Capitolo XI

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Capitolo XI




Zoe percorreva con grandi falcate il corridoio del proprio appartamento a Padova.

Avanti, indietro, avanti, indietro, avanti, indietro.

Ogni tanto si fermava qualche secondo, si passava una mano sugli occhi o sulla fronte, dimostrando una certa agitazione, controllava il cellulare e sospirava frustrata.

Possibile che Aurora fosse sparita proprio ora che aveva estremamente bisogno di lei? Era tutta la mattina che cercava di contattarla, dove diavolo era finita? Ok, era mercoledì. Probabile che fosse a lezione. Ma dove aveva lasciato il telefono, maledizione?

Anche le sue coinquiline erano fuori, ovviamente. E in ogni caso Zoe non sapeva se fosse il caso di parlare con loro di quella cosa. No, aveva decisamente bisogno di parlarne con Aurora: lei la conosceva meglio, avrebbe saputo come tranquillizzarla.

Tranquillizzarsi, ecco. Doveva tranquillizzarsi. La ragazza si sedette sul divano e respirò a fondo. Alla fin fine non era ancora successo nulla di irrisolvibile. Sapeva che se ne avesse parlato con qualcuno, la questione sarebbe probabilmente sfumata. Era solo che si stava facendo troppi problemi.

Giacomo. Il nome del suo amico leccese le venne in mente d'istinto, ma lei tentò di ricacciarlo indietro. Era giusto chiamare lui, renderlo partecipe di una cosa tanto delicata, una faccenda con la quale non c'entrava?

Forse no, era meglio lasciarlo in pace. E poi l'avrebbe disturbato per niente, sapeva pure lei che si trattava di una sciocchezza.

Sospirò nuovamente. Sì, era una sciocchezza, ma lei sentiva l'estremo bisogno di parlarne con qualcuno. E dal momento che Aurora era irrintracciabile, l'unica altra persona che potesse ascoltarla era, forse, proprio Giacomo.

Dopo qualche minuto di riflessione, Zoe si decise e, non senza residue titubanze, cercò in rubrica il nome che le serviva.

D'altra parte, com'era quel modo di dire? I veri amici si vedono nel momento del bisogno?



Giacomo, in quegli stessi minuti, si trovava nel proprio alloggio a Milano e si stava preparando per uscire. Il suo cellulare squillò mentre prendeva le chiavi della macchina – un mezzo rottame che lui, Giorgio e Niccolò si dividevano quand'erano lì – e si dirigeva verso la porta dell'appartamento.

"Zoe?" rispose dopo aver visto il nome sullo schermo, mentre si chiudeva la porta alle spalle. "Come stai?"

Erano passate poco più di due settimane dal compleanno della ragazza e da quella data i loro rapporti erano diventati decisamente più allegri e distesi; si sentivano spesso e volentieri, anche solo per raccontarsi a vicenda qualche aneddoto stupido o prendersi in giro l'un l'altra, come facevano già prima della "rottura" estiva.

"Ehm... Bene, credo," rispose lei titubante. "Hai cinque minuti o ti disturbo?"

"No, non disturbi. È tutto apposto?"

Giacomo, ovviamente, aveva colto l'incertezza nella voce di lei e voleva comprenderne il motivo.

"Più o meno," fece Zoe, piano. Poi prese il coraggio a due mani e continuò. "Ho un ritardo."

Giacomo era intento a raccogliere le chiavi dell'auto che gli erano cadute proprio sul marciapiedi di fronte alla macchina e, nel frattempo, cercava di tenere il telefono attaccato all'orecchio. Perciò percepì solo una parte del messaggio dell'amica e rispose tranquillamente, alzando le spalle.

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