cap 6: Tregua?

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Qualche ora più tardi...

Quella sera, mentre faceva di ritorno a casa, Rossana attraversò il viale alberato che divideva in due la città. Percorrere quel grande giardino pululante di alberi imponenti e fiori profumati, illuminato solo da piccolissime lucine intermittenti, la ripagava di tutta la fatica fatta lungo quelle giornate di studio e lavoro che le sembravano infinite e spesso, anche poco soddisfacenti.Quella giornata fu proprio una di quelle che Sana avrebbe preferito depennare dal calendario e fingere non fosse mai esistita.

La scuola oramai, non andava più come una volta, le discussioni con i ragazzi si moltiplicavano sempre di più e le ragazze erano sempre più insofferenti a quel clima così, a tratti irreale, costantemente teso e di certo poco armonico.

Quella mattinata era iniziata con la discussione, l'ennesima, avuta con Samuel.
Quel suo atteggiamento così menefreghista ed arrogante l'aveva sempre nauseata ed irritata, ma quella volta, a differenza delle volte precedenti, aveva notato qualcosa nel suo sguardo che non aveva mai notato prima di allora.

Da quella mattina infatti, le tornavano prepotentemente alla mente le parole di lui, il suo atteggiamento cinico e freddo ma soprattutto i suoi occhi che avevano, secondo Sana, una luce diversa dal solito.

Si sedette oramai esausta, su una delle tante panchine che affacciava sul fiume le cui acque erano sempre più scure ed il loro scorrere sempre più lento e costante.
Da lontano percepiva il frinire ripetuto e stridulo dei grilli ed il rumore dei motori delle auto che sfrecciavano alle sue spalle.
Chiuse gli occhi per un istante e lasciò che il vento freddo le spettinasse i suoi lunghi capelli e le accarezzasse all'un tempo la pelle del suo viso stanco.

Quella sera aveva troppi pensieri che le giravano in testa: il teatro che la sovraccaricava di impegni sempre più gravosi per la sua età così troppo giovane, i voti in calo, le liti in classe e lo sguardo buio del suo avversario di sempre.

Come sempre, il suo cervello correva più di tutto e lei faticava ad ignorare gran parte degli stimoli che le inviava quotidianamente.
Quella sua mania di sentire tutto, di vedere tutto, di provare troppo, l'avevano più volte chiamata iperestesia, che a sua volta portava all'ipersensibilità ed alla iperaffettività, erano tutte parolone tecniche e cliniche, in cui Sana si era più volte imbattuta, mossa dalla curiosità di capire chi fosse e soprattutto perché provasse quel forte senso di smarrimento e, spesso, di inadeguatezza rispetto al mondo che sembrava correre troppo rispetto a lei.

Strinse le mani attorno alle sbarre di ferro della gelida panchina su cui si era seduta poco prima e si dette lo slancio per alzarsi.
Quando finalmente fu in piedi inspirò con veemenza e l'aria gelida di quella fredda sera di novembre le entrò prepotente nei suoi polmoni e questo la portò di riflesso a tossire.

Poco più avanti della sua panchina scorse una sagoma a lei familiare e quando le fu vicina abbastanza notò che a qualche metro di distanza da lei vi fosse Samuel.

Era seduto anche lui, su di una panchina ed il suo volto era illuminato dal chiarore opaco ed intermittente dei lampioni che si susseguivano lungo tutto il viale.
Sana, rimase qualche minuto a fissarlo, e scorse il suo sguardo stanco rivolto verso il fiume e l'espressione assente.

Erano stati quattro anni nella stessa classe ma sapeva pochissimo di lui, pensò.
Lungo quegli anni avevano, infatti, avuto poche occasioni per parlarsi ed in nessun caso, in modo pacato e calmo.

Le urla tra loro erano una costante e Sana, un po' per l'età ed un po' perché ormai esausta di quelle guerre inutili e sterili, iniziò ad avvertire l'esigenza di andare oltre alla sua apparenza e di capire davvero chi fosse quel ragazzo moro dallo sguardo profondo e perennemente malinconico.

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