Mercoledì 10/08

44 6 0
                                    

 Le metafore mi hanno rovinato la vita. Come? Come se avessi fumato un pacco di sigarette dopo una maratona. Un libro? Mi piacerebbe scriverlo, uno di quelli seri, di quelli che piace alla gente. Spesso, però, ho capito a mie spese, se qualcuno vuole che qualcosa che fa piaccia alla gente, deve essere per forza piaciuto alla stessa. Deve essere gradito. Ed io, gradito nei confronti della gente non lo sono, non lo sono nemmeno per me, a dirla tutta. Tantomeno sono serio. Però, il legame tra autore e storia non è indissolubile. Ebbene, è questo il mio più grande difetto, il mio limite più stretto. In tutto quello che scrivo, c'è sempre qualcosa di mio, qualcosa che riguardi la mia vita: una persona, lei, una canzone che ascolto da tempo. Una ragazza mi ha detto di recente che sono la persona più buona che abbia mai conosciuto. "Sto cercando di guarire", ho pensato. Perché, forse, per essere scrittori, di quelli piaciuti, di quelli seri, che scrivono libri piaciuti, libri seri, si deve essere cattivi, cinici. Perché, per piacere alla gente, forse, bisogna essere così. Perché, quando ti proponi di ascoltare e risolvere i problemi di chi ti chiede consiglio, va a finire che ti crederanno muto, ti crederanno già risolto. Nessuno penserebbe mai che un muto è in grado di scrivere un libro. Nessuno penserebbe che potresti parlare di un problema se ti credono già risolto. Mi piace quando batto veloce sulla tastiera, come se sfrecciassi su un'autovettura in quei stradoni in riva all'oceano, tipo Miami. Forse, per essere piaciuto, sarei dovuto nascere in America. Sono triste quando cancello qualcosa, quando ritratto un pensiero, una frase, un sentimento. Sono troppo buono per cancellare gli errori, li accetto e basta. Faccio sì che formino un sinolo con la mia anima, ma, ad immergerlo nell'inchiostro, un foglio bianco diventa nero. E, a me che reputano persona buona, han sempre detto: "si ritorna dove si è stati bene". Ad oggi, rifletto su quanto ci sia di paradossale in ciò. Io direi che si torna da chi ci ha fatto del male, perché è del male che ci restano le cicatrici, e a queste penseremo sempre. Tra lo scegliere la via nuova, e il percorrere il sentiero tumultuoso che ci ha portato al nulla, statene certi, sceglieremo la seconda. Quindi, riconsiderando quanto detto, il sillogismo ci porta ad affermare che: "si torna sempre da chi ci ha fatto del male, che è dove siamo stati bene". Dovrei cancellare la frase di prima, ma sono troppo buono per farlo, come chi ancora ci crede anche dopo lo smantellamento del dogma.
Lei mi ha rovinato la vita, e da lei, tornerò sempre, o almeno fin quando non troverò qualcuna che mi faccia più male. Come? Come un tossico che decide di passare da una droga leggera ad una più pesante, e così via. Sì, le metafore mi hanno rovinato la vita. Come? Come la scrittura, le parole che non le ho detto, che non ho avuto il coraggio di dirmi.
Ciao, e alla prossima.
Vostro, Graphaema.

Souls of the night | Wattys2016Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora