l'avessero messa e se maneggiassero con cura la sacchetta di polvere da sparo. Ero anche infastidito dal fatto che nonostante l'atmosfera tra me e i nativi si fosse fatta più distesa dopo il discorso di Hevataneo, a nessuno era venuto in mente di riconsegnarmi la mia arma. Non perché avessi intenzione di usarla, ben inteso: era solo che mi sentivo quasi nudo senza di lei.
Mi stavo abituando alle giornate con i Cheyenne e la mia vita alla ferrovia era diventata un sogno ovattato e lontano: credevo veramente che avrei potuto vivere nelle praterie con quella gente tutto il resto della mia vita. Del resto, quella era la casa di Namid e io non potevo separarla da suo padre, anche se lui si rifiutava ancora di rivolgermi la parola dopo un mese di conoscenza. Certo, qualche volta i progressi della scienza mi mancavano e mi sentivo a disagio nei panni in pelle di bisonte degli indiani...

Fui raggiunto da Hevataneo e altri cacciatori al galoppo.
«Bella preda, uomo bianco!» si congratulò Bidziil*, beccandosi un'occhiata astiosa da parte di Kuckunniwi. Io abbozzai un sorriso e mi preparai ad aiutarli per fare a pezzi l'animale, ma i miei compagni si bloccarono, fissando qualcosa dietro di me. Perplesso, mi voltai e vidi uno strano individuo muoversi a scatti ai margini della foresta.
Aveva il corpo interamente dipinto con varie misture colorate e un copricapo di piume di uccelli gli copriva la testa e buona parte della schiena: indossava solo una pelliccia di lupo malamente annodata attorno alla vita e al busto e mi chiesi come facesse a non sentire il freddo pungente di fine autunno. Agitava scompostamente le braccia e le gambe, gridando frasi incomprensibili in una lingua che — avrei potuto giurarlo — non era quella Cheyenne. Eppure i giovani della tribù sembravano conoscerlo bene, perché quando si avvicinò gli fecero spazio, chinando il capo con rispetto.
Da vicino mi accorsi che l'uomo era molto vecchio: i radi ciuffi di capelli che spuntavano sotto le piume erano bianchi e sotto la pittura la pelle era grinzosa e secca. Gli occhi erano davvero inquietanti: neri come la pece, due pozzi senza fondo che mi misero in agitazione, perché sembrava quasi che volessero risucchiare il mio animo. Solo in un secondo momento mi resi conto che puntavano due direzioni diverse: per essere precisi, il destro rimaneva fisso su di noi, mentre la pupilla sinistra schizzava da tutte le parti come dotata di vita propria.

Hevataneo si avvicinò e bisbigliò al mio orecchio:
«Il vecchio Chuchip** vive solo e si fa vedere raramente: probabilmente ha sentito la tua presenza e si è avvicinato per questo.»

«Ha sentito la mia presenza?» chiesi, iniziando a capire.

«Sì. Chuchip è stato toccato da giovane dal Grande Spirito, che gli ha donato una sapienza al di sopra delle comuni menti degli uomini e un comportamento che noi non capiamo, ma che cela una grande saggezza!»

«Insomma, è pazzo.» mormorai tra me e me.

Chuchip mi squadrò intensamente e sebbene fossi certo che non poteva capire l'inglese, fui sfiorato dal dubbio che mi avesse sentito e compreso. E che fosse rimasto molto offeso dalle mie parole.
Sbraitò qualcosa talmente veloce che non riuscii ad afferrarne il significato ed Hevataneo sussultò.

«Vuole parlare da solo con te, uomo bianco...» mormorò Chayton, sbalordito e anche un po' invidioso.

Hevataneo mi prese per un braccio mentre io accennavo a seguire il vecchio Cheyenne matto:
«Chuchip non dice e non fa mai cose a caso, anche se lo possono sembrare. Rispettalo e non contraddirlo. Soprattutto, serba il suo insegnamento per te: sarai tu a doverne fare buon uso, anche se non so ancora quando.»

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