Capitolo 31: Roger rabbit

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Capitolo 31

Era la mattina di Natale ed io mi ero svegliata esageratamente presto, rispetto ai miei standard. Mi capitava sempre, era più forte di me. Ogni anno, mi sentivo così elettrizzata per il Natale che finivo per alzarmi dal letto ancor prima che mio padre si svegliasse.
Quella mattina nevicava ed io restai ad osservare i fiocchi ricoprire le strade di New York, mentre facevo colazione. Ero seduta sul pavimento del salotto, tra le mani tenevo una tazza di latte caldo in cui, di tanto in tanto, inzuppavo uno dei biscotti allo zenzero preparati da mio padre.
Erano da poco passate le otto di mattina ed io mi ritrovavo a fissare la neve attecchire sui tetti, ripensando a quante volte avevo ascoltato Emma lamentarsi del cielo azzurro e limpido che caratterizzava il periodo natalizio della California.
Quando ero piccola, spesso mia mamma mi ripeteva che la pioggia rappresentava le lacrime degli angeli ed io mi ero sempre chiesta se la neve simboleggiasse le lacrime congelate di quegli angeli che erano così tristi da finire in un pianto disperato.
In svariate circostanze, tuttavia, mi ero ritrovata a chiedermi perché mai un angelo dovesse piangere, e per quanto ardentemente mi sforzassi, non ero mai riuscita a trovare una risposta al mio quesito.
Eppure persistevo a pensare che mai, in tutta la mia vita, sarei mai riuscita ad assistere ad uno spettacolo bello tanto quanto lo era la cascata di lacrime cristallizzate degli angeli.
A mia sorella era sempre mancata New York, soprattutto d'inverno. Diceva sempre di sentire nostalgia della bella sensazione che le dava tenere tra le mani una tazza di cioccolata calda e sapere che fuori la temperatura era così bassa, che il freddo intorpidiva le dita.
Lanciai un'occhiata al pianoforte e mi immaginai mia mamma seduta sullo sgabello, la pelle che lo rivestiva solcata dalla sua figura esile e le lunghe dita di mia madre che accarezzavano dolcemente i tasti. I tocchi così leggeri e delicati da ricordarmi il modo in cui il soffio leggero del vento, attraversava i fiori di campo della California.
Mi parve quasi di udire la melodia da lei composta riempire il silenzio che permeava il soggiorno. Un suono così dolce e rilassante che sembrava essere prodotto dagli angeli piangenti che, in quel momento, erano intenti a riversare le proprie lacrime ghiacciate sulla festosa città di New York.
Spostai il mio sguardo accanto a me e mi immaginai Emma seduta al mio fianco, i suoi occhi celesti fissi sui fiocchi di neve che ondeggiavano nell'aria, prima di ricadere al suolo. Mi sembrò di riuscire a vedere le sue iridi chiare e limpide come una lastra di ghiaccio, intente ad osservare attentamente la coltre bianca ricadere silenziosamente sui grattacieli, trasformandoli in strutture incredibilmente più affascinanti e belle di quanto non fossero in realtà.
Immaginai mia sorella sorridere, dinnanzi a quello splendido spettacolo.
Se in quel momento Emma si fosse davvero trovata in soggiorno accanto a me, probabilmente, avrebbe allungato la sua mano verso la vetrata con l'intenzione di afferrare i fiocchi di neve. Immaginai addirittura la sua espressione delusa nel realizzare che, per quanto lo volesse, il vetro freddo le impediva di far ricadere le lacrime congelate degli angeli sulle sue dita e di lasciare che queste si sciogliessero in pochi secondi, a contatto con la sua pelle calda.
Avrei dato tutto ciò che possedevo, per far sì che la mia famiglia fosse ancora al completo.
Se io non avessi mai guardato quel rapinatore negli occhi, spinta da una curiosità e da una rabbia velenosa quanto il più letale dei serpenti, mia madre non sarebbe mai stata uccisa. Non ci saremmo mai trasferiti in California e, di conseguenza, Emma sarebbe davvero stata accanto a me in quel momento tanto perfetto nella mia immaginazione, quanto malinconico lo era nella triste e cruda realtà.
Tuttavia, in quel caso, non avrei mai conosciuto Scott e non avrei potuto vedere mia sorella innamorarsi lentamente di lui. Non sarei stata in grado di assistere alla nascita e alla crescita di quell'amore bello e delicato quanto i fiori che ammiravo tanto.
Se, invece, mia madre fosse morta e io non avessi regalato i biglietti per il concerto dei Green Day ad Emma, saremmo entrambe rimaste a vivere nella calda e soleggiata California. Mia sorella, dopo aver compiuto i diciotto anni, avrebbe probabilmente fatto un lungo viaggio assieme al mio migliore amico. Entrambi avrebbero realizzato uno dei loro più grandi sogni e sarebbero finalmente riusciti a rimuovere le decine di puntine rosse che costellavano le cartine che tenevano appese ai muri delle proprie stanze.
Io però non sarei tornata a New York e, in quel caso, non avrei mai conosciuto Aiden, Ash e Will.
Forse, dopotutto, Lorenz aveva ragione: il battito d'ali di una farfalla può davvero causare un uragano dall'altra parte del mondo. Mia madre era quella farfalla. La mia nascita era stata il suo battito d'ali ed io ero l'uragano.

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