Capitolo 7. Imprevisto

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E adesso sono veramente ispirata
a trovare la mia anima lì nei tuoi occhi...


Lucy riemerse in superficie, prendendo grandi boccate d'aria, cercando di mantenere la calma. Sapeva nuotare piuttosto bene, ma non tanto quanto gli altri. Quand'era stata Regina di Narnia, aveva sempre prediletto lunghe passeggiate in mezzo ai boschi; era Susan l'amante dell'acqua. Nel suo mondo si era esercitata in piscina e, prima che iniziasse la guerra, quand'era più piccola, era stara in vacanza al mare. Ma, in ogni caso, non si era mai spinta oltre i tre metri di profondità, era sempre rimasta dove si toccava. Non aveva mai nuotato in mare aperto, soprattutto non in un mare come quello...l'Oceano Orientale. Perché di esso si trattava, ormai ne era sicura.
"Per lo meno" si disse, "sto stare a galla".
Si voltò a guardare dove fossero finiti i suoi compagni, ed eccoli: una testa nera e una bionda apparvero vicino a lei.
«Meno male!» sospirò la ragazzina sollevata. Aveva avuto timore di perderli di vista.
Eustace tossiva e si agitava come un matto.
«Ma che cos'hai da urlare tanto?!» proruppe Edmund, scostandosi i capelli neri dagli occhi.
«Là! Là! Giratevi!» gridò il cugino, agitando le braccia, sputacchiando acqua salata. Ma ancora non aveva finito di parlare che un'ombra gigantesca li sovrastò.
Edmund sgranò gli occhi appena voltò il capo. Lucy fece lo stesso.
«La nave!» gridò lei.
«Oh, no!» fece Edmund. «Ci sta...venendo addosso!».
«AIUTO!!!» urlò Eustace a squarciagola senza più il minimo ritegno.
«Nuota, Eustace! Nuota!» lo incitò Edmund.
Lucy li seguì, ma la sua poca resistenza la mise in svantaggio. Restò indietro, le gambe le erano divenute pesanti, i vestiti fradici la tiravano sul fondo. Temette seriamente di non farcela. Poi, udì per tre volte consecutive il suono di un tuffo. Tre uomini, uno dopo l'altro si erano gettati in acqua dal parapetto della nave. Lucy li vide nuotare velocemente verso di loro. Avevano in mano delle funi: i primi due le assicurarono subito attorno alla vita di Edmund e Eustace; Lucy, invece, rischiò di essere vinta dal mare prima che il terzo uomo la raggiungesse. Un'onda la travolse, ma per fortuna il suo salvatore l'afferrò saldamente prima che andasse a fondo.
«Tranquilla, ti ho presa» le disse una voce famigliare. Troppo famigliare.
«Caspian!» esclamò Lucy, aggrappandosi a lui e facendogli un enorme sorriso.
«Lucy! Non posso crederci, sei proprio tu?» esclamò a sua volta il Re di Narnia, stupito e felice allo stesso tempo.
«Edmund, c'è Caspian!» la ragazza chiamò il fratello, il quale si trovava già accanto alla nave, attendendo di essere issato a bordo.
«Ehi! Ma allora ce l'abbiamo fatta! Siamo a Narnia!».
«Sì, Edmund, siete a Narnia» affermò Caspian.
I due Pevensie fecero un'enorme sorriso e il cuore si riempì loro di gioia. Se stavano sognando, non avrebbero voluto essere svegliati per niente al mondo.
Ma no, quello non era un sogno, era la realtà! Perché nemmeno nelle fantasie più verosimili l'Oceano, la nave, il cielo azzurro intenso, e le nuvole bianche che come grandi batuffoli di cotone correvano veloci portate dal vento, sarebbero stati così belli.
Dopo Edmund toccò a Lucy venire issata sul veliero. Eustace fu l'ultimo.
«Tieniti forte» disse Caspian all'amica.
I marinai riconobbero immediatamente le persone che avevano salvato. Alcuni di quegli uomini erano stati presenti all'incoronazione di Caspian, altri avevano veduto i volti dei Re e delle Regine della Vecchia Narnia nei dipinti e nei dei libri che il nuovo Re aveva trovato nel laboratorio del suo precettore. Gli antichi dipinti e i manoscritti erano andati persi da molti secoli, ma il dottor Cornelius era riuscito a riesumarli dopo anni e anni di ricerche, nascondendoli accuratamente vista dello zio di Caspian, Miraz l'Usurpatore, che altrimenti li avrebbe fatti distruggere. Narnia aveva ritrovato la sua storia perduta.
Quando tutti ebbero messo piede sul ponte, si salutarono con baci e abbracci. Caspian era molto felice di rivedere Lucy e Edmund, sapeva che sarebbero tornati e ringraziò Aslan per aver non averlo fatto attendere troppo a lungo. Se solo ci fosse stato anche qualcun'altro...
Il giovane Re fece portare immediatamente delle coperte in cui i suoi amici si avvolsero per asciugarsi.
«E' meraviglioso rivedervi! Come siete arrivati, questa volta?».
«Non ne ho idea» gli rispose Lucy, «ma sono così felice di essere di nuovo qui! Sai, in realtà credo sia stato merito del corno di Susan, e di un quadro che...».
Stava per lanciarsi nel racconto, quando un urlo acuto provenne da un fagotto bagnato steso sul ponte. Il fagotto era Eustace.
«E adesso che ha!» fece Edmund esasperato.
«Aiuto! Che orrore! Toglietemi di dosso questo affare!» gridava il cugino terrorizzato, mentre un grosso topo (molto più del normale, era alto almeno mezzo metro), con una piuma scarlatta appuntata dietro un orecchio e un corto spadino legato al fianco, veniva sbalzato via da uno spintone del ragazzo.
«Ehi, ehi! Che modi! Strilla come un poppante!» fece indignato il topo.
Lucy e Edmund lo riconobbero subito. «Ripicì!!!» esclamarono all'unisono, colmi di gioia.
Era proprio lui, il più impavido topo parlante di Narnia, che aveva combattuto al fianco di Caspian e di tutti loro nella guerra contro Miraz.
Udendo il suo nome misto alle esclamazioni, Ripicì si voltò e sobbalzò stupito. «Oh! Quale onore, Vostre Maestà!» disse, raddrizzandosi la piuma e facendo un profondo inchino ai due fratelli Pevensie.
Lucy represse come sempre il desiderio di prenderlo in braccio e riempirlo di baci. Non poteva farlo, lo sapeva, sarebbe stato un gran disonore per Ripicì essere trattato come tutti gli altri animali. Potevi dirgli tutto, ma non che era carino.
«Come stai, Rip?» chiese un sorridente Edmund.
«Non potrei star meglio, ma...permettete una domanda, Altezze: quello strano individuo è sotto la vostra protezione?».
«Già, chi è costui?» chiese Caspian a sua volta, mentre Eustace ricominciava a dire cose senza senso, girando a vuoto per il ponte.
Edmund fece una smorfia. «È un idiota».
Lucy gli diede una lieve gomitata per farlo star zito. «È nostro cugino. Si chiama Eustace» spiegò poi.
«Mi sembra alquanto sconvolto. E' la prima volta per lui a Narnia, vero?» chiese ancora Caspian, osservando il ragazzino biondo con un po' di compassione.
«Già, e non la sta prendendo bene» sospirò Edmund.
«Avete visto?! Quel topo gigante voleva mangiarmi la faccia!», fece Eustace con voce sempre più stridula.
«Stavo solamente cercando di farti espellere l'acqua dai polmoni» si giustificò il povero Ripicì.
«AH!» urlò Eustace, puntando un dito contro l'animale. «Ha parlato! Avete sentito? Ha parlato davvero!».
«L'ha sempre fatto» disse Edmund con una scrollata di spalle.
«La difficoltà è farlo stare zitto, veramente» aggiunse Caspian senza cattiveria. Tutti ammiravano Ripicì, che era un grande amico e guerriero.
Quest'ultimo si voltò verso il Sovrano. «Nel momento in cui non vi sarà niente da dire, Vostra Maestà, io vi prometto che me starò zitto».
Caspian gli sorrise, non troppo convinto delle sue parole. Ma Ripicì aveva troppo rispetto per lui, e mai si sarebbe sognato di contraddirlo. Dopodiché, il Re salì la scaletta che portava al timone, in modo da trovarsi in un punto in cui tutti potessero vederlo e udirlo.
«Uomini, rendete omaggio ai nostri naufraghi: Edmund il Giusto e Lucy la Valorosa. Grande Re e grande Regina di Narnia!».
L'equipaggio - composto da umani, minotauri, satiri e fauni - si inchinò. Edmund fece un cenno di saluto con il capo, Lucy la riverenza.
«Re? RE?!?!?!» fece Eustace, che ormai era quasi isterico. «Ma fatemi il piacere! Questa è una delle vostre orribili macchinazioni! Lo sapevo: volete farmi diventare matto!».
«Beh amico, sei già sulla buona strada...» fu il commento di Ripicì. 
«Ora basta! Voglio tornare a casa! Subito!», piagnucolò il ragazzino.
Lucy gli parlò gentilmente. «Eustace, non possiamo. Vedi, non siamo più nel nostro mondo».
«Eeehhhhhh???».
«Rynelf, fai portare una bevanda calda per le Loro Maestà e il nostro nuovo amico, qui» ordinò Caspian a uno dei suoi uomini, che eseguì subito. «Forse così si calmerà un poco».
«Non voglio niente!» protestò Eustace. «Voglio solo che mi facciate scendere subito da questa maledetta nave!».
«Potemmo anche, ma dove? Siamo in mezzo all'Oceano» disse Caspian, allargando le braccia come a voler mostrare l'ovvietà della cosa, perché il ragazzino pareva proprio non voler capire. «Prendi una coperta e asciugati, ora».
«No, no, no! Io pretendo di sapere subito dove diavolo mi trovo!!!».
A rispondere a Eustace fu un enorme Minotauro alto quasi due metri, con il pelo nero e grandi corna sul capo. Lucy e Edmund lo conoscevano: era Tavros. Enorme, certo, ma estremamente buono. Purtroppo però, Eustace non lo sapeva. Gli tremarono le gambe nel vedersi apparire una creatura simile davanti, e lo stupore fu niente in confronto a quando parlò.
«Siete sul Veliero dell'Alba, signore. La più bella nave della flotta di Narnia» enunciò l'enorme Minotauro con orgoglio.
Quella creatura con due corna spaventose sul capo parlava! Fu davvero troppo per il povero Eustace, che cadde svenuto lungo disteso sul ponte.
«Ho detto qualcosa di male?» si scusò Tavros, davvero mortificato.
Tutti scoppiarono a ridere.
«Occupati di lui, per favore, ma vedi di non spaventarlo troppo» disse Caspian rivolto al Minotauro, che trasportò subito Eustace negli alloggi dell'equipaggio. «Venite» proseguì il Sovrano facendo cenno ai Pevensie di seguirlo, «dovete cambiarvi d'abito».
Scesero sottocoperta, seguiti da Ripicì e da uomo calvo con la pelle abbronzata dal sole.
«Lui è Lord Drinian, il capitano della nave, e uno dei miei più fidati amici» lo presentò Caspian.
Drinian fece un inchino. Era un tipo di poche parole ma estremamente efficiente nel suo lavoro, un grande esperto di navigazione o, come preferiva chiamarlo Ripicì, un vero lupo di mare. Di nobili natali, Drinian aveva sempre preferito la vita da marinaio piuttosto che quella di palazzo. Aveva navigato per anni attraverso l'Oceano Orientale, lo conosceva palmo a palmo, almeno fino ai confini esplorati dagli abitanti di Narnia durante i secoli. Per questo e altri motivi, Caspian lo aveva voluto come capitano del Veliero dell'Alba. Si fidava ciecamente di lui.
Attraversarono i bei corridoi dalle pareti ricoperte di pannelli di legno lucido, che le lampade a olio illuminavano di una calda luce dorata. Caspian li condusse verso la propria cabina, una stanza spaziosa con un letto a baldacchino dalle coperte color porpora e le tende dorate, un tavolino tondo attorno al quale stavano due sedie imbottite, dagli schienali e i braccioli intagliati finemente. C'era una piccola biblioteca e un mobile anche un balcone che guardava sul ponte di poppa e una stanzetta adiacente in cui era sistemata una vasca da bagno sostenuta da gambe a forma di zampa di leone.
«A te, Lucy» disse Caspian, «cedo volentieri la mia cabina. Io, Edmund e vostro cugino possiamo sistemarci negli alloggi dell'equipaggio».
«Vostra Maestà, vi prego...».
«No, Drinian, va bene così. Lucy è una donna, ed è giusto che abbia maggiori comodità rispetto a noi uomini. In quanto ai vestiti, non credo che ci sia qualcosa di adatto a una ragazza, dovrai arrangiarti con qualcuno dei miei».
«Nessun problema, li aggiusterò un po'» ringraziò Lucy.
La ragazzina non poté fare a meno di penare che se zia Alberta avesse udito un discorso simile, avrebbe certamente ribattuto che, trattandole come esseri più deboli e fragili, gli uomini sminuivano la figura delle donne. Lucy però non la pensava affatto così. A Narnia vigevano ancora le regole di rispetto e cavalleria, e Caspian si era mostrato un vero gentiluomo e un perfetto cavaliere. Era bello non essere più trattata come una bambina.
Quando si furono rinfrescati un po' ed ebbero sostituito i loro abiti inglesi con quelli narniani, i due fratelli Pevensie si infornarono sulla salute di Eustace. Il cugino si era ripreso dallo shock, ma pareva avesse mal di mare.
«Se avessi il mio cordiale...» mormorò Lucy sconsolata. Il cugino era insopportabile il più delle volte, ma le dispiaceva che non si sentisse bene.
«Ma io ce l'ho» disse Caspian sorridendole. «Seguitemi, ho qualcosa da farvi vedere».
Entrarono nella cabina di comando, un locale piuttosto spazioso con un grande tavolo rettangolare al centro, sopra il quale erano posate le carte nautiche, una bussola, vari strumenti nautici e un lungo cannocchiale d'oro. Vi era un grande finestrone che dava su un altro balconcino, più piccolo di quello della cabina reale, situato poco più in alto del timone. Da lassù, si aveva una visuale completa di gran parte del ponte principale e del ponte di combattimento. Il panorama era a dir poco magnifico, il mare e il cielo parevano un tutt'uno, e la nave somigliava quasi a un'isola in movimento nell'infinito azzurro. Sulla parete di sinistra della cabina faceva bella mostra di sé vi l'effige di Aslan, che Lucy accarezzò con affetto. Poco lontano stava un mobile diviso in vari scomparti, occupati da teche di vetro più grandi o più piccole a seconda degli oggetti che contenevano.
Caspian lasciò che i Pevensie esplorassero la stanza con lo sguardo, attendendo che notassero alcuni dettagli particolari.
«I nostri Doni!» esclamò Lucy quando li vide.
«La spada di Peter!» fece Edmund.
«L'arco e le frecce di Susan!» gli fece di nuovo eco la sorella.
«E questa è tua» concluse Caspian sorridendole, prendendo dal mobile un cofanetto intarsiato, rivestito internamente di un cuscinetto velluto blu scuro, sul quale erano adagiati il pugnale di Lucy e la sua ampolla di diamante contenente il cordiale miracoloso estratto dal Fiore del Fuoco, in grado di curare qualsiasi ferita.
Erano le armi che Aslan aveva fornito ai ragazzi per combattere contro la Strega Bianca. Lucy, Peter e Susan avevano ricevuto quei Doni nel loro primo viaggio a Narnia, nientemeno che da Babbo Natale. All'epoca, i ragazzi ancora non sapevano che ogni creatura magica considerata soltanto parte dell'immaginario collettivo, in quel magico regno esisteva in carne ed ossa.
«Posso?» chiese Lucy a Caspian, allungando piano le mani verso il cofanetto.
«Certo. Sono tuoi, Regina, e a te devono tornare».
Lucy afferrò entrambi gli oggetti e subito se li assicurò alla cintura che portava attorno ai pantaloni. Fu un compito piuttosto difficile: le maniche della camicia che aveva arrotolato fin sopra il gomito continuavano a scendere a coprirle mani. I vestiti di Caspian le erano davvero larghi, avrebbe chiesto ago e filo al più presto così da poterli sistemare come si deve. Per fortuna, la mamma aveva insegnato a lei e Susan a cucire. Mentre la sorella era alle prese con i suoi Doni, Edmund osservava la spada di Peter, Rhindon, pensando che gli sarebbe piaciuto usarla ora che suo fratello non c'era. Ma ricordava che, il giorno della partenza, Peter aveva passato la spada a Caspian, poiché era lui il legittimo Sovrano, adesso. Era giusto che la impugnasse lui.
Edmund, a differenza dei suoi fratelli, non aveva ricevuto un Dono nel suo primo viaggio. La sua scelta di schierarsi dalla parte della Strega gli aveva prevaricato tale possibilità. Il ragazzo aveva sempre pensato che Aslan non lo ritenesse degno di possedere un oggetto speciale, e a ragione. Era stato un traditore, benché redento.
«Ed?» lo chiamò Caspian, attirando la sua attenzione. «La riconosci?».
«La mia torcia!». Il ragazzo l'afferrò al volo quando Caspian gliela passò in un breve lancio. Provò ad accenderla. «Funziona ancora! Bhe, ehm, grazie».
Non sembrava molto contento, al che Caspian continuò dicendo: «C'è dell'altro per te». Il Sovrano aprì la teca di vetro dove era custodita la spada di Peter, e la porse all'amico.
«No, è tua» ribatté Edmund scuotendo il capo. «Peter l'ha data a te».
«E io l'ho conservata come promesso, ma non è più mia. Aslan mi ha consegnato una nuova spada poco tempo fa. Questa». Quando Caspian la estrasse dal fodero assicurato alla sua cintura, il rumore della lama contro il cuoio risuonò cristallino nella stanza. «Rhasador» enunciò il Re, con negli occhi scuri un'immensa fierezza. «L'arma che donerà la libertà a Narnia. Così ha detto Aslan».
Lucy e Edmund osservarono incantati. Rhasador brillava, illuminata dalla luce del sole proveniente dalla finestra. La lama bianchissima faceva un bel contrasto con l'elsa scura, ornata di ricami d'argento. Sulla sua estremità vi era un cerchio lucente con uno zaffiro incastonato al centro.
«E' fantastica» disse Edmund con ammirazione.
Caspian si voltò verso di lui, rinfoderò Rhasador e riprese in mano la spada del Re Supremo. «Hai tutto il diritto di usare la spada di tuo fratello, Edmund. Lui l'ha consegnata a me, e io ora te ne faccio dono».
Edmund prese Rhindon e rimase a fissarla per qualche istante. «Grazie, io...non so cosa dire» balbettò un po' impacciato.
«Accettala e basta, allora». Caspian gli assestò un'amichevole pacca sulla spalla. «Ora raccontatemi come siete arrivati qui. Lucy, tu hai parlato di un quadro, prima, se non erro».
Si riunirono allora attorno al tavolo, i tre ragazzi, Drinian e Ripicì.
I Pevensie narrarono tutto ciò che era capitato. Parlarono del corno d'avorio, del loro stupore di vederlo comparire dalla borsa di Susan, dei tanti tentativi di suonarlo per attivarne la magia, delle loro supposizioni sul perché fossero riusciti a portarlo con loro; parlarono di quando avevano capito che era sempre stato il tempo a determinare i loro viaggi tre le dimensioni; degli imprevisti, di Eustace e degli zii, fino ad arrivare a quella mattina in cui il dipinto in camera di Lucy si era animato.
Ripicì prese parola, chiedendo delucidazioni sul corno d'avorio. «Se non sbaglio, Cornelius lo diede a voi, Maestà, prima che fuggiste dal palazzo di vostro zio. Fu con quello che richiamaste i nostri antichi Sovrani, l'ultima volta. Poi, dopo la Guerra della Liberazione, il corno sparì misteriosamente».
«Sì, andò così» rispose Caspian.
«Questo è un aspetto che vorremmo chiarire» disse Lucy. «Ci siamo spesso domandati cosa fosse successo dopo che tu lo riconsegnasti a... a Susan». La ragazzina fissò Caspian, aspettandosi una qualche reazione. Ma il ragazzo abbassò il capo, permettendo ai lunghi capelli scuri di celare il suo volto.
Al nome dell'amata, Caspian provò un'improvvisa fitta al petto, dolore che aumentò al ricordo di quel giorno. Lui aveva voluto riconsegnare a Susan ciò che le apparteneva, ma lei aveva rifiutato con un sorriso.
"Perché non lo tieni tu? Potrebbe servirti per chiamarmi ancora".
La voce di lei... il suo viso... era tutto cosi vivido nella sua memoria! Caspian prese un respiro, abbassò il capo fingendo di riflettere. Poi rispose a Lucy.
«Non le riconsegnai mai il corno d'avorio. Lo tenni io, ma come ha detto Ripicì, poco tempo dopo la vostra partenza nessuno lo trovò più. Io stesso non seppi spiegarmi la sua scomparsa. Ricordavo di averlo avuto con me fino alla fine della battaglia. Lo lasciai nel fodero della cintura della mia armatura e pensai fosse stato riposto con essa, ma quando controllai non lo trovai. Ho sempre creduto fosse andato perduto». E per questo non si era mai dato pace. Il corno era uno dei pochi ricordi che aveva di Susan e, scioccamente, a quel tempo, Caspian pensava a come avrebbe spiegato alla Regina, quando fosse tornata da lui, che la sua preziosa reliquia non si trovava più. Susan sarebbe certamente andata su tutte le furie.
«Invece lo avevamo noi» concluse Edmund. «Chissà come è stato possibile? Non abbiamo portato via nessun oggetto quando siamo partiti. E, comunque, anche se lo avessimo fatto, sarebbe scomparso appena tornati nel nostro mondo».
«Vostra Altezza, i sentieri di Aslan sono imperscrutabili» disse Drinian con la sua voce profonda.
«Ben detto, signore» disse Ripicì.
«Sono d'accordo» aggiunse Lucy. «Sono convinta che in questa faccenda c'entri Aslan».
«È altamente probabile, mia giovane Maestà», disse ancora il topo. «Forse non sapremo mai com'è andata davvero, ma che importa? Quello che conta è che siete qui».
Il discorso si protrasse ancora per qualche minuto. I Pevensie si spettarono molte più domande e commenti da parte di Caspian, invece il giovane non parlò più molto, almeno per un pó. Sembrava riflettere su quanto detto, ma c'era qualcosa di strano in lui.
Inizialmente, Edmund e Lucy erano stati tentati di non dirgli che Peter e Susan avevano cercato di tornare a Narnia. Avevano pensato fosse meglio fingere che i due fratelli più grandi si fossero rassegnati. Ma era inutile mentire. Caspian sapeva quanto loro che, se avessero potuto, Susan e Peter sarebbero stati lì.
Il giovane Sovrano era rimasto molto deluso nel constatare che il Magnifico e la Dolce, per quanto lo volessero, non fossero riusciti a tornare nemmeno con l'aiuto di un oggetto magico. Quando l'uomo di vedetta aveva gridato all'uomo in mare, e lui aveva visto apparire dal nulla tre persone in mezzo all'Oceano, il cuore gli era balzato in gola. Aveva sperato fino all'ultimo secondo, quasi allo spasimo, che ci fosse anche lei. Ma Susan non c'era.
Per lungo tempo, Caspian era vissuto nel suo ricordo, e a quanto sembrava avrebbe dovuto continuare su quella strada. Non mostrò il suo dolore, anche se era certo che i suoi amici potessero comprendere come si sentiva. Lucy e Edmund lo guardavano mortificati, come se fosse colpa loro. Durante il loro racconto, si erano sforzati di non nominare troppo spesso la sorella maggiore, usando il plurale anche quando non avrebbero dovuto, parlando di 'noi' pur se era chiaro che stavano parlando solo di 'lei'. Quel metodo funzionava, dopotutto, leniva in qualche modo il malessere che Caspian aveva iniziato a provare. Tuttavia, l'espressione di apparente serenità del suo viso non mutò. Non voleva guastare la felicità dei fratelli di essere di nuovo a Narnia, perciò si sforzò di continuare a sorridere.
«E a Narnia va tutto bene?» volle sapere Edmund più tardi.
«Fatta eccezione per qualche difficoltà, è tutto a posto, altrimenti non avrei lasciato Cair Paravel per mettermi in viaggio» rispose Caspian.
«L'hai ricostruita?!» esclamò Lucy al settimo cielo.
Il Re tornò a sorridere. «Certo! E' stata pronta in un anno. Ho chiamato i migliori architetti e carpentieri di Narnia e Archen. Tutto è tornato com'era come una volta, laggiù».
«Allora» intervenne Edmund «se non ci sono guerre da combattere e nessuno in difficoltà, perché io e Lu siamo qui?».
«Giusto quesito. Mi sono domandato la stessa cosa» disse Caspian guardando dal Giusto alla Valorosa. Poi volse la sua attenzione alla cartina di Narnia. «Da quando ci avete lasciati, i Giganti delle Terre Selvagge del Nord hanno creato qualche scompiglio, ma gli abbiamo dato una lezione che non dimenticheranno. Abbiamo anche sconfitto le armate di Calormen nel Grande Deserto. Regna la pace in tutta Narnia».
«La pace! E' magnifico!» fece Edmund, al settimo cielo.
«In soli tre anni».
Lucy sorrise timidamente a Caspian. «E...ti sei trovato una regina in questi tre anni?».
Il Re abbassò di nuovo lo sguardo, facendo a sua volta un lieve sorriso. Poi scosse il capo. «No...Nessuna è paragonabile a vostra sorella».
Questa volta, la tristezza che velò il suo viso fu visibile a tutti.
Lucy, Edmund e Ripicì si scambiarono un'occhiata dispiaciuta.
Drinian, rimasto per quasi tutto il tempo in un composto silenzio, si schiarì la voce. «In realtà, Re Caspian ha ricevuto diverse proposte di matrimonio dalle nobili famiglie di Archen e delle Isole».
«Davvero?» chiese Lucy.
«Sì, ma non ero interessato a nessuna delle fanciulle che mi sono state presentate». Caspian rivolse uno sguardo di bonaria esasperazione al capitano. Quel discorso era stato affrontato decine di volte.
Drinian aveva molto a cuore il bene del suo giovane Re. Più volte aveva cercato di persuaderlo a intraprendere la via del matrimonio. Tuttavia, Caspian sembrava non volerne sapere.
L'uomo sembrò voler dire ancora qualcosa al Re, ma Caspian continuò con le spiegazioni. Infine, guardò Lucy e Edmund dritto in viso. «Bene. Credo sia arrivato il momento di dirvi dove siamo diretti, visto che verrete con noi».
I Pevensie si scambiarono un sorriso enorme. Si preparavano senz'altro a vivere grandi, nuove avventure. Se solo Peter e Susan fossero stati lì con loro...

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