Capitolo 16

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       Mi sveglio di scatto.

Fuori è freddo, troppo freddo e, sebbene le finestre siano state accuratamente chiuse, sento la pelle accapponarsi. Ho la bocca secca e il respiro affannoso.

Non ricordo niente, mi ricordo solo di papà, del sogno e basta. Ma mentre mi guardo attorno e capisco di non essere nella mia scialba camera londinese, ma in una elegantemente ammobiliata dell'appartamento newyorkese di Julia, e i ricordi riaffiorano anche troppo dolorosamente.

New York, Chyler, Philip.

La mia bambina. Dov'è la mia bambina?

Mi alzo velocemente dal letto, inciampando nel piumone che nella notte era scivolato a terra, come io adesso. La faccia rivolta verso la moquette beige pulita, il naso schiacciato dal peso della mia testa troppo piena di paure, di pensieri, di tormenti.

Vorrei piangere, ma non ho più lacrime. Vorrei correre da Chyler, ma non ho più forze. Vorrei chiamare il suo nome, ma le parole mi si fermano in gola.

Mi rialzo in piedi lentamente e, usando con parsimonia la mia esigua fonte di energia, mi avvio verso il bagno per darmi una rinfrescata. Cammino in punta di piedi, respirando pesantemente, mentre passo sopra le mattonelle gelide che collegano la morbida e tiepida moquette della camera degli ospiti ad altre fredde mattonelle marmoree del bagno.

Entro nella stanza e chiudo la porta con un paio di mandate. È una toilette enorme, come non ne avevo mai viste in giro. C'è di tutto, perfino il bidet, quello strano aggeggio che avevo visto una volta e basta in vita mia, durante un viaggio in Italia, a Firenze. Ogni cosa qui dentro profuma di pulito ho paura di toccare, prendere qualcosa col rischio di danneggiarlo, sporcarlo o altro. Mi avvicino faticosamente al lavandino e apro il getto freddo del rubinetto. L'acqua scorre veloce e cristallina e io sento solo il suono che produce scrosciando sul lavello. Tutto attorno a me è ovattato e indistinto.

Ma poi la sento. Chiara, trasparente come l'acqua che scivola sulle mie dita.

Mi fiondo sulla porta e impacciatamente giro la chiave che era rimasta infilata nella toppa. Quando l'apro la vedo.

È davanti a me, con i capelli biondi legati in una treccia e gli occhi verdi brillanti come due smeraldi. Il viso infantile è corrucciato in un'espressione perplessa e le braccia pallide conserte davanti allo stomaco.

"Chyler! Oh Cy, bambina mia" mi getto su di lei e la stringo più forte che posso.

"Mamma, ma che succede?" si scosta leggermente da me e mi fissa curiosa. Anche Philip accanto a lei mi guarda perplesso. Dei passi giungono dalle scale e vedo la figura snella di Julia arrivare.

"Va tutto bene?" chiede sorridendo. Sorride. Come fa a sorridere dopo quello che ci è successo? Dopo che i nostri bambini sono spariti tra la gente di New York?

"Julia come hai fatto a ritrovarli? Oh Cy sono stata così male per te, dopo che sei..." mi zittisco subito dopo aver visto le loro espressioni. Stupore, scherno. Mi stanno guardando come si guarda un bambino piccolo che sta raccontato delle storie una più strampalata dell'altra. Julia si avvicina a me con un sorriso pieno di pena per me e mi accarezza il braccio.

"Hai solo fatto un orribile incubo tesoro; solamente un brutto sogno" annuisco lentamente. Chyler torna a giocare con Philip mentre io seguo Julia giù per le scale. Quando siamo quasi arrivate al primo piano, lei si volta verso di me e accenna un sorriso. "Ho una sorpresa te, ti piacerà". Fa gli ultimi scalini più velocemente e si dirige in cucina. La seguo a passo lento e un po' timoroso. Julia è sempre stata una persona molto scherzosa e quando stava con mio padre, mi ricordo, non perdeva minuto per divertirsi a nostre spese. Ma, stranamente, per quanto odiassi le persone che mi prendevano in giro o altro, lei non risultava mai pesante e riusciva a migliorarci l'umore sempre nero per via della scuola o del lavoro.

Hear my voice || Zayn MalikDove le storie prendono vita. Scoprilo ora