Capitolo 15

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I'm crying out, I'm breaking down
I am fearing it all
Stuck inside these walls
Tell me there is hope for me
Is anybody out there listening?

Sia - I'm in here

-

Quarantacinque minuti. Quarantacinque minuti che la sua nuova vita le era strappata via da qualcosa di più forte. Quarantacinque minuti che Pozzallo le aveva guardato le spalle, mentre lei si allontanava dentro quella macchina. Quarantacinque minuti prima, aveva visto Chad piangere, Kia incoraggiarla ad andare via e Fynn zitto, con lo sguardo puntato verso qualcosa di indefinito. Era distrutto. Quarantacinque minuti prima aveva desiderato di avere Alessandro. Per salutare anche lui, anche se il modo in cui aveva salutato gli altri era tutto fuorché dolce. Quarantacinque minuti che si chiedeva se li avrebbe mai rivisti, se fossero andati a trovarla. Quarantacinque minuti che si chiedeva dove fosse Adam, se senza la sua ricerca qualcuno come Chad avrebbe pensato anche a lui. Quarantacinque minuti che la suora che pareva stanca anche della propria vita, al posto del passeggero, cercava di parlarle con un tono diffidente, mentre lei guardava il paesaggio siciliano scorrere sotto di lei, davanti ai suoi occhi, con macchie verdi e gialle indistinte e deformate.

Non sapeva nemmeno se Ragusa fosse una città, un paese o una metropoli. Si chiedeva dove stesse andando, se il posto le sarebbe piaciuto. Ma sapeva bene che tutti l'avrebbero guardata male.
Dopo quei quarantacinque minuti distruttivi per la mente di Aaida, l'auto nera guidata da un uomo impassibile, si fermò davanti ad un edificio a tre piani, grigio.
Grigio. Peggio di così non può andare.
Sarebbe stata più felice se fosse stato blu. Le ricordava Alessandro, in un certo senso.
Slacciò la cintura e aprì la portiera, mentre l'aria fresca iniziò a scompigliarle i capelli.
Non sapeva che ora fossero, ma era notte. Tarda notte.
La suora la superò, salì gli scalini che precedevano l'entrata, aprì il portone color corteccia, ed entrò dentro mentre l'uomo che era alla guida dell'auto e che le aveva portate là, sparì con la sua autovettura.
Seguì la suora con passo titubante, quando quella le lanciò un'occhiataccia.
《La tua roba non l'hai preparata, vero?》
Aaida non rispose. Non aveva intenzione di parlarle.
Taci, donna.
《Bene. Lo prendo come un no》L'interno dell'edificio era come una casa. Aveva un divano nero a tre posti con alcune poltrone rosse intorno, una tv a schermo piatto e un tavolo con una cucina.《Contatteremo qualcuno che porterà la tua roba.》Continuò la suora.
Aaida cercò di non ascoltare quella voce così vecchia. Le avrebbe voluto lanciare qualcosa. Ma non poteva, per sua grande sfortuna. La suora si girò verso di lei, e Aaida la guardò bene per la prima volta.
Gli occhi erano piccoli, infossati e chiari. Aveva una pelle olivastra e la pelle rovinata dall'età.《Ti mostro la camera in cui dormirai. Sono camere da due, quindi cerca di integrarti. Siamo in un orfanotrofio, ti ricordo》Disse.《E una volta che qualche famiglia cercherà di adottarti, andrai con loro.》
Imboccarono un corridoio lungo e completamente bianco. Se non fosse stato per le porte nere alle pareti, quel posto avrebbe dato i brividi ad Aaida. Il bianco non era un colore che le piaceva molto, le ricordava il vuoto. Non sapeva definirlo neanche a se stessa, ma il bianco era un colore strano, vuoto e indefinibile. Se avesse potuto, avrebbe piantato i piedi lì è avrebbe preferito restare là sul pavimento, al posto di seguire quella donna.
La suora aprì una porta, e Aaida la seguì.
Era una camera con due letti, un mobile e una scrivania.
Un po' di fantasia no, eh?
Già odiava quel posto.
A partire dalla suora.
《Beatrice! Perché non ti sei fatta il letto?》
Oddio, ora sta delirando. Non è che è la vecchiaia?
Una ragazza fece capolino nella stanza di corsa, e prese il lenzuolo rosa del letto disfatto, lo sollevò e poi lanciò uno sguardo di sfida alla suora, che sparì senza fare molte storie chiudendosi la porta dietro le spalle.
《Perché devo fare il letto se poi tra poco mi ci devo rimettere dentro? Chi la capisce..》Sbraitò, guardando il letto fatto.
Aaida rimase lì, in piedi in un punto della stanza mentre la ragazza la guardava con gli occhi chiusi a due fessure.
《Tu sei?》
《Oh, sono appena arrivata..》Aaida indietreggiò e osservò la stanza. Era semplice. Troppo, per i suoi gusti.
Aspettò che Beatrice la insultasse o cose del genere, ma la ragazza mora si limitò a guardarla, di nuovo.
《Oddio! Una compagna di stanza! Finalmente!》Si avvicinò ad Aaida sorridente e le porse la mano.《Piacere, Beatrice.》
《Aaida.》Rispose lei, in un sussurro.
Dì qualcos'altro!
《Da dove vieni?》
《Da Pozzallo..》
《Oh, quel paesino.. comunque, da quanto sei in Italia?》
Ah?
Quella ragazza aveva capito tutto. Aaida di certo non si aspettava che non riconoscesse la nazionalità. Era evidente, a partire dalla pelle e dall'accento.
Ma quella ragazza era schietta, andava dritta al punto.
《Due mesi..》Aaida abbassò lo sguardo.
《Sai già parlare l'italiano?》
Aaida annuì.
《Chi te l'ha insegnato? Dio, dev'essere stato davvero veloce!》
In realtà mi ha insegnato l'italiano un tipo drogato che ha rapito mio fratello, e poi una persona a cui tenevo tanto, troppo.
Ma non aveva nessuna voglia di parlare di Pozzallo.
Vedendo che Aaida non rispondeva, prese parola lei.《Okay, scusa. Troppo schietta. Allora, questo è il tuo letto. Ti do le lenzuola.》Beatrice si avviò verso l'armadio e l'aprì, mentre a Aaida venne in mente quando aveva sistemato Alessandro per il suo "appuntamento".
《Tieni.》Le diede tutto ciò che serviva per il letto e poi uscì, dicendo che doveva avvisare gli altri del suo arrivo.
Altri.
Chissà se l'avrebbero accettata, gli altri. E se avessero voglia di conoscere una straniera, orfana. Non che loro non lo fossero, ovviamente.
Sistemò il letto e ci si buttò sopra.
Si coprì il viso con le mani che si bagnarono in fretta, e la stanza venne riempita dai suoi singhiozzi.
Passarono minuti, e lei si rese conto del fatto che era lontana chilometri da Chad e Alessandro, e che non aveva nessuno. Quel pensiero fu uno stimolo per le lacrime, che scesero più copiosamente.
《Aaida!》Beatrice piombò nella stanza con un ragazzo con gli occhiali e il viso pieno di lentiggini. La ragazza rise, senza accorgersi dello stato di Aaida.
《Lui è "gli altri".》Mimò le virgolette con le dita e il ragazzo dai capelli neri le si avvicinò.
Aaida sollevò leggermente il capo dal cuscino, tanto da vedere i due.
《Mi chiamo Andrea, e non so perché tu stia piangendo》Le sorrise.《Ma ti farò smettere.》
Le offrì una mano, ma Aaida si alzò da sola e lo guardò.
《Aaida..》
Lui annuì e insieme, i tre uscirono dalla stanza. Aaida non aveva nessuna voglia di camminare, stare in piedi e parlare. Voleva rimanere a letto e respirare quell'odore di chiuso che le lenzuola avevano e piangersi addosso.
Mentre i due parlavano animatamente davanti a lei, Aaida ricordò quando aveva mangiato per la prima volta il gelato a Pozzallo e Alessandro e Chad parlavano in italiano, ma lei allora non capiva nulla.
Arrivarono ad una porta che Andrea aprì senza troppi indugi. La stanza sembrava quasi un garage. A destra, attaccata alla parete, c'era una scala di legno.
Aaida salì insieme ai tre incerta, non sapendo dove la stessero portando.
Ad ogni passo, l'asse sotto ai suoi piedi scricchiolava, ma i suoi pensieri erano più forti, anche delle parole e risate dei due, che continuavano a parlare.
A fine scala, i due si bloccarono davanti ad una porta.
Andrea prese una chiave, dalla tasca dei suoi jeans neri, che infilò nella toppa, e aprì la porta.
Erano sopra il tetto. Aaida sollevò la testa guardando il cielo nero, macchiato da milioni e milioni di puntini gialli.
《Portiamo sempre qui i nuovi arrivati.》Andrea scrollò le spalle e si sedette insieme a Beatrice per terra.《Vieni, non ti mangiamo.》
Aaida imitò il loro movimento.
《Io sono Beatrice, come sai già. Mi trovo in questo orfanotrofio perché i miei, che non so neanche dove siano, mi hanno abbandonata. Sono qua da quando avevo, forse, un anno e mezzo.》Aveva parlato con scioltezza, come se stesse raccontando cosa avesse mangiato a pranzo. Aaida la guardò sbalordita con un nodo alla gola. Se loro stavano raccontando la loro, di storia, Aaida avrebbe dovuto raccontare la sua. E non ne aveva intenzione.
《Tu..perché mi hai raccontato questo?》
Beatrice scoccò un'occhiata ad Andrea.
《Io sono Andrea e ogni volta che faccio questa cosa mi sento un drogato che fa parte di un gruppo per la disintossicazione》Rise, mostrando i denti bianchi.《A parte gli scherzi, sono qui da quando ho tredici anni perché mia madre non aveva abbastanza soldi per mantenermi. Ha preferito lasciarmi qui.》
Aaida non aveva idea del perché le stessero raccontando quelle cose, ma la faceva sentire meno sola. Non era l'unica ad avere problemi come quello, e aveva la testa impegnata dai ricordi di Pozzallo.
《Perché mi state..》
《Lo facciamo con ogni nuovo arrivato. Sappiamo bene come ci si sente. Non ti senti meno sola?》
Aaida abbassò la testa sulle sue scarpe comprate da Kia.
《Se vuoi puoi raccontarci come sei finita qui.》
Aaida scosse la testa. Aveva raccontato la storia dei suoi a Kia, Fynn, Chad e Ale. Non aveva la forza, però, di dirlo ai due.
《Va bene. Ogni volta che vuoi puoi venire qui sul tetto. Lo facciamo anche noi.》Andrea e Beatrice si alzarono, e con Aaida raggiunsero la loro stanza.
《A letto, Andrea!》Urlò qualcuno. Probabilmente una suora.
《Vado!》Salutò le due ragazze e uscì fuori dalla camera.
Aaida raggiunse il suo letto e si mise dentro, quando Beatrice spense la luce.
《Non sei sola Aaida. Lo capisci questo, vero?》
Aaida annuì, anche se Beatrice non poteva vederla.
《Buonanotte Aaida.》

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