cap 13: fragili.

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Una volta salita su in camera sua, Sana si chiuse la porta alle spalle e lenta si trascinò verso il letto.
Da lì, nel silenzio che ormai regnava in quella casa, riusciva a percepire persino il bisbigliare dei genitori che, in fretta, dopo l'accaduto, si erano chiusi in camera loro.
Sana in quella frazione di secondi che erano seguiti all'uscita di scena di Samuel, dagli occhi umidi della madre e dallo sguardo basso di Tommaso riiscì a cogliere tutta la tristezza ed il dolore che quelle parole gli avevano procurato.

Lei, d'altronde, ancora faceva fatica a capire cosa fosse preso a Samuel quella mattina; nella sua mente i penseri si accavallavano l'un l'altro ed i momenti trascorsi con lui le raffioravano violentemente alla memoria.

In quei mesi aveva creduto che tra loro i malumori si fossero appianati e che, ormai, tutto era destinato ad andare per il meglio.
Ora, però, si rendeva conto che nulla era come aveva tanto ardentemente sperato.

Dagli occhi di Samuel, mentre le parlava qualche minuto prima, era trapelato tutto il rancore e la rabbia che in quel momento stava provando per lei.

Ma perchè? si chiedeva insistentemente tra sè e sè.
Perchè le si era rivolto in quel modo?
Perchè provava ancora tutto quell'astio nei suoi confronti?

Mentre si toglieva il vestito, indossato solo pochi  minuti prima, per sostituirlo con un jeans ed una felpa, Sana cercava di capire se in quei giorni gli avesse detto qualcosa che lo avesse potuto turbare, oppure gli avesse fatto qualcosa che lo avesse potuto irritare, ma pur andando a ritroso con la memoria non riusciva a ricordare nulla di particolarmente significativo.
Difatti in quei giorni era stato tutto come sempre.
Sebbene a scuola spesso erano stati distanti, scegliendo di rimanere ognuno al proprio banco, per lei questo era del tutto normale e non poteva essere preso come un elemento la cui portata era tale da poter presagire uno strappo significativo dei loro rapporti; essendo la loro convivenza nella stessa casa già fin troppo "impegnativa" per poter permettergli di trascorrere ulteriore tempo assieme al di fuori delle mura domestiche.
Nonostante ciò, però, per quanto si sforzasse Sana non riusciva a ricordare nessun evento tale da poter farlo ritorcerle contro in quel modo.
La mattina prima erano andati e tornati assieme da scuola e per la strada, lungo il tragitto, Samuel le era sembrato lo stesso degli ultimi tempi, sorrideva spesso ed i suoi occhi erano limpidi e sereni, ben lontani da quelli bui e vuoti di qualche minuto prima.
La sera precedente, invece, si erano dati solo la buonanotte avendo trascorso la serata ognuno per conto proprio, eppure neanche allora Sana ricordava che le avesse dato segni di tensione o nervosismo.
Quando era entrato in camera sua, lui, le si era avvicinato come ogni notte e con un pizzico sulla guancia l'aveva salutata.
"A domani" le aveva detto mentre le faceva un occhiolino e questo, ora, Sana lo ricordava bene.
Però il "domani" era arrivato e quella mattina lui era del tutto irriconoscibile.

Possibile che lei avesse frainteso tutto?
Possibile che in realtà lui continuasse detestarla come qualche mese prima?
Possibile che mentre lei ormai lo considerava il suo migliore amico, lui, invece, la considerava la solita seccatura di sempre?
 
Si struccò e si sciolse i capelli.
Poi, prendendo dalla toletta le chiavi del motorino scorse dallo specchio involontariamente la sua immagine.

Quell'immagine del suo volto stanco e sfatto che rifletteva allo specchio non era altro che il riflesso di ciò che stava provando in quel momento: la sua anima era in fiamme ed il suo cuore a pezzi.

Era stufa di apparire sempre così "felice da far schifo", pensò.
Poi, le lacrime le iniziarono a rigare, di colpo, il viso.

Quel suo modo di apparire sempre gioviale e serena altro non era che una barriera costruita negli anni come autodifesa ma nessuno lo aveva mai capito ed ora neanche Samuel.
Tuttavia, era conscia, che quel suo modo di fare era spesso fraintendibile e di questo ne era stanca.

Si dette un ultimo sguardo allo specchio, si asciugò le sbavature della matita e con gli occhi ancora appannati uscì di corsa dalla sua stanza e poi in fine dalla casa.

Samuel vagò per la città, per gran parte del pomeriggio, senza una meta, continuando a chiedersi, ossessivamente, se avesse fatto la cosa giusta a sbottare così prepotentemente contro i suoi e soprattutto contro Sana.
Si chiedeva se le sue parole, dette con tutta quella rabbia repressa, le avessero potuto fare del male.
Ce l'aveva con lei perchè prima che le loro vite cambiassero così drasticamente
riusciva a sentirla sua complice a tal punto che vi erano momenti in cui percepiva le sue stesse ansie e paure.
Momenti oramai troppo lontani.
In un certo senso era come se lo avesse lasciato da solo in una realtà che lui, a differenza di lei, continuava a non accettare.

Tuttavia, sebbene si fosse sentito così spaesato, e sebbene lei, non fosse più sua alleata, Samuel sapeva che comunque non si meritava a pieno quella sua reazione e soprattutto quelle sue parole così dure e crude.

Il padre, poi, seppur fosse vero che lo avesse messo spalle a muro imponendogli la sua decisione comunque dieci anni erano davvero troppi ed il tempo iniziava a passare anche per lui.

E poi la madre di Sana, Felicia, non si meritava quel comportamento così pieno di astio e rancore.
Lei non gli aveva mai fatto mancare nulla e da quando avevano iniziato a condividere la stessa casa, a giorni alterni, dopo gli allenamenti, gli faceva trovare per cena il suo piatto preferito: gli spaghetti al sugo, mentre la domenica, dopo il pranzo, regnava sulla loro tavola la torta al tiramisù, la sua preferita.
Inoltre, Felicia si era sempre mostrata molto discreta nei suoi confronti ed in camera sua ci entrava solo per sistemarla ma sempre dopo averglielo preannunciato.
Perdipiù, ogni lunedì, mercoledì e venerdì, gli faceva trovare ben stesa sul letto la divisa per gli allenamenti fresca di lavaggio e di stiraggio.

Più Samuel pensava a quello che aveva fatto e detto qualche ora prima e più gli saliva un forte senso di nausea ed oppressione.

Poi ad un tratto decise di arrestare la sua camminata, la testa gli scoppiava e le gambe iniziavano a fargli male.
Erano ore che passeggiava senza una meta ed il cielo illuminato della mattina aveva presto lasciato spazio al buio della sera mentre l'aria di colpo era diventata più umida e pungente.
Si sedette su una delle tante panchine del viale alberato che costeggiavano il fiume e socchiuse per qualche minuto gli occhi provando a ristabilizzare il suo respiro divenuto troppo irregolare ed affannato.
Poi, dopo qualche breve minuto di meditazione si costrinse a rialzarsi cercando di trovare il coraggio di tornare a casa ed affrontare finalmente tutti i suoi demoni,
compreso quello più grande e da sempre inbattibile:

la morte della madre.



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